Le Ricordanze (Rapisardi 1872)/Parte seconda/Lontananza
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LONTANANZA.
Ultimo amor de la mia vita, or come
Volgono i giorni tuoi, poi che ne volle
Novamente divisi il fato avverso?
Io, quale infermo sognator, che assai
Co ’l travolto pensier mari e paesi
Visitò sorvolando, e campi lieti
D’assidue primavere e monti d’oro
Mirò stupito, ed allegrossi al bacio
Voluttuoso d’un’aërea forma
Fuggitiva con gli astri, ove a l’usata
Luce si svegli, doloroso intorno
Mira il povero letto e qualche pio
Volto che piange il dubitante amico,
Io deserto così, così dolente
Mi travaglio ne l’alma, or, che lontano
Dai pietosi occhi tuoi, riveggio il nero
Limitar de la mia stanza campestre,
E solingo m’aggiro ove altra cosa
Che ti guardi non è tranne il cor mio.
O mio diserto amor, fu dunque un vôto
Sogno la mia felicità? Ben sento
Sovra la bocca mia qualcosa io sento
Che di te mi favella; odo nei santi
Penetrali del cor la tua promessa;
Arde, sol ch’io ti nomi, arde il mio sangue
Un dolce ed infinito impeto, e come
Dolorosa armonia dentro mi piange
Tutto l’affanno de l’estremo addio.
O mio lontano amor, no, non fu vôto
Sogno la mia felicità! Con queste
Derelitte mie braccia io tante volte
La tua snella persona al cor mi chiusi;
Con queste labbra mie bevvi la vita
Che spremea da le tue labbra l’amore;
E il languir dei tuoi grandi occhi, e i sorgenti
Ai sussulti d’amor veli negletti
Con questi occhi mirai ch’or apro al pianto.
O lontano amor mio, ricordi i giorni
Cui diede Amor tant’ale e tante rose?
Come colombe ci amavam; quest’egre
Giornate mie correan rapide e belle
Come raggio di luce! Ai nostri amplessi
Breve era il tempo; a le speranze nostre
Poca la terra; indifferente e muta
Coi suoi stolti tripudi e i suoi dolori
A noi dintorno discorrea la vita
Senza, ieri o domani; e se del cielo
Mai ne sorse disio, come smarrite
L’alme nostre il cercar dentro ai nostri occhi.
Dove ti cerco io più, dove tu sei,
Luce e respir de la mia vita? Io sento
Di quest’ultimi fiori, onde s’ingemma
Il romito vïal del mio giardino,
La modesta fragranza; ad uno ad uno
Sorger miro i tremanti astri, ma il dolce
Sospir non sento dei tuoi labbri, e in mezzo
A tanti astri i tuoi mesti occhi non miro.
Dove ti cerco io più, dove tu sei,
Luce e respir de la mia vita? Io sorgo
Mattutino con l’albe, erro pe’ monti
Come pazzo fantasma, e le rugiade
Scintillanti su l’erbe avido io bevo.
Ma dolcezza e virtù pari non hanno
A le lacrime tue. Mormora il bosco
Secreti inni d’augelli, occulti amori
Di zeffiri e di ninfe, io dolorando
Chiamo su ’l labbro mio le tue canzoni
Dolcissime di tutto, e come avvolta
Entro un mar d’armonie l’alma sen fugge
Verso quel ciel dove tu aspetti e piangi.
Oh! non pianger così! Questa ch’io vivo
Da te lontan vita non è; perduta
Vela per ampio mare, irto di negre
Rupi e di mostri paurosi, in preda
Di scatenati demoni, lontana
D’ogni luce di faro e d’ogni riva,
La mia vita or somiglia; e quando inqueta
E tempestosa più l’anima freme,
E i cari regni del passato e i neri
Profondi abissi del doman viaggia.
Allor tacita più, più inerte e immota
Stagna la vita mia. Fulmina il sole
I suoi fervidi raggi, ed io per terra
Qual vilissima cosa, immobil, muto
D’altri ignaro e di me giaccio, ed aspetto
Qual mai cosa non so, ch’or mi tien forma
D’una candida sposa, or si tramuta
In un fosco disio che par la morte.
Lascia talor dai suoi morbidi rami
Qualche stella cader nitida e fresca
Il mio pietoso gelsomin, l’antico
Confidente dei miei sogni, e la posa
Con occulta pietà su’ miei capelli.
Fra cui leggera, e trepida intrecciossi
Tante volte la tua mano, e su’l fronte
Scivolando freschissima, diffuse
Mille brividi ardenti entro al mio sangue.
Strani e inqueti così volgono i giorni
Ch’io lontano da te vivo tra queste
Luttüose pareti, ove non scherza
Raggio di luce mai, dove non sorge
Spirto alcuno di gioia, e vi si asside
Tenebroso il silenzio, o vi si aggira
Ululando una bruna ombra, che nulla
Di vivente non ha tranne il dolore.
Povera madre mia! Di me sol’uno,
Dopo il pianto ella vive! Avria già chiusi,
Senza l’amor che al viver mio consacra,
I suoi vedovi giorni entro a la fossa,
E raggiunto anzi tempo il cener santo
Del mio padre infelice! Io la lasciai
Derelitta e piangente, e a le tue braccia,
De l’universo immemore, mi spinse
Quell’occulta virtù, che volge al cielo
Ogni pallida fiamma e a le nascenti
Rose del giorno il pellegrino augello.
Povera madre mia! M’aspettò tanto,
Tanto pregò propizii al mio ritorno
L’amor, l’onde, i celesti! Io la guardai
Come straniero, allor che con le aperte
Braccia al collo mi corse; ignota al core
Mi suonò la sua voce; indifferente
Passò sovra le mie guance il suo pianto,
E se dolce parola ebbe il mio labbro,
S’ebbe lagrima il ciglio, era a te vôlta
La mia dolce parola e il pianto mio!
Deh! perdonami, o madre! Amor s’è fatto
Tal tiranno di me, che a nulla io vivo
Fuor ch’ai governi suoi. Splendido e sordo
Siccome fiamma voratrice, egli arde
Nel petto mio; sugge il mio sangue, avvolge
Tutti nel suo furor memorie e cose
Ed affetti e speranze, e grande e solo
Sopra il fatto deserto ei vive e regna!
Pur la vita mi è cara, e nuova attingo
Virtù dal pianto. Dal mio pianto io miro
Sorger come una dolce iri di pace,
E crescer fra le mie lacrime il fiore
D’una cara speranza. Oh! tu che sai
Tutta l’anima mia, tu che sol vivi
De la promessa del mio cor, lontana
Gioia e sol’aura che il mio cor respira,
Tu quel fior con le pure aure alimenta
De la tua fedeltà! Forse, o ch’io sogno
Non concesse dolcezze, al nostro amplesso
Presiederà quella serena e pia
Divinità che da gran tempo invoco
A la sorda fortuna, ed ove indegne
Fian l’alme nostre del divin suo riso.
La pace mia la chiederò a la morte!
Fine.