Le Metamorfosi/Annotazioni/Libro Sesto

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Annotazioni del Sesto Libro

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Publio Ovidio Nasone - Le Metamorfosi (2 a.C. - 8 d.C.)
Traduzione dal latino di Giovanni Andrea dell'Anguillara (1561)
Annotazioni del Sesto Libro
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La contentione che nacque fra Pallade, e Aranne intorno il tessere, e ricamare, ci da essempio che non dobbiamo giamai per eccellenza che paia che sia in noi, aguagliarse, gonfij dallo spirito della superbia, a Dio, & insoperbirse di modo, che non riconoscendo il tutto da esso, la sua bontà divina mossa dal giusto sdegno, habbia, facendoci traboccare, in qualche gran miseria, a farci conoscere, che non siamo che debili, piccioli, e vili animali, allontanati che siamo dalla gratia sua; e che non sapiamo far cosa alcuna, ne intelletiva, ne mecanica, qua giù, che non la sia fragile come una tela de Ragno; come s’avide Aranne, quando essendo stata vinta da Minerva, fu trasformata in cosi picciolo, e vile animaluccio; che continuando nella sua ostinatione non cessa di tessere le sue vane, e inutili tele, forse per suo castigo, dandose per aventura ancora a credere di essere in contentione con quella invittissima Dea; laqual è dipinta con l’occhio fosco, con una lunghissima asta in mano, e con lo scudo di Christallo, e con il corpo di corazza che hà dinanti di rilevo il capo di Medusa; l’occhio fosco, è il continuo pensiero che tiene l’huomo prudente, ne i discorsi delle cose humane, facendose l’occhio fosco quando s’ha il pensiero fisso in qualche oggetto, che ci preme; l’hasta lunga ci da a credere, & a conoscere per verità espressa, che non può essere prudente, chi non mira le cose molto di lontano, e maggiormente ne i maneggi di guerra; dovendose riparare all’insidie de nimici, e tenerle molto con l’hasta lunga luntane da noi; lo scudo di Christallo, è per iscoprire l’inimico che ci sopragiunge all’improviso, e scoprendolo tutto a un tempo sapersene difendere. Il Capo di Medusa nel petto non è che la prudentia nelle nostre attioni, & operationi, laquale dovemo per sempre havere nel petto, viva, e pronta; come la si scopre nel rilevo.

Contende Minerva con Nettuno intorno il nome ad Athene, e rimane vincitrice, quando per sententia de gli Dei hebbe percossa la terra, e che n’uscì l’Oliva, si come per la percossa, di Nettuno medesimamente ne uscì il cavallo; che è l’animale che serve molto alla guerra; come ancora l’Oliva significa Pace; dandoci a vedere, che le città, & le adunanze de gli huomini amano molto meglio la pace, che non fanno la guerra; onde le fu poi posto il nome di Athene da essa Pallade, chiamata dalle voci greche di questo nome. Ricamò Pallade ancora la pazzia di Hemo, e di Rodope che hebbero ardire di farse chiamare l’un Giove, e l’altra Giunone, onde furono trasformati in dui Monti; sogliono i Monti essere figurati per la superbia de gli huomini di picciola fortuna, che hanno l’animo gonfio di superbia, ma non hanno poi forze di far che gli effetti l’ accompagni, come quelli che sono immobili per le loro poche forze, come i Monti. Tendono tutti i Ricami di Pallade a far avertita Aranne che non voglia contendere con essa lei, perche non le succeda quello che successe ad Antigone, che volendo preporre la sua bellezza, a quella di Giunone, fu dalla Dea trasformata in una Cicogna, che è uno de i piu sozzi uccelli, che si vedano. Narrano l’ Historie che havendo Hercole amazzato Laomedonte del quale era figliuola Antigone, la giovane fuggì nelle cannuccie di Camandro. E vi se trattenne molti giorni per non essere amazzata da Hercole come gli altri suoi fratelli, e sorelle; onde questa sua fuga diede colore a questa favola amando le Cicogne di habitare le cannuccie. Depinse Pallade nell’angolo dell’opera sua poi la trasformatione delle figliuole del re Cinira, lequali insoperbite per la loro molta bellezza, hebbero ardire di aguagliarse a Giunone, e per questo furono da esse trasformate ne i gradi del suo tempio, che sono calpestati da ogni uno, perche chi s’ inalza con l’ali della soperbia, serà humiliato con la sferza della depressione. Bella e sententiosa è la conversione dell’Anguillara, nella stanza Frenate altieri Heroi l’ingiusto orgoglio.

Finita l’opera di Minerva Aranne incominciò la sua, dalla trasformatione di Asterie figliuola di Ceo, laquale essendo amata da Giove, per goder dell’amor suo, si trasformò in Aquila; & ingravidolla di Hercole, havendo poi fatta una congiura Asterie contra Giove, fu dal furore de lo sdegnato Iddio trasformata in una Coturnice, e dapoi nell’Isola Ortigia. Questa trasformatione è tolta dall’historia che narra che essendo vinto Ceo, & amazzato da Giove; fu presa Asterie ancora da esso, e perche l’Aquila è insegna di Giove, hanno finto che per goderla Giove s’era trasformato nell’Aquila portata nella vittoria contra Ceo: segue la trasformatione di Giove in Cigno per godere dell’Amore di Leda, laquale non ci da altra Alegoria se non che la dolcezza delle parole, e la soavità del Canto, sono potentissimi mezzi per haver vittoria di qual si voglia bellissima Donna; però fingono Giove essere trasformato in Cigno per havere goduto con l’artifitio delle parole, e con la soavità della voce dell’amata Leda; segue poi Aranne come si trasformò in Satiro per godere dell’amore di Antiope havendola poi lasciata gravida di Amphione, e di Zetho che ci mostra in quante forme si lascia cangiare l’huomo, da questo naturale desiderio del congiungimento, seguendo la trasformatione del medesimo in Amphitrione per godere dell’amata Alcmena; tutti effetti che sogliono fare gli arditi inamorati per dar compimento a i loro focosi desiderij; ben ce ne da un chiaro essempio il palafreniere che l’accocò al Re de i Longobardi, si cangiò ancora in fuoco per godere dell’Amore di Egina; significa questa trasformatione in fuoco per haverla ingravidata di quella stirpe valorosa d’Achille, e di Pirrho che furono fiamme del valore. Si trasformò ancora in un Pastore per ingannar sotto il falso aspetto l’incauta Nimosina; come si trasformò ancora in Serpe per cogliere Proserpina. È scritta molto felicemente questa trasformatione dall’Anguillara, come la descritione del Serpe, e della maniera che si lasciò ingannare Proserpina. Nella stanza: Non teme la Reina d’Acheronte, e nella seguente.

Finito che hebbe Aranne di tessere le trasformationi di Giove, si voltò a quelle di Nettuno come quando si trasformò in un Cavallo di Anda per godere di Cerere havendola tolta sopra il dorso, e portatola in un scoglio; e come si trasformò in toro anchora per godere Arne, laquale havendo partorito in una stalla de Buoi in Metapomo, diede cagione alla favola della trasformatione nel Toro. Si trasformò ancora nel fiume Enipeo, come scrive Homero, per rubare Tiro figliuola di Salmoneo vaga di passeggiare sovente alle sponde di quel fiume, sopra il quale il medesimo Iddio rubò Iphi, e n’hebbe della sua gravidanza ismisurati Giganti, Ephialte, e Otho che furono fulminati da Giove, perche n’hebbero ardire di far guerra al Cielo. Ingannò Nettuno ancora Teophane havendola trasformata in una Pecora, e se stesso in un Montone per godere dell’amor suo, ingannando i Proci, i quali furono poi trasformati in Lupi, perche havevano voluto amazzare la Pecora, essendo proprio del Lupo, di assalire la Pecora; ingannò Nettuno ancora Melanto in forma di Delfino; tutti effetti che si vegono continoamente ne i lascivi, per condure a fine i loro dishonestissimi appetiti.

La trasformatione di Apollo poi in uno Sparaviere, per ingannare l’amata Ninfa, ci da ad intendere, che ’l lascivo non è molto differente da questo uccello, in procacciare cosi il dar compimento alle bramose sue voglie, ogn’hora con nova preda come quello procaccia di satisfar’ alla fame con nuove ripresaglie. Si trasformò ancora in Leone per far’ acquisto della figliuola di Macareo, Vergine votata, e sacrata a Diana; che significa che fa bisogno che l’inamorato sia forte, & ardito come il Leone, se vuole violare la Vergine amata, trovandola lontana da i pensieri amorosi. Depinge ancora Aranne nel suo lavoro come Bacco trasformato in uva gode della figliuola d’Icaro, che non significa altro, se non che ’l vino bevuto alquanto lietamente ha forza di metter in qual si voglia animo casto, pensieri meno che honesti.

L’Acconito colto nel monte Citoriaco è sparso sopra Aranne, trasformata in Ragno, è quello sdegno che ingombra quelli che vegono spregiare, e distruete l’opera sua, fatta con molta industria, e con lunga fatica, come era la tessitura d’Aranne.

La Favola della superba Niobe trasformata in Sasso; e nella medesima Alegoria di molte altre dette di sopra di quelli che si sono voluti, come soperbi aguagliare a i Dei, onde sono rimasi privi di quelle cose dellequali piu si gloriavano, e insoperbivano; come si gloriava Niobe della sua felicità, nel generare, havendo havuto sette figliuoli, e altrotante figliuole, de’ quali tutti rimase privi dalle saette d’Apollo, e da quelle di Cinthia; Amphione Marito di Niobe, che col suo suono edificò le mura di Thebe, ci da a conoscere, che la soavità delle parole proprie, e che esprimano bene quello che l’huomo vuol dire, pronontiate poi quando dolcemente, e quando con vehemente efficacia, hà forza di ridurre gli huomini da una vita ferina, e tutta bestiale, a una lieta, e civile, che non è altro poi che edificare le mura delle città, riducendo gli huomini a vivere quietamente insieme. Si vede poi con quanta vaghezza habbi descritto l’ Anguillara che ’l tenere le dita delle mani incrocichiate, overo il pugno chiuso dove una donna partorisse, si rende molto difficile il parto, come Lucina voleva rendere quello di Latona, nella stanza: Cosi l’essule Dea vostra, mendica, con non meno vaghezza, e felicità, & arte ha descritti diversi maneggi de’ Cavalli; che fa vedere con la sua penna quello istesso che si vede con gran piacere far’ a i cavalieri migliori quando montano sopra ben creati, e ben’intendenti cavalli, di maniera che la penna quivi fa conoscere, che ha molto maggior forza che non hanno i penelli, iquali guidati ancora da artificiosa, & essercitatissima mano non saperebbero rapresentare cosi vivamente il maneggio d’un cavallo, come lo rapresenta l’Anguillara, nella stanza: Damasithone appar su un Turco bianco, e nelle seguenti, oltre che vi depinge ancora i veri segni, e mantelli, de i buoni, e generosi cavalli: come è anchora vagamente descritta la contentione de Venti, e i danni che facevano al mare, & alla terra con i loro soffij sdegnosi.

Diede materia alla favola de i Villani trasformati in Rane; una zuffa che fu fatta appresso un stagno fra i Rodiani, e i Licij, perche essendo andati quelli di Delo che s’erano mossi in favore de i Rodiani, a pigliare l’acqua, anzi intorbidandola, e difendendola facevano ogn’opra che non godessero di quell’acqua; sdegnati i Delij gli amazzorono tutti nello stagno; finita quella guerra ritornando poi allo stagno, e non vedendo alcun vestigio de i Villani morti, e sentendovi solamente le rocche voci delle Rane, si diedero a credere che le Rane fussero le anime de i Villani amazzati, e con questa loro credenza diedero occasione a questa favola; descrive l’Anguillara molto ingeniosamente la natura delle Rane, nella stanza, Hor l’animal sotto acqua si nasconde, come ancora ha descritta la sua trasformatione in quello di sopra. La natura de i Villani è descritta felicemente ancora nella stanza: Chi mosso non havrian le dolci note.

La favola di Marsia ci da ad intendere, che quando vogliamo contendere con Iddio, non lo temendo come deve esser temuto; la sua omnipotenza ci fa presto conoscere che siamo piu flussibili che non è un fiume, togliendoci tutte le forze co ’l privarci della gratia sua; di modo che cadendo in terra il nostro vigore; si converte nell’acqua del fiume laquale non si ferma giamai; come non si potiamo fermar noi, quando siamo spicati da Dio che solo è la fermezza nostra.

La favola di Tantalo, ci dimostra l’huomo avaro, che intento ad adunare Thesoro, non lascia a dietro alcuna maniera di fatica, per satisfar’ al desiderio suo; onde si dà all’agricoltura, e seminando il grano amato da esso, piu che se gli fosse figliuolo per l’utile che ne trahe, il lascia mangiare a i corpi celesti, i quali accompagnando il sole, il vengono a mangiare e dopo a ridurre in spiche sua prima forma. Il castigo di Tantalo è il medesimo che hanno gli avari che sono nelle ricchezze fin’ alla golla, e non le godono, & hanno tutte le maniere de commodi, e non se ne fanno valere; però a simiglianza di Tantalo moiono di fame, e di sete.

La favola di Terreo, e di Progne, Philomena, e Iti, e le loro trasformationi, sono tolte dalla historia, perche Terreo come quello che era di natura fiero non pigliava cosa alcuna che per forza, per questo era detto figliuolo di Marte, isforzò la cognata; e non hebbe mai ardire considerando la sua grandissima sceleragine di apresentarse alla mogliera la quale stava di continuo stridendo, e ramaricandosi vestita di nero dell’infortunio della sorella; il che diede occasione alla favola che la fusse trasformata in hirondine, come anchora la sorella nel lusignolo che ci da a conoscere quanto piu il vitio tenta di soprimere la vertù, tanto piu ella s’inalcia, e fa conoscere la sua dolcezza perche havendola Terreo priva della lingua, perche non iscoprisse la sua sceleragine; le fu provisto da’ cieli della piu soave, e dolce favella, e del piu dilettevole canto che si possi udire. La trasformatione poi di Terreo in Upupa uccello vile, e che si pasce di sterco, significa che l’huomo empio, creduele e scelerato, non si pasce che di vivande immonde, sozze, e stomachevoli. Iti poi cangiato in Fagiano significa la semplicità, e innocentia del fanciullo come quello che non era colpevole delle sceleragini; essendo il Fagiano uccello incauto, e semplice. Si vede nella descritione di questa favola molte belle sententie, comparationi, conversioni, vage descrittioni, e spiriti affettuosi dell’Anguillara, sparsi giuditiosamente in questa trasformatione; come ne gli ultimi versi della stanza, Terreo fatte le nozze non s’arresta. Bella è la composizione della stanza: Come presa dal lupo humile agnella. Come è vaga ancora la conversione della stanza: O Barbaro crudel, Barbaro infido. E ’l grido sententioso della stanza: O Ferina lascivia, ò mente infame. Vaga la comparatione della stanza: Come Tigre crudele al bosco porta, come è vaga ancora la descritione dello sdegno di Borrea nella stanza: Dhe perc’hò l’arme mie poste in oblio.

Il rubamento di Orithia fatto da Borrea, e il piacere, allegoricamente, che si ruba con la prestezza, non si lasciando fuggire l’occasione; Calai Zeto, che cacciano le Arpie dalla tavola di Fineo è il cieco dall’avaritia, che ha accecati tutti i suoi figliuoli, non potendo il cieco avaro, haver pensier’ alcuno che non sia cieco dal soverchio desiderio di adunare ricchezze. Le Arpie sozze che gli levano le vivande, di modo che non può mangiare, sono i continui, e pungentissimi stimoli del risparmio, che non lo lasciano gustare ne cibo, ne bevanda; sono cacciati questi stimoli da gli animi grandi, e liberali; ma non restano però come prima veggono partiti quelli che i cacciano, di ritornare a i loro costumati cibi del misero Fineo. Quanto sia odiata da Dio, da gli huomini, e dal mondo l’infame avaritia, non è alcuno che non lo conosca, come nemica d’ogni humana felicità e radice de tutti i mali, come scrisse l’Apostolo.