Le Ricordanze (Rapisardi 1894)/Parte prima/Addio

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Parte prima - Addio

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ADDIO


Addio, placidi campi,
     Asil nel mio dolore;
     Dove che il passo io stampi,
     La vostra cara immagine
     Mi porterò nel core:
     All’aer suo ridente
     Torna col marzo il pellegrino augel;
     Ritorno anch’io, benchè solo e dolente,
     Al dolce riso del mio patrio ciel.

Addio, bruna e secreta
     Valle ove il Sol si perde,
     Ove limpida e cheta
     Spiccia dal masso e mormora
     L’onda tra ’l vario verde;
     All’ombra tua serena

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     Stanco s’asside il povero pastor,
     E al noto suon della silvestre avena
     Pasce la greggia, e posa il cacciator.

Dalle selvose vette,
     Dal piano e dalle valli
     Venite, o forosette,
     La provvida vendemmia
     A festeggiar co’ balli:
     Danziam, colmiamo i nappi,
     Orniam le chiome d’ellera e di fior’;
     All’acre odor degli spremuti grappi
     Men triste il vostro addio suoni al mio cor.

Addio; qual foglia al vento,
     Come alcion su lago,
     Va l’infedel contento,
     E dietro a lui dileguasi
     Ogni più cara immago;
     Addio; l’ape smarrita
     Cerca tra’ fiori il timo e il gelsomin;
     Io fra voi cerco la gentil mia Ghita,
     Ghita che bruni ha gli occhi e nero il crin

Ah, qui non è! Dai cheti
     Colmi di sua casetta
     Dileguarono i lieti

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     Giorni, siccome tortori
     Dalla montana vetta;
     Su la finestra bruna
     Venne a posarsi, ingrato ospite, il duol:
     Fuggì dietro alla mobile fortuna
     L’amore infido e l’amicizia a vol.

O poveretta, or dove,
     Ditelo, or dove è ita?
     Corre col verno altrove,
     E va piangendo all’aure
     La rondine romita:
     Forse ella pur solinga
     Cerca sott’altro ciel pane ed asil;
     Forse in cerca di fiori ella raminga,
     Ma più per lei non fiorirà l’april!

O nuvoletta bianca,
     Che vai pe ’l ciel turchino,
     Se mai soletta e stanca
     L’incontrerai fra’ triboli
     Del suo lungo cammino,
     O nuvoletta lieve,
     Sovra il capo di lei rattieni il vol:
     Chè quella fronte candida qual neve
     Non tocchi e offenda nel meriggio il Sol.

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O tiepide, e leggiere
     Aure di fior’ nutrici,
     Se a quelle trecce nere
     Non val recar le splendide
     Corone dei felici,
     Deh, le recate almeno
     Quel piccol fiore che non sa il morir,
     Le sussurrate, aure pietose, in seno
     La speranza del cielo e il mio sospir!