Le Laude (1915)/LVIII. Epistola terzia al prefato papa da poi ch'el fo preso

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LVIII. Epistola terzia al prefato papa da poi ch'el fo preso

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LVIII

Epistola terzia al prefato papa da poi ch’el fo preso

     O papa Bonifazio, — molt’hai iocato al mondo;
penso che giocondo — non te porrai partire.
     El mondo non ha usato — lassar li suoi serventi
che a la sceverita — se partano gaudenti;
non fará legge nova — de fartene esente,
che non te dia i presente — che dona al suo servire.
     Ben me lo pensava — che fusse satollato
d’esto malvascio ioco — ch’al mondo hai conversato;
ma, poi che tu salisti — en officio papato,
non s’aconfé a lo stato — essere en tal desire.
     Vizio enveterato — convèrtese en natura:
de congregar le cose — grande hai avuta cura;
or non ce basta el licito — a la tua fame dura,
messo t’èi a robbatura — como ascaran rapire.
     Pare che la vergogna — derieto aggi gettata,
l’alma e ’l corpo hai posto — ad levar tua casata;
omo ch’en rena mobile — fa grande edificata,
subito è ruinata — e non gli può fallire.
     Como la salamandra — se renuova nel fuoco,
cusí par che gli scandali — te sian solazo e giuoco;
de l'anime redente — par che te curi puoco;
ove t’aconci el luoco, — saperálo al partire.
     Se alcuno vescovello — può niente pagare,
mettegli lo flagello — che lo vogli degradare;
poi lo mandi al camorlengo — che se degia accordare,
e tanto porría dare — che ’l lasserai redire.

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     Quando nella contrata — t’aiace alcun castello,
’nestante metti screzio — entra frate e fratello;
a l’un getti el brazo en collo, — a l’altro mostre ’l coltello,
se non assente al tuo appello, — menaccel de ferire.
     Pensi per astuzia — el mondo dominare,
que ordene un anno, — l’altro el vedi guastare;
el mondo non è cavallo — che se lasse enfrenare,
che ’l possi cavalcare — secondo el tuo volere.
     Quando la prima messa — da te fo celebrata,
venne una tenebría — en tutta la contrata;
en santo non remase — lumiera arapicciata,
tal tempesta è levata — lá ’ve tu stave a dire.
     Quando fo celebrata — la coronazione,
non fo celato al mondo — quello che ce scontròne;
quaranti omini fôr morti — a l’uscir de la mascione,
miracolo Dio mostróne — quanto gli eri en piacere.
     Reputavete essere — lo piú sufficiente
de sedere en papato — sopra onn’om vivente;
chiamavi santo Pietro — che fosse respondente
se esso sapea niente — respetto el tuo sapere.
     Poneste la tua sedia — da parte d’aquilone,
de contra Dio altissimo — fo la tua entenzione;
subito hai ruina, — sei preso en tua magione,
e nullo se trovòne — a poterte guarire.
     Lucifero novello — a sedere en papato,
lengua de blasfemia — che ’l mondo hai venenato,
che non se trova spezie, — bruttura de peccato,
lá ’ve tu se’ enfamato — vergogna è a proferire.
     Poneste la tua lengua — contra la relione,
a dicer la blasfemia — senza nulla cagione;
e Dio sí t’ha somerso — en tanta confusione,
che onom ne fa canzone — tuo nome a maledire.
     O lengua macellaia — a dicer villania,
remproperar vergogne — con grande blasfemia,
né emperator né rege — chi voi altri se sia,
da te non se partia — senza crudel ferire.

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     O pessima avarizia, — sete enduplicata.
bever tanta pecunia, — non esser saziata;
non ce pensavi, misero, — a cui l’hai congregata;
ché tal la t’ha robbata — che non te era en pensiere.
     La settimana santa, — che onom stava en pianto,
mandasti tua fameglia — per Roma andar al salto,
lance andar rompendo, — facendo danza e canto;
penso ch’en molto afranto — Dio te degia punire.
     Entro per santo Petro — e per Santa Santoro
mandasti tua fameglia — facendo danza e coro;
li peregrini tutti — scandalizati fuoro,
maledicendo tuo oro — e te e tuo cavalliere.
     Pensavi per augurio — la vita perlongare;
anno, dí né ora — omo non pò sperare;
vedemo per lo peccato — la vita stermenare,
la morte appropinquare — quand’om pensa gaudere.
     Non trovo chi recordi — nullo papa passato
ch’en tanta vanagloria — esso sia delettato;
par che ’l timor de Dio — derieto aggi gettato,
segno è de desperato — o de falso sentire.