Le Mille ed una Notti/Storia del Mercante imprudente e de' suoi due Figli

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Storia del Mercante imprudente e de' suoi due Figli
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STORIA


DEL MERCATANTE IMPRUDENTE

E DE’ SUOI DUE FIGLI.


«— Voglio soddisfare vostra maestà,» rispose il giovane intendente. «Un mercatante opulento accingevasi a fare un viaggio; la sua sposa era allora incinta: le promise di tornare prima ch’ella partorisse, le volse i saluti e partì.

«Dopo aver percorsi molti paesi, il mercatante giunse alla corte d’un sovrano che aveva bisogno d’un ministro per aiutarlo a governare e difendere il regno. Il mercatante gli piacque pel suo spirito e la sua intelligenza: il re gli propose di restare alla propria corte, gli concesse la sua fiducia, e colmollo di beni e d’onori.

«Poco tempo dopo, il mercatante, il quale non aveva potuto trovarsi presente al parto della consorte, come aveva promesso, desiderò d’andarla a trovare, ed abbracciare il frutto della loro unione. Ne chiese il permesso al re, assicurandolo che sarebbe tra poco di ritorno: questi acconsentì alla sua partenza, e gli diede una borsa di mille pezze d’oro. Il mercatante s’imbarcò senza differir oltre, e prese la strada del suo paese.

«Frattanto sua moglie partorì, durante la di lui assenza, due gemelli. Essa attendeva con impazienza il marito, ed era afflitta di non riceverne notizie. Passati alcuni anni, seppe che il marito era al servizio del re del tal paese. Immaginandosi che l’avesse dimenticata, e non ritornerebbe più a casa, risolse, d’andarlo a trovare, e condusse seco i due figli. [p. 255 modifica]«Il vascello sul quale erasi imbarcata la moglie del mercatante si fermò in un’isola ove lo stesso consorte era allora approdato. La donna, avendo inteso esservi nel porto una nave proveniente dal paese ove dimorava il marito, disse ai figli di andare sulla riva, e domandare qual fosse quel vascello. I fanciulli, trovato il bastimento, vi salirono e si misero a giuocare senza pensare ad altro; ed erano talmente assorti nei loro giuochi, che lasciarono calare la notte, non pensando più nè ad adempire alla loro commissione, nè a far ritorno dalla madre.

«In quel frattempo, il mercatante riposava tranquillamente nella sua nave. Svegliato dal rumore che facevano i fanciulli, si alzò per farli tacere, e lasciò cadere la borsa in mezzo alle balle di mercanzie. La cercò a lungo, e non trovandola, si disperò, strappandosi i capelli. Se la prese allora coi fanciulli, e disse che glie l’avevano rubata: non esservi altri in quel luogo, e che giuocavano attorno alle balle sol per cogliere l’occasione di commettere qualche ribalderia. Nello stesso tempo prese un bastone, e li percosse.

«Alle grida di quelle povere creature, i marinai si radunarono, e dissero che i ragazzi di quell’isola erano tutti ladri e birbanti. Il mercatante, ancor più irritato contro quegl’innocenti, giuro che li avrebbe gettati in mare, se non gli rendevano la borsa. Infatti, appena ebbe pronunciate tali parole, li fece prendere, legare ad un fascio di canne da zuccaro, e gettar in mare.

«La sposa del mercatante, vedendo che i figli non tornavano, uscì per cercarli. Passando davanti a quella nave, domandò se qualcheduno non avesse veduti due piccoli ragazzi della tale età, e vestiti nella tal maniera. Le fu detto che quei fanciulli erano, secondo ogni apparenza, quelli stati allora gettati [p. 256 modifica] nell’acqua. La donna si mise tosto a gridare: — Oh me misera! me infelice! vostro padre, cari miei figli, non vi vedrà dunque mai più! —

«Uno dei marinai le chiese chi fosse suo marito; essa nominò il mercatante, e disse d’essere partita per andarlo a trovare. Questi la udì e la riconobbe tosto. Uscì disperato, lacerossi gli abiti e si percosse il volto. — Ho fatto,» diss’egli, «perire io stesso i miei figliuoli. Ecco il frutto del mio furore della mia precipitazione ed imprudenza! —

«Dopo aver pianto assai i figli, prese la risoluzione d’abbandonare ogni cosa per cercar di scoprire ciò che ne fosse accaduto. Abbandonò il bastimento sul quale si trovava e ne prese un altro per cominciare a percorrere i mari vicini, e visitare tutte le isole e tutte le coste.

«Frattanto i due meschinelli, sostenuti felicemente sulle onde dai fasci di canne di zucchero cui erano legati, furono dal vento sospinti su diverse rive, dopo essere stati a lungo trastullo dell’onde. Uno di essi, gettato sulle coste d’un vicino regno, fu raccolto da uno dei principali emiri della corte, il quale ne informò tosto il re. A quel principe, privo di prole, piacque l’aspetto del ragazzo che il caso gli presentava, e risolse di farlo passare per proprio figlio. Ordinò all’emiro di non divulgare quell’avventura, e fece spendere la voce d’aver fin allora accuratamente nascosta la nascita di suo figlio, e d’averlo fatto allevare segretamente per sottrarlo a certi pericoli statigli minacciati dalle predizioni degli astrologhi.

«La cosa fu creduta più facilmente, avendo il re fatto distribuire al popolo molto denaro, ed ordinate grandi feste in quella circostanza. Si fece comparire in pubblico il ragazzo; tutti furono meravigliati del suo bell’aspetto, e fu riconosciuto solennemente come erede della corona. [p. 257 modifica]«Scorsi alcuni anni, il re morì, ed il giovane gli successe. La sua potenza fu in breve consolidata dalla sua buona condotta; si fece amare dai sudditi e rispettare dai vicini.

«Il mercante e la di lui consorte, dopo aver lungo tempo percorsi i mari senza poter attingere alcuna notizia dei figli, perdettero la speranza di trovarli, e credendoli inghiottiti dall’onde, fissarono il loro soggiorno in un’isola.»


NOTTE CDLI


— «Un giorno che il mercante passeggiava sulla pubblica piazza, vide un giovane schiavo, che stavasi per mettere in vendita. Informossi della sua età, e quando lo seppe, disse fra sè:

«— I miei figli avrebbero precisamente la medesima età; bramerei comperare questo giovane schiavo per consolarmi un po’ della loro perdita.» Lo comperò infatti, lo condusse a casa, e lo presentò alla moglie. Questa mandò un grido vedendolo, e disse: — È uno de’ nostri figli!» I due consorti, pieni di gioia per aver trovato uno dei figliuoli, gli chiesero tosto nuove del fratello. Ei disse loro che i flutti li avevano separati, e che non sapeva cosa ne fosse accaduto. Quella notizia li afflisse; ma concepirono la speranza di trovar l’altro qualche giorno, come avevano trovato il primo.

«Il figlio, che il caso aveva restituito al mercatante, era già grande, ed in età di scegliersi uno stato. I genitori desideravano che non si allontanasse; [p. 258 modifica] ma avendo egli una pronunciata inclinazione pel commercio, il padre gli diede un grosso fondo, composto di merci preziose. Il giovane partì, e giunse per caso nella città, ove risiedeva il re suo fratello.

«Questi, informato dell’arrivo d’un mercante provveduto degli oggetti più rari, e che potevano meglio convenire ad un sovrano, l’invitò a recarsi al suo palazzo, lo fece sedere, e si mise a discorrere con lui. Benchè ignorasse che gli fosse fratello, la natura, la quale non cessava d'agire, gl’inspirò un segreto attaccamento per lui. Proposegli quindi di restare alla corte, e gli promise d’innalzarlo ai più grandi onori, e dargli quanto desiderava.

«Il giovane mercatante, lusingato di quell’accoglienza, accettò le sue offerte. Dopo qualche tempo, vedendo che il re non voleva si allontanasse, informò i genitori dell’accaduto, e li pregò di venirlo a trovare. Recatisi dal figlio, maravigliarono al vedere il favore che godeva, ed il grado al quale era stato innalzato. Un avvenimento imprevisto venne però in breve a turbarne la gioia ed a cagionar loro i più vivi allarmi.

«Il re uscì un giorno dalla capitale per andar a caccia, accompagnato da poche persone. Verso sera, non volendo rientrare ancora nella città, fece erigere la tenda in mezzo alla campagna, ed ordinò gli si imbandisse qualche cibo. La fatica e l’esercizio aguzzandone l’appetito, si abbandonò ai piaceri della tavola, bevve più dell’usato, e si lasciò vincere dal sonno.

«Il favorito, vedendo il suo padrone in tale stato e con pochi seguaci, e temendo per la sicurezza della sua persona, volle passare la notte dinanzi alla sua tenda e servirgli di guardia. Si alzò tosto, sguainò la spada, e si pose in sentinella davanti alla tenda. Uno dei paggi, invidioso da gran tempo del favore [p. 259 modifica] che il giovane godeva e della fiducia riposta dal re in lui, vedendolo colla spada nuda in mano, gli domandò cosa facesse colà a quell’ora, ed in mezzo ad una campagna sì tranquilla. — Io veglio,» rispose, «alla sicurezza del re; le sue bontà a mio riguardo m’impongono il dovere di temer per lui, anche quando sembra non sovrasti verun pericolo. —

«All’indomani mattina, il paggio raccontò ai compagni l’azione del prediletto; dessa ne aumentò l’odio, e credettero d’aver trovata l’occasione di perderlo e sbarazzarsi di lui. In tal risoluzione, si presentarono al re, ed uno di essi gli disse che dovevano palesargli una cosa della massima importanza. — Che cos’è?» chiese il monarca.

«— Quel giovane mercatante,» continuò il paggio, «che ha l’onore di star vicino a vostra maestà, e che voi innalzaste al disopra di tutti i signori della corte, ha concepito il progetto di attentare alla vostra vita; noi l’abbiamo veduto ier sera colla spada in mano, spiando il momento di scagliarsi su voi. —

«Il re, udendo quelle parole mutò di colore, e chiese ai paggi se avessero qualche prova del reo progetto che attribuivano al favorito. Il paggio, che parlava anche a nome degli altri, rispose: — Se il re vuole questa sera finger di dormire, osservare il giovane, vedrà coi propri occhi la verità del nostro asserto. —

«I paggi si recarono poscia dal giovane, e gli dissero: — Il re approva il vostro zelo, e si mostra assai soddisfatto di quanto faceste ieri; questa azione ha vie più aumentata la fiducia che avevagli voi, e non dovete tralasciar di agire nello stesso modo tutte le volte che si presenterà la stessa circostanza. —

«La notte seguente, il re, essendosi ritirato nella sua tenda, finse di dormire come il giorno antecedente, ed aspettò che il giovane comparisse per eseguire il progetto che gli supponeva. Non molto dopo lo vide [p. 260 modifica] avanzarsi nella tenda, e mettere la mano alla spada. Allora, trasportato dallo sdegno, senza aspettar altro, ordinò di arrestarlo, e gli disse: — Ecco adunque la ricompensa de’ miei benefizii io ti ho dimostrata una stima ed amicizia particolare, e tu vuoi attentare a’ miei giorni! —

«Due dei paggi del re inoltraronsi, e chiesero se dovevano far balzar la testa al giovane mercatante. — La precipitazione,» rispose il monarca, «è soventi volte dannosa: si può sempre punire un colpevole, ma non si può dare la vita all’uomo cui fu tolta. Bisogna prima esaminare accuratamente le cose.» Il re ordinò soltanto che si conducesse il giovane in prigione, e rientrò nella città, occupandosi d’altri affari.

«All’indomani, andò ancora alla caccia, e non ne tornò che alla sera; sembrando avesse dimenticato l’affare del favorito, i visiri gli dimostrarono essere pericoloso il tardar a punire in simili circostanze; che la speranza dell’impunità poteva incoraggiare gli ambiziosi, e che già il popolo mormorava.

«Il re sentì allora riaccendersi la collera, ed ordinò che, condottogli il giovane, lo si decapitasse. Gli furono bendati gli occhi; il carnefice alzò il brando sul di lui capo, e volgendosi al monarca, secondo l’usato, chiese se dovesse scagliare il colpo mortale.

«Questi, scorgendo in quel punto un vecchio ed una donna che accorrevano, cogli occhi bagnati di lagrime, e con tutti i segni della maggior desolazione, ordinò di sospendere il supplizio, fece avanzare gli sconosciuti, prese un foglio che il vecchio gli presentava, e vi lesse ad alta voce queste parole:

««In nome del Dio di bontà e di misericordia, non affrettatevi a far morire quel giovane! Un eccesso di precipitazione mi rese causa della morte di suo fratello, e ne piango ancora la perdita. Se volete una vittima, fate morir me in sua vece.»» [p. 261 modifica]«L’incognito, il quale era, come ognuno avrà compreso, il padre del giovane, struggevasi in lagrime al pari di sua moglie, prosternati ai piedi del re. Questi, commosso da tale spettacolo, li fece alzare, e disse al vecchio di raccontargli la sua storia.

«Appena n’ebbe udite alcune parole, mandò un grido, scese dal trono, e gettossi al collo del vecchio, sclamando: — Voi siete mio padre!» Abbracciò poscia la madre, corse dal fratello, gli tolse dagli occhi la benda, e se lo strinse al seno.

«È così, o re!» disse il giovane intendente terminando, «è così che la precipitazione del mercante gli cagionò molti dispiaceri, e che la saggia lentezza di suo figlio gl’impedì di far morire il fratello, e gli fece trovare i genitori. Che vostra maestà adunque non si affretti a farmi perire, nella tema di non doversi quindi pentire, ed essere dolente della mia morte. —

«Il re, udita la storia del mercatante e de’ suoi figli, ordinò di nuovo di ricondurre il giovane schiavo in carcere, e disse al visir che esaminerebbe ancora all’indomani quell’affare, ma che l’indugio non avrebbe impedito che il colpevole espiasse colla morte il commesso delitto.

«La mattina dopo, era il terzo giorno della prigionia del giovane principe, il terzo visir si presentò al re, e gli disse: — O re! non perdete di vista l’affare del giovine intendente, e non differite più a lungo il castigo che ha meritato; la sua audacia è conosciuta da tutti i vostri sudditi, e se ne aspetta con impazienza la punizione. Fatelo morire al più presto, affinchè si cessi dal parlare di costui, e non si dica che il re ha trovato un giovane nell’appartamento della regina e gli abbia perdonato un delitto che non meritava pietà.» Il monarca, inasprito da quelle parole, ordinò che gli fosse condotto dinanzi il giovane intendente carico di catene, e così gli parlò: — [p. 262 modifica] sciagurato, tu compromettesti il mio onore, attentando alla riputazione della regina: bisogna che ti tolga la vita.

«— O re!» rispose il giovane; «aspettate ancora un poco a vendicare l’ingiuria che credete aver ricevuta: la pazienza è sempre utile, e sovente necessaria; essa raddolcisce i mali e procura talvolta i maggiori vantaggi. Dio non manca mai di ricompensare la pazienza: è dessa che trasse Abusaber dal fondo d’un pozzo per farlo salire al trono.

«— E chi era questo Abusaber?» riprese vivamente il re; «raccontamene la storia.»

La sultana era stata svegliata dalla sorella più tardi dell’usato; fu perciò costretta a rimettere all’indomani il seguito della storia dei dieci visiri, con sommo dispiacere del sultano e di Dinarzade, la quale le promise di essere d’or innanzi più diligente.