Le Metamorfosi/Annotazioni/Libro Decimo

Da Wikisource.
Annotazioni del Decimo Libro

../Libro Nono ../Libro Undecimo IncludiIntestazione 20 dicembre 2008 75% Letteratura

Publio Ovidio Nasone - Le Metamorfosi (2 a.C. - 8 d.C.)
Traduzione dal latino di Giovanni Andrea dell'Anguillara (1561)
Annotazioni del Decimo Libro
Annotazioni - Libro Nono Annotazioni - Libro Undecimo

La favola di Orfeo ci mostra quanta forza, e vigore habbia l’eloquenza, come quella che è figliuola di Apollo che non è altro che la sapienza; la lira datagli da Mercurio, è l’arte del favellare propriamente, laquale a simiglianza della lira va movendo gli affetti co’l suono hora acuto, hora grave, della voce e della pronuntia, di maniera che le selve, e i boschi si movono per il piacere che pigliano di udire la ben’ordinata, e pura favella dell’huomo giudicioso, non sono altro i boschi e le selve, che quegli huomini che sono cosi fissi, et ostinati nelle loro opinioni, che con grandissima difficoltà ne possono essere rimossi, i quali al fine si lasciano vincere dalla soavità della voce, e dalla forza delle parole, propriamente questi tali sono figurati per gli arbori che fanno le selve e i boschi, perche si come questi hanno le loro radici ferme, e profonde, cosi quelli fissano, e profondano nel centro dell’ostinationi le opinioni loro; ferma ancora Orfeo figurato per l’eloquente i fiumi, che non sono altro che li dishonesti, e lascivi huomini che quando non siano retirati dalla forza della lingua dalla loro infame vita, scorrono senza ritegno alcuno sino al mare, che è il pentimento, e l’amarezza; che suole venire subito dietro a i piaceri carnali. Rende Orfeo ancora mansuete e benigne le fiere, che sono gli huomini crudeli, & ingordi del sangue altrui, perche sono ridotti dal giuditioso favellatore a piu humana e piu lodevole vita; ama l’eloquente & è amato da Euridice, laqual figuraremo per la concupiscenza naturale, che passeggiando per i prati quali sono i suoi propri desideri; fugge da Aristeo che è il loro freno, come quello che desidera di tornarla a piu alti e piu lodevoli pensieri; e fuggendo more ferita dal serpente, che non è altro che quello inganno che stando nascosto nelle cose temporali, coglie tutti gli huomini che vivono in diverse maniere; morta la concupiscenza nelle sue proprie passioni è condotta all’inferno, Orfeo come suo verissimo amico che è il giuditioso parlatore, che con efficace persuasioni tenta di ritornarla di sopra alla virtù; e tornandovela; si rimira incautamente in dietro; e la perde di nuovo, perche non fa bisogno rimirar indietro, ma sempre inanzi; lo scendere di Orfeo all’inferno è l’huomo saggio, e prudente che non deve mai per qual si voglia concupiscenza partirse dalla contemplatione delle cose alte, per mirare le cose basse, e temporali e compiacerse in esse.

Preme l’Anguillara come si è veduto fin qui in rapresentare alcune cose pratiche come la caccia del Cervo, il maneggiar cavalli, il tessere, il cuscire, poi che gli riescono tutte felicemente, come gli è riuscito quivi ancora il rappresentare il suon della lira; in quella stanza: Quel legno appoggia alla mammella manca, e nella seguente.

Nella trasformatione di Ati in Pino, si può pigliar’ essempio quanto è mal convenevole il matrimonio quando vi è gran differenza di età, come era fra Cibele madre de gli dei, et Ati ancor giovinetto; e però non è maraviglia se ne segueno per cagione della gelosia di molti mali accidenti, come veggiamo tutto di avenire, e come avenne all’infelice Ati che si voltò all’Amore piu convenevole ad esso della Ninfa Sagarithide.

La trasformatione del giovane dolente per la morte del suo amantissimo Cervo, in Cipresso arbore che significa pianto e doglia, de i piu cari amici, e parenti, perche gli antichi erano accostumati a ornare de’ rami di quest’arbore le sepolture de i morti che vivendo gli erano charissimi ci da essempio che non dobbiamo giamai porre tanto amore nelle cose mortali, che poi quando le ci mancano, a viva forza tutto il rimanente della vita nostra sia un’essempio di amarissimo cordoglio a tutti quelli che ci veggono cosi, non senza loro grandissima maraviglia, come ancora non senza grandissimo danno nostro.

Giove ruba il bellissimo Ganimede, e il fa suo copieri per farci vedere quanto sia vago il cielo di privar’ il mondo come indegno di goderle, di quelle cose che gli sono piu grate, e che sono da essere tenute in maggior stima; il fa poi suo copieri havendolo convertito nel segno di Aquario il quale quando ha il Sole fermo in lui, dà da bere non solamente a Giove, ma a tutto il mondo con larghissime e abondantissime pioggie.

Giacinto trasformato nel fiore del suo nome da Apollo, ci fa vedere che la virtù del Sole che si va compartendo ne i semplici la mattina quando si rallegrano vedendolo comparire, come quello che con la benignità sua li va purgando dalla soverchia humidità della notte, deve esser colta in tempo della sua giovanezza, che è che la non sia ne troppo morbida per la soverchia humidità, ne meno troppo asciuta per il soverchio ardore de i raggi del Sole, colta dunque a tempo, si trasforma in fiore, che non è altro che quella parte piu purgata, piu nobile, e piu atta a operare, e far’effetti miracolosi intorno la sanità, che è come un fiore, rapresenta quivi l’Anguillara molto vagamente il gioco della Racchetta in quella stanza, Un gioco da Racchetta havea Giacinto come medesimamente rappresenta ancora il giocare fra Apollo e Giacinto nelle seguenti, come si vede fare in molti luoghi e fra gli altri nel regno di Francia.

L’amore di Pigmalione, alla figura d’Avolio fatta dalle sue mani, ci da essempio che quelli che tenta fa riparo alle forze della natura, non volendo giamai gustar’ il dolcissimo, e soavissimo Amore posto regolatamente fra l’huomo, e la donna; essendo la volontà nostra naturalmente spinta per sempre ad amare, si danno ad amare alcune cose di poco frutto, solamente per proprio loro piacere, come pitture, sculture, medaglie a simil cose; e le amano cosi caldamente, che vengono le medesime cose, a satisfare al desiderio loro, come se rimanessero satisfati del desiderio del vero Amore, che deve esser fra l’huomo, e la donna; vogliono alcuni che questo amore di Pigmalione s’intenda, che essendo egli satio dell’Amore delle donne, si deliberò di non travagliarse piu con esse loro, ma prese per suo piacere una picciola fanciullina, per nodrirla fin’all’età matura, e crescendo la fanciulla in maravigliosa bellezza, se ne accese di maniera Pigmalione che non chiedeva altro a i Dei, se non che volessero presto condurla a quell’età che può sostenere gli abbracciamenti dell’huomo, per poter porre a fine il suo ardentissimo amore, e che questa fanciulla s’intenda per la figura d’Avolio fatta dalle sue mani havendole egli dato una bella, e nobile creanza, & havendola poi goduta n’hebbe un figliuolo che diede il nome all’isola di Papho, per havervi edificato un castello, e chiamatolo da’l suo nome.

La favola di Mirrha vogliono alcuni che la fusse ingeniosamente ritrovata perche Mirrha è un’arbore appresso i Sabei che s’infiamma per il molto vigore de i raggi del Sole; onde essendo il Sole padre di tutte le cose, però si dice che Mirrha amò il padre, come quello che infiammando quest’arbore, fa scoprire fuori della corteccia alcune aperture, dalle quali poi si coglie quel soave unguento della Mirrha, che significa Adonenon essendo interpretato Adone altro che soave. Si vede quivi in questa favola quanto si sia affaticato l’Anguillara per rappresentare vivamente tutti quei dubbij che potevano tenire sospeso, e irresoluto l’animo dell’inamorata Mirrha, con quelle dispute che poteva fare in cosi scelerato amore, la ragione, con l’infame sua passione, vedendosi tutti quei spirti, e quegli affetti, che si possono desiderare, in rappresentare questa favola, oltra le conversioni e le comparationi bellissime come quella della stanza, Qual se la quercia annosa altera e grossa. Una bellissima digressione è anchor quella che fa nella stanza Non le basta il secondo, e vi va tante, e nella seguente.

La favola di Adone ci fa vedere quanto sia pronta la bellezza figurata per Venere ad amare il soave piacere d’Amore, figurato per Adone poi che quella Venere non finta che regnò in Cipro, diede leggi, e persuase tutte le donne per goder’ interamente quel piacere, che procacciassero per qual si voglia modo, di essere abbracciate senza alcun freno di vergogna da gli huomini, non tenendo alcun conto di adulteri o stupri; oltra che introdusse fra i Soriani che fussero condotte le vergini a i lidi del mare, a fin che passando i legni de forestieri, overo facendo scala in quei lidi, levassero loro il fiore della virginità tanto stimato, dove si vive religiosamente; è ferito Adone dal Cinghiale, quando il piacere amoroso è sturbato da gli infelici e fieri successi, che avengono per caginoe della gelosia, overo di invidia nelle cose d’Amore; come quello che non vuole alcuna cosa dura, fiera, ne aspra, ma che ogni sua cosa sia sempre piena di dolcezza, sempre in gioia, e sempre in stato felice, da il sangue di Adone, che è il soave piacer’amoroso, pigliano colore le rose perche nella stagione di questo soavissimo fiore, pare che tutti i cuori si sentano infiammare dal desiderio di godere la bellezza la quale si va scoprendo in gran parte nelle Rose, poi che i Poeti non hanno trovato simiglianza piu propria alla bellezza delle donne, di quella della Rosa, simigliando el loro guancie alle rose, il colore delle quali è cosi grato all’occhio, come l’odore, all’odorato; si duole Venere per la morte di Adone quando la bellezza rimane priva del soavissimo piacere di Amore.

Descrive l’Anguillara con nuovo modo di dire molto vagamente che cosa sia Amore, e gli effetti suoi, in quella stanza, Amor’ altro non è che un bel desio, e nelle seguenti; con artifitiosissima digressione, nella quale si leggono alcune esclamationi molto proprie, come quella della stanza, O veramente aventurata morte, e di quell’altra, O gran lode di Amor poi che si giova insieme con la conversione dell’inamorata Venere al suo amato Adone, nella stanza, Ma il ben de ’l quale il mondo men ha parte, e nella seguente insieme con la risposta di Adone.La favola di Atalanta, e di Hippomene ci da essempio che non è cosa che piu prontamente vinca la durezza, e l’ostinatione dele donne che l’oro, come quelle che naturalmente sono avarissime, e di qui aveneva che tutti quelli che tentavano di vinverla nel corso con la virtù, e col valore rimanevano morti; perche con esse loro non giova nobiltà, bellezza, ne virtù, mancando l’oro.Quando però non sia no infiammate esse ancora da questo focoso furore chiamato volgarmente Amore; perche all’hora, si lasciano vincere di maniera che non mirano ne all’honore, ne al timore, ne a cosa alcuna, anzi corrono sfrenatissime a i loro piaceri, senza alcuna consideratione appigliandose sempre al peggio; furono al fine ambidoi conversi in Leoni, e posti al carro di Cibele, poi che non hebbero punto di vergogna ne ’l congiungerse insieme alla presentia de gli Dei, per darci essempio che questa fiera passione trahe cosi l’huomo, e la donna fuori della sua propria natura, che li converte in animali fierissimi come i leoni, sono poi in processo di tempo, quando si vien raffredando il vigore del sangue; ridotti a tirar il carro di Cibele, quando si cominciano a riconoscere, e riconoscendose a vivere con gli ordini della natura, e con l’ubidienza delle leggi.Descrive molto felicemente l’Anguillara questa favola di Atalanta, adornandola come è accostumato di fare, di molte belle digressioni, cosi nel rapresentar la forza d’Amore in Hippomene, come ancor ala bellezza della superba giovane, mettendola vagamente innanzi a gli occhi di chi legge, con bellissime conversioni come nella stanza, Poi fu d’ogn’un di lor si picciol pomo dove si converte Hippomene, nella stanza, Dhe gentil cavalier mentre le tempie, e nelle seguenti, con bellissime comparationi come quella della stanza, Come s’al muro candido di latte: con quella vaga descrittione del corso. Come quella della stanza, Già il respirare era affannato, e stanco, e nelle seguenti, e con quella bellissima sententia di Virgilio ancora, che è nella stanza: Dhe disse poi per ch’anchor’io non tento dicendo nel verso, il fine: Gl’ audaci sempre il cielo aita.