Le Mille ed una Notti/Storia di Abusaber o dell'Uomo paziente

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Storia di Abusaber o dell'Uomo paziente
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NOTTE CDLII

STORIA


DI ABUSABER O DELL’UOMO PAZIENTE.


— «Sire,» disse il giovane, «un ricco massaio, chiamato Abusaber, aveva moglie e due figli. Essi abitavano in un villaggio, che renderemo felice colla loro umanità e coi favori che procuravano agli abitanti: alcuni coltivavano le terre di Abusaber, altri avevano cura de’ suoi numerosi armenti.

«Uno de’ lavoranti tornò un giorno a casa pieno di spavento, e disse di aver veduto un leone nei dintorni. Infatti, il feroce animale sbranò nello stesso giorno alcuni agnelli; fece altrettanto l’indomani, e continuava tutti i giorni le sue depredazioni; i [p. 263 modifica] bestiami di Abusaber diminuivano rapidamente, e stavano per essere affatto distrutti. Sua moglie, afflitta da un avvenimento che poteva cagionare la loro rovina, gli disse dopo alcuni giorni: — Amico, questo leone ha già fatta perire la maggior parte delle nostre mandre; monta a cavallo, ponti alla testa dei tuoi, cerca il covile di quella belva feroce, e sbarazzaci da questo tremendo flagello.

«— Moglie,» rispose Abusaber, «abbi pazienza; è il partito più vantaggioso in codesto caso. Il leone, autore dei nostri mali, è crudele, ingiusto e malvagio: Dio punisce gl’ingiusti; la malizia del malvagio ricade su lui, e la sola pazienza ci sbarazzerà di questo animale. —

«Alcuni giorni dopo, il re, essendo a caccia, incontrò il leone, lo inseguì colla sua gente, lo circondò e lo uccise. Abusaber, udita quella notizia, disse alla moglie: — Non aveva io ragione di dirti che la malizia del malvagio ricade sempre su lui? Se avessi voluto uccidere io stesso il leone, non vi sarei riuscito: ecco il vantaggio della pazienza. —

«Poco tempo dopo, fu commesso un omicidio nel villaggio abitato da Abusaber. Il re, per punire il villaggio, lo fece saccheggiare e distruggere, e si portò via gran parte degli averi di Abusaber; sua moglie allora gli disse: — Tutti quelli che sono vicini al re ti conoscono, e sono convinti della tua innocenza; presenta una supplica al re onde ti restituisca i tuoi beni.

«— Moglie,» rispose Abusaber, «non vi ho io già detto che il male ricade sempre su quello che lo fa? Il re fa del male, e ne sarà punito. Chiunque prende la roba altrui, deve vedersi in breve privo del proprio. —

«Uno dei vicini di Abusaber, altre volte invidioso della sua opulenza, e ch’era sempre stato suo nemico, [p. 264 modifica] udite queste parole, corse a riferirle al re. Si tolse, per di lui ordine, il poco che rimaneva ad Ahusaber, e venne scacciato dalla casa, colla moglie ed i figli.

«Mentre inoltravansi per la campagna, senza sapere ove rivolgere i passi, la moglie di Abusaber gli disse: «Tutto ciò che ci accade è l’effetto della tua pigrizia e negligenza. — Moglie,» rispos’egli, «abbi pazienza: dessa è sempre ricompensata. —

«Avevano appena fatto alcuni passi, quando furono assaliti dai ladri che tolsero loro tutto il poco che avevano, li spogliarono dei loro abiti; e condussero via i due figliuoli. La moglie di Abusaber sclamò allora piangendo: — Amico, lascia da parte le tue idee; corri dietro ai ladri; forse avranno pietà di noi, e ci restituiranno i nostri figli.

«— Donna,» rispondeva sempre Abusaber, «abbi pazienza; l’uomo che fa il male ne è sempre punito, e spesso il male che fa ricade su lui. Se io inseguo quei ladri, qualcuno di essi può forse sguainare la spada ed uccidermi, ed allora che avverrà di te? Abbi pazienza, ti dico: la pazienza è sempre ricompensata. —

«Continuando il viaggio, giunsero ad un villaggio del Kerman (1), vicino al quale scorreva un fiumicello. — Fermati un momento,» disse allora Abusaber alla sposa, «onde vada in quel villaggio ad informarmi in qual luogo potremo alloggiare.» Ciò dicendo, lasciò la moglie sulla riva del fiume.

«Mentre andava al villaggio, un cavaliere venne al fiume a far bere il palafreno; vide la moglie di Abusaber, gli piacque, e le disse: — Salite a cavallo con me; io vi sposerò e farò la vostra sorte. — Sono già maritata,» rispose la moglie di Abusaber. Il cavaliere, sguainando allora la scimitarra, la minacciò [p. 265 modifica] di ucciderla se non lo seguiva. L’infelice, non potendo oppor resistenza, scrisse col dito sulla sabbia:

«— O Abusaber! tu hai perduto, colla tua pazienza, gli averi, i figli, tua moglie infine che ti era cara più d’ogni altra cosa; eccoti solo: or vedremo a che ti servirà la pazienza. —

«Il cavaliere non le lasciò tempo di scrivere di più: la prese in groppa, e fuggì.

«Abusaber, essendo di ritorno, e non vedendo la consorte, lesse le parole scritte sulla sabbia, si mise a piangere, e sedette, pieno di disperazione. — Abusaber,» disse fra sè, «è in questo momento che fa d’uopo armarsi di tutta la pazienza; ma forse tu sei riservato a qualche prova ancor più dura.» Alzandosi poscia, camminò come dissennato, e senza sapere dove andasse; e giunse in un luogo ove lavorava molta gente a fabbricare un palazzo pel re.

«Appena si vide Abusaber, lo presero, obbligandolo a lavorare cogli altri all’edificio, sotto minaccia, ove rifiutasse, di metterlo in prigione per tutto il resto de’ suoi giorni. Abusaber si riunì agli altri operai, e riceveva ogni giorno, per paga, un piccolo pane d’orzo. Lavorava così da più d’un mese, quando un suo compagno cadde dall’alto di una scala e si ruppe una gamba. Siccome gridava e lamentavasi, Abusaber gli si avvicinò e disse: — Abbi pazienza, e non piangere: la pazienza addolcirà i tuoi mali. — E fin quando dovrò sopportare con pazienza?» rispose bruscamente l’operaio. — Abbi sempre pazienza,» riprese Abusaber; «giacchè la pazienza può estrarre un uomo dal fondo d’un pozzo, e farlo salire sul trono. —

«Il re di cui si fabbricava il palazzo era in quel momento alla finestra; udite le parole di Abusaber, ne fu sdegnato, ed ordinò che lo si arrestasse. Eravi, nel palazzo un pozzo, in un gran sotterraneo; il re [p. 266 modifica] ve lo fece calare, e gli disse: — Insensato, vedrai ora se potrai uscire da questo pozzo per salire sul trono.» Tornò all’indomani a dire la stessa cosa all’infelice Abusaber, e tutti i giorni gli faceva dare un pane, ripetendogli le stesse parole, alle quali il misero nulla rispondeva.

«Il re aveva avuto un fratello contro il quale avendo concepito una gran gelosia, erasi determinato a rinchiuderlo in quel sotterraneo. Questi non aveva potuto sopportare a lungo la noia ed il rigore di tale prigionia. I grandi del regno, ignorandoue la morte, mormoravano d’una sì lunga cattività, ed accusavano il re d’ingiustizia; altre ragioni unendosi a questo, il malcontento divenne generale: il re fu riguardato come un tiranno, ed un giorno, scoppiata una sollevazione, venne ucciso.

«Si andò subito al sotterraneo, e fecero uscire Abusaber, credendolo fratello del re. La somiglianza che per caso il prigioniero aveva con lui, il tempo trascorso dacchè era stato in carcere, contribuì a non farli accorti dell’errore. Uno dei principali signori del regno venne a dire ad Abusaber: — Noi ci siamo disfatti di vostro fratello, la cui tirannide n’era divenuta insopportabile, e voi regnerete in sua vece. —

«Abusaber non rispose, e riconobbe che il suo innalzamento era la ricompensa della propria pazienza. Fu vestito cogli abiti regali e fatto salire sul trono. Abusaber regnò con giustizia ed equità, e mostrandosi generoso e benefico, si cattivò l’amore dei sudditi, e fecesi obbedire tanto per amore che per dovere. Non trascurava gli affari esterni; aveva cura di ben difendere i confini, e manteneva numerose soldatesche.

«Il re che aveva tolto gli averi ad Abusaber, scacciandolo dal villaggio che abitava, toccò in breve la medesima sorte: uno de’ suoi vicini, col quale era in guerra, entrò nel suo paese alla testa di un grosso [p. 267 modifica] esercito, s’impadronì della capitale, e l’astrinse a sottrarsi colla fuga alla crudeltà del vincitore.

«Il fuggiasco, accompagnato da pochi ufficiali, recossi alla corte di Abusaber, chiedendogli soccorso. Essi si riconobbero al primo abboccamento. — Tu vedi,» gli disse Abusaber, «l’effetto e la ricompensa della pazienza: l’Onnipossente ti dà in mia balia. —

«Ordinò allora che si spogliasse il re fuggitivo ed i suoi officiall di tutto quello che possedevano, fe’ loro togliere perfino gli abiti, e li scacciò dai propri stati.

«Tutta la sua corte, la milizia ed il popolo furono sorpresi da quel trattamento, che sembrava tanto contrario all’umanità da Abusaber fin allora mostrata, e non sapevano comprenderne la cagione. — Qual è adunque la condotta del nostro sovrano?» dicevansi vicendevolmente. «Un re vicino viene ad implorare il suo soccorso, ed egli lo scaccia e lo spoglia di tutto! Non è così che i monarchi agiscono di solito! —

«Poco tempo dopo, Abusaber, avendo udito che alcuni ladri infestavano una provincia de’ suoi stati, mandò buon nerbo di truppe ad inseguirli: furono presi e condotti alla di lui presenza. Li riconobbe egli per quei briganti che avevangli rapiti i figli, e domandò al capo della masnada ove fossero i fanciulli che avevano rapito il tal giorno, nel tal luogo; il capo dei ladroni rispose:

«— Sire, eccoli in mezzo a noi; i sentimenti che notammo in essi, li pongono al disopra della nostra professione. Prendeteli al vostro servizio; tenetevi eziandio le ricchezze che abbiamo accumulate, e cui siamo pronti a scoprirvi; noi rinunceremo al mestiere di assassini, e combatteremo nelle vostre milizie per la difesa dell’impero. —

«Il re diede ordine di far entrare nel suo [p. 268 modifica] appartamento i due giovani. Domandò quindi al capobanda ove fossero le loro ricchezze. Questi gli indicò i sotterranei in cui stavano nascoste. Quand’ebbe fatta tale dichiarazione, il re comandò che gli si troncasse la testa, come pure a tutta la masnada.

«I sudditi di Abusaber mormorarono sempre più contro di lui. — Questo re,» dicevano, «è ancora più ingiusto di suo fratello: quei ladri hanno palesate immense ricchezze, ed offrivano di rinunciare alla loro vita d’assassini; egli perdona a due di essi, e fa morire gli altri! —

«Scorso qualche tempo, un cavaliere venne a lagnarsi ad Abusaber che sua moglie respingeva le di lui carezze, e contraccambiava il suo amore coll’avversione. — Conducetemi vostra moglie,» disse il re; «è giusto ch’io ascolti le sue ragioni.» Il cavaliere uscì, e tornò poco dopo colla sposa. Abusaber, appena la vide, ordinò che venisse condotta nel suo appartamento, e si tagliasse la testa al cavaliere.

«A quel nuovo decreto, i grandi ed il popolo non poterono contenere il loro malcontento, e le mormorazioni scoppiarono d’ogni parte. Abusaber allora, adunato il consiglio, prese la parola, e disse:

«— Grandi dello stato, visiri, e voi tutti qui presenti, è tempo di scoprirvi la verità, e far cessare una volta il vostro errore sulla mia persona e la sorpresa che vi cagionano i giudizi da me pronunciati: io non sono il fratello del vostro ultimo sovrano. Straniero in questi luoghi, veniva a cercarvi un asilo; fui preso e condannato a lavorare per forza nella costruzione di questo palazzo. Uno de’ miei compagni di lavoro essendosi spezzata una gamba cadendo, io l’esortai alla pazienza, dicendo: — La perfezione della pazienza è tale, ch’essa potrebbe innalzare al trono un uomo precipitato nel fondo di un pozzo. — [p. 269 modifica]«Il vostro ultimo monarca m’intese, e sdegnandosi di quella massima, pretese provarnene la stravaganza, e mi fece calare in un pozzo. Voi me ne cavaste per pormi sul trono; Dio volle giustificare la verità della massima che il mio predecessore trattava di follia, e ricompensare la pazienza da me dimostrata nelle disgrazie che ora son per narrarvi.

«Quel re mio vicino, che veniva ad implorare il mio soccorso, e ch’io scacciai dopo avergli tolto quanto possedeva, fu una volta mio sovrano. Egli s’impossesso ingiustamente di tutti i miei beni, e mi scacciò dal mio paese; io non feci che usare con lui di rappresaglie, e fargli subire la legge del taglione.

«I ladri giustiziati per mio ordine mi tolsero il poco che portava nel mio esiglio, e spogliatomi perfino degli abiti, condussero via i miei due figli: sono dessi i due giovani da me fatti entrare nel palazzo, e che voi riguardaste come ladri cui avessi perdonato. Circa ai masnadieri che me li avevano rapiti, io non poteva prestar fede al pentimento ed alle proteste loro: essi avevano meritata più d’una volta la morte, ed erano indegni di servire lo stato.

«Il cavaliere al quale fu tronca la testa, mi rapiva la moglie, l’unica consolazione che mi restasse: io era in diritto di riprenderla, ed è quella che feci condurre nell’interno del palazzo.

«Tali sono i motivi della mia condotta in queste ultime circostanze; se vi sembrò dapprima ingiusta e crudele, dovrete ora riconoscere ch’essa è conforme alle regole della giustizia ed alla più stretta equità. —

«I grandi del regno, udito il discorso di Abusaber, se gli prosternarono ai piedi, domandandogli perdono delle mormorazioni loro sfuggite; gli attestarono la propria ammirazione per 1a pazienza colla quale aveva sopportate le sciagure, e protestarongli che quello che ne avevano udito, non faceva se non [p. 270 modifica] aumentare l’attaccamento e l’amore per lui. Abusaber li ringraziò, ed affrettossi a recarsi dalla consorte e dai figli. Dimostrò loro il contento che provava nel rivederli, e disse alla donna: — Tu vedi i vantaggi e la ricompensa della pazienza: i suoi frutti si fanno aspettare; ma sono tanto dolci, quanto amari quelli della precipitazione. —

«Così dunque, o re,» continuò il giovane intendente parlando ad Azadbakht, «qualunque sia la vostra grandezza e potenza, non dovete sdegnare di far uso della pazienza. —

«La storia di Ahusaber, o l’uomo paziente, avendo calmata alquanto l’ira di Azadbakht, ordinò di ricondurre il giovane in prigione.

«Il quarto visir, per nome Zaschad, si presentò al re il quarto giorno, inchinossi profondamente, e gli disse: — Sire! non lasciatevi sedurre dai racconti del vostro schiavo; finiamo ch’esso vivrà, i vostri sudditi non cesseranno dal parlare della sua temerità, e voi non potrete godere d’un assoluto riposo. — Hai ragione, o visir,» disse Azadbakht; «mi si conduca dinanzi quell’insolente: voglio fargli troncare la testa.» Il giovane tosto comparve carico di ferri. — Sciagurato!» gli disse il re; «tu credi colle tue parole di farmi dimenticare il tuo misfatto ed evitare la morte colla tua eloquenza; ma l’ingiuria che mi facesti è troppo grande perchè io possa dimenticarla, ed io voglio lavarla nel tuo sangue.

«— Sire,» rispose il giovane imperterrito, «la mia vita è nelle vostre mani: voi potete disporne come v’aggrada; ma aspettate ancora: la troppa fretta è il difetto del volgo; la pazienza è la virtù dei sovrani; più il loro potere è grande, più devono usarne con prudenza: in una parola, voi potete troncare il filo dei miei giorni; ma non potrete rannodarlo, se per caso ne provaste rammarico in seguito. La storia [p. 271 modifica] del principe Behezad racchiude molti tratti che mostrano a tutt’evidenza i pericoli della precipitazione. — Ebbene!» disse Azadbakht; «acconsento ad udirti raccontare anche questa storia.



Note

  1. Provincia di Persia.