Le Metamorfosi/Annotazioni/Libro Undecimo

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Annotazioni de l'Undecimo Libro

../Libro Decimo ../Libro Duodecimo IncludiIntestazione 20 dicembre 2008 75% Letteratura

Publio Ovidio Nasone - Le Metamorfosi (2 a.C. - 8 d.C.)
Traduzione dal latino di Giovanni Andrea dell'Anguillara (1561)
Annotazioni de l'Undecimo Libro
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Vogliono alcuni che la morte di Orfeo fusse historia vera; perche essendo Orfeo stato il primo inventore de i sacrifici di Bacho; impose a i Traci che facessero fare i medesimi sacrifici dalle Menadi; che erano quelle donne che pativano allhora la purgatione del menstruo per tenirle mentre che durava quella purgatione lontane da gli huomini, i quali rimangono offesi, se per aventura usano con esse loro in quei tempi. Havendo le donne doppo havuta miglior consideratione sopra gli ordini di Orfeo intorno i sacrifici di Bacho, pensorono ch’egli non gli havesse fatti ad altro fine che per iscoprire le loro vergogne, & abhominevoli sozzezze, la onde congiurorono insieme contra Orfeo, e l’amazzorono spinte da quel furore loro bestiale con i Rastri, con le Zappe, e con gli altri instrumenti da campagna. Non è meno adorna questa descrittione della morte di Orfeo di belle comparationi, come quella della stanza, Come s’osa tal’hora l’augel notturno, di quale si voglia altra di questo Volume, la quale tutto che si sia di Virgilio, nondimeno è spiegata non meno felicemente che propriamente nella lingua nostra da l’Anguillara; come è ancora quell’altra, Qual se tal’hor l’augello al laccio è preso, e le conversioni ancora del Poeta a gli Dei nell’ultimo della stanza, Tolte le scuri, e gli altri astati ferri e l’altra al medesimo Orfeo nell’ultimo della stanza, Dapoi che hebber commesso il sacrilegio.

Conviene propriamente la favola di Mida, che chiese a Bacho che gli facesse gratia che tutto quello che toccava divenisse oro; all’avaro al quale il piu delle volte Iddio concede, che tutte le cose gli succedino felicemente intorno l’arricchire, perche tutti i suoi negotij gli riescono secondo il desiderio suo; onde quanto piu arrichisse tanto piu cresce il desiderio d’havere venendo poi in cognitione al fine che cosi la sua fame è insatiabile, come ancora la sua sete inestinguibile, si volta a Dio, pregandolo che gli levi quell’ardentissimo desiderio di ricchezze, il quale mosso a pietà gli fa poi meglio conoscere aviandolo a purgarse al fiume Pattolo, che le ricchezze non sono altro che apparenze di bene all’avaro, e che sono labile, e fugaci a simiglianza dell’acque del fiume, onde fastidito de i negotij, e de i travagli, poi ama di stare come purgato dall’avarissimo desiderio d’havere, ne i luoghi solitarij, che non sono altro che le cognitioni di se stessi. Si vede quanto non meno vagamente che diversamente habbi l’Anguillara descritti i giorni in molti luoghi, come si vede quivi ancora la sua ingeniosa elocutione in questa parte, nella stanza, Il Re cui cresce l’oro, e manca il vitto e nella seguente la bellissima conversione che fa Mida e Bacho.

Che Mida giudicasse migliore il canto di Pane che quello d’Apolline non è da meravigliarse perche gli huomini che hanno corrotto il giudicio, stimeranno sempre piu le cose terrene di Pane, che le celesti di Apolline, e però mertano di essere scoperti di havere l’orecchie d’Asini, che non è altro che essere conosciuti havere piu delle bestie che de gli huomini, e quanto piu pensano coprire la loro bestialità, con oro, dignità e grandezze, tanto piu i loro propri costumi, che sono ancora i loro loquaci servitori, li vanno palesando per tutto il mondo, figurato per la terra, il quale poi ne produce le canne; che sono le trombe de i Scrittori, e Poeti, che vanno scoprendo in ogni parte i vicij bestiali loro, come ben dice l’Anguillara nella stanza, Cosi mostrò, ch’al Re si convenia, nella quale si legge quella bellissima conversione, che fa alla sua Musa; dicendo, O che gran mitra, musa vi vorria, come ancora si legge quella a i Prencipi che è nel mezzo della stanza, L’uno il palesa a l’altro, e fan che vede, e nella seguente, si può in questa favola di Mida conoscere quanto sia verissimo, e indubitato quel detto che non vi è cosa al mondo tanto secreta che non si palesi, ne tanto occulta che non si scopri, onde dovrebbeno gli huomini pigliar essempio di non far giamai cosa alcuna brutta; con confidenza che l’habbi ad essere secreta, perche le mura, la terra, e l’aere sogliono palesare le cose mal fatte.

Ci depinge lo spergiuro di Laomedonte prima contra Apolline, e Nettuno, e poi contra Hercole, l’huomo macchiato d’ingratitudine; il quale voltandose a Dio ne suoi maggiori bisogni con voti, e promissioni, ottiene quanto desidera dalla sua bontà divina; & ottenutolo, subito come scordevole di tanto beneficio, & ingratissimo non si cura ne di Dio ne de gli huomini, onde ne merita poi il castigo dell’innondatione dell’acque che gli levano tutte le sue sostanze lasciandolo in miseria, & infelicità; e li toglie al fin tutti i suoi beni ancora, una fiera malignità d’aere, e perche chi è ingrato a Dio è maggiormente poi ingrato a gli huomini; havuto il benefitio Laomedonte da Hercole, di vederse liberata la figliuola esposta al mostro marino per liberar’ il paese suo dallo sdegno di Nettuno; non volle satisfar’ Hercole, de i quattro cavalli promissigli; la onde non volendo quel grandissimo guerriero passare l’ingratitudine, e villania di Laomedonte senza dargliene il dovuto castigo, l’assediò, e al fine gli tolse il regno, per darci essempio che ’l fine de gli ingrati come quelli che sono spinti da una maligna intentione a mancar’ altrui dalle loro promesse sera sempre infelice e spaventevole. Si vede quivi depinta dall’Anguillara nella digressione della stanza Fatto il pensiero tiransi da parte tutta quell’architettura che non meno può far comoda, e vaga una città, ma ancora forte, e sicura. Bella digressione è ancora quella della stanza, Con tanta cura il formator del giorno intorno la invidia che non havrebbe ne saputo, ne potuto aggiunger cosa alcuna alla bellissima fabrica di Troia.

La favola di Peleo, e di Theti, si può tenire per vera historia, perche havendo Peleo dimandata piu volte Theti per mogliera gli furono date tante repulse, quante trasformationi finge Ovidio, ch’ella facesse mentre che Peleo tentava di ritenerla, quando in Arbore, quando in Uccello, e quando in Tigre; ma al fine havendola dimandata di nuovo l’ottenne: dopo molti consigli del padre; e la ingravidò di Achille che fu poi fortissimo guerriero, si vede quivi quanto vagamente habbi l’Anguillara rapresentata la habitatione di Theti nella stanza, Sta su’l mar nell’Emonia un sito adorno, e nella seguente, come ancora si vede la bellissima conversione a Peleo nel mezzo della stanza: Per torsi al fine all’importuno amante.

Ci rapresenta la favola di Chione; la superbia di quelle sciocche donne che dandose a credere che la loro bellezza sia perpetua, hanno ardire di agguagliarla alla divina; onde come prima incominciano a far figliuoli, sono per la loro superbia percosse dalla saetta di Diana, che figura la castità che rende morta la loro bellezza; perche si vede per viva isperienza che molto meglio conservano la loro bellezza quelle che vivono castamente, e sono lontane da gli abbracciamenti de gli huomini, come le Monache, che quelle che sempre sono accompagnate con l’huomo, e che fanno figliuoli. Rimase dunque la bellezza di Chione lasciva spenta al paragone di quella di Diana casta; ci rapresenta poi Dedalione cangiato in Sparevieri la rapacita di quelli che vogliono vivere della maniera dello Sparevieri, all’altrui spese, rubando tutto quello a che possono dare di mano, con grandissimo disturbo della vita civile, delle sante leggi, e de i buoni instituti. Leggesi quivi che tal’hora i doni larghissimi che vengono dal cielo, quando ci doverebbero giovare, ci fanno grandissimi danni co’l farci salire ogn’hora in piu maggior superbia, nella stanza, Che giova haver dui Numi havuti amanti? e nella seguente come vi si legge ancora la bellissima comparatione della stanza, Si come il Bue tal’hor corre lontano.

Si comprende sotto li lupo mostruoso che divora e straccia l’armento di Peleo in vendetta della morte di Foco; che i delitti sono sempre accompagnati per vendetta di Dio, da molti danni miserie, & infelicità, come rapresenta bene l’Anguillara; il Villano che porta la nuova del Lupo a Peleo; nella stanza, Come il Rustico appar nel nobile tetto, e ’l modo del suo procedere nell’esporre la cagione della sua venuta di maniera che non si può pensare che potesse far altramente che come è rapresentato quivi.

La favola di Ceice e di Alcione ci da essempio che dobbiamo alle volte lasciarse persuadere alle persone che ci amano da dovero come amava Alcione Ceice intorno il fare o non fare quelle cose che ci s’apresentano sotto specie di bene, perche è molto meglio nelle deliberationi, esequir co’l consiglio altrui men che bene, per modo di dire, che far bene per propria risolutione, compiacendose molto Iddio di veder l’huom pieghevole all’altr’huomo, per nodrire quell’amore, e charità ch’egli desidera nel generale de gl’huomini; come quella che è cosi fondata sopra l’humiltà, come ancora è fondata sopra la superbia quella risolutione che pigliamo da noi medesmi, parendoci di sapere, e prevedere tutte le cose, e si come l’esecutioni che si fanno co’l consiglio de gli amici il piu delle volte hanno felice fine, cosi quelle che facciamo da noi stessi di rado, o non mai succedeno felicemente, come non successe la navigatione di Ceice, il quale volle imbarcarsi contra il conseglio de la sua amantissima mogliera, e rimase affogato da una mala fortuna di mare, manda Giunone ad avisar la moglie in sogno della morte del marito, per Morfeo ministro del sonno per farci vedere, che Iddio non lascia mai di darci alcuni indicij, e presagij de i tristi successi che ci avengono ancora prima che li sappiamo; si può quivi ancor pigliar essempio che quelle cose che amiamo smisuratamente ci sono facilmente tolte da Dio, a fine che conosciamo che dovemo voltare tutto l’amor nostro in esso, come quello che è stabile, e fermo; e non in cose caduche mortali, e transitorie.

Furono ambidoi poi trasmutati in uccelli essendo volata la fama in ogni parte, dell’ardentissimo Amore che si portavano insieme Ceice, & Alcione; che quelli uccelli poi che si chiamano Alcinoi habbino come vuole Ambruogio nell’Hexamerone, forza di render tranquillo il mare nel tempo che fanno, e covano l’uova, è cosa credibile poi che è narrata da un tanto huomo. Si veggono molte belle cose nella descrittione di questa favola; come sarebbe la passione che mostra Alcione della partita di Ceice, nella stanza dell’Anguillara, Misera me dov’è quel tempo gito, e nelle seguenti; le digressioni, che fa vedendo l’animo suo alterato mentre che tentava di disuaderlo da quel viaggio, overo persuaderlo a condurla con esso lui, come nella stanza, Che almen non temerò se teco io vegno, e quella che fa nel descrivere il modo come s’adoprano quelli che sono sopra una Galea, quando sono assaliti da qualche maligna fortuna; nella stanza, Dal porto solcano via l’humil bonaccia. Descrive ancora l’Anguillara felicemente la cognitione che hanno i marinari della mutatione del buono tempo in aspra fortuna, in quella stanza, Il buon padron che ’l mar biancheggiar vede. Bellissime sono le comparationi come quella della stanza, Come contra la squadra ardito, e fiero, e l’altra del verso di sopra: Qual se l’ariete, e ’l disco il muro introna, e quella della stanza, Qual se tal’hor da fochi, e da tormenti. Bellissima ancora, e giudiciosa è la fortuna di mare nella quale s’affogò Ceice descritta molto propriamente; come è ancor bella, e vaga, e molto ben rapresentata la casa del Sonno, a concorenza dell’Ariosto la descrittione della pigritia e dell’oblio, fatta molto felicemente. Et l’aparire di Morfeo ad Alcione, la doglia sua, e tutto il rimanente della favola posto e rapresentato vagamente dall’Anguillara, nanti gli occhi di chi legge.

La trasformatione di Esaco in Mergo ci da essempio che il piu delle volte gli huomini imprudenti cercando il proprio commodo senza alcuna maniera di giudicio sono cagione del danno, e della morte de suoi piu cari amici, perche non deve giamai l’huomo lasciarse di modo accecare dalle passioni che si lassi inavedutamente sdrucciolare a offenderli, come offese Esaco Eperia bellissima giovane, essendo stato cagione della sua morte, onde poi vinto dal dolore si gettò nel mare, e affogò, de qui trasse il Poeta poi che ’l fusse per opera di Theti trasformato nello smergo uccello marino che tratto tratto si somerge sotto acqua; e perche uno che si affoga suol venire di sopra, e dopoi di nuovo attuffarsi come lo smergo, per questo Esaco affogandosi fu detto essere trasformato nello smergo. Bellissima descrittione è quella dell’Anguillara del lamento che fece Esaco come prima vide morta la sua amantissima Ninfa, nella stanza, D’haver misero me, mi doglio, e pento, e nella seguente, come sono ancora belle e trasportate felicemente le comparationi l’una dell’ultimo della stanza, Tosto ch’ei volge il desioso sguardo e l’altra della stanza che segue, Qual l’anitra se lungi è dallo stagno.