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Le Ricordanze (Rapisardi 1894)/Parte terza/Egoismo

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Parte terza - Egoismo

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EGOISMO



Sempre che a la notturna aere dirotta
     Scroscia la pioggia, ed urlano
     Alle finestre i venti,
     E a’ fulmini frequenti
     Ardono li spiragli e il ciel borbotta,
     Fra le diffuse coltrici,
     Ove tranquillo io giaccio,
     Meglio mi avvolgo, o tacito
     Cerco un asil della mia donna in braccio.

Poi fra me dico: A questa perfid’ora
     Chi sa quanti perigliano
     E in terra e in mare; e in quanti
     Petti solinghi, ansanti
     Trema la vita! E chi tra’ flutti implora

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     Il ciel sordo, chi affrettasi
     Al casolar lontano,
     Chi chiama i figli, e adoprasi
     Salvar l’invasa masserizie invano!

Tal per ingegno di natura e invitta
     Legge d’istinto ogni anima,
     Sia pur bennata e prode,
     Del proprio scampo gode,
     Prima che sia dall’altrui danno afflitta;
     Nè mai si accende e palpita
     Di sì gagliardi sensi,
     Ne amor, nè dio, nè gloria
     L’accecan sì che ognor di lei non pensi.

Poggiar sovrano in su l’altrui cervice
     È voluttà che simile
     Non ha la terra; e quale
     Più facilmente sale,
     Quegli ha nome di accorto e di felice.
     Io sovra a tutti egregio
     Spirto e beato estimo
     Chi, senza ad altri nuocere,
     Sorge operoso, e fra gli onesti è il primo.

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A lui dintorno insidioso e bieco
     Serpeggiar miro il torbido
     Volgo, che sempre ingorde
     Apre le canne, e morde
     Meglio colui che men gavazza seco;
     Stride il Livor, d’inutili
     Petti sol vanto e nume,
     E sovr’abjetta cattedra
     Larva di dritto e d’eguaglianza assume.

Ma chi alato è d’ingegno e altera ha l’alma
     Ad inaccesso vertice
     Poggia sdegnoso, e il guardo
     Sopra il vulgo codardo
     Gitta sereno, e certa ottien la palma:
     Così tra nembi e fulmini
     Secura aquila vola,
     Fin che s’acqueti e spazj
     In vista al Sol superbamente sola.

E che impero non hai sul nostro petto,
     O amor di noi? Tu susciti
     Ogni virtù nascosa,
     Tu d’ogni egregia cosa
     Voglia ne accendi ed operoso affetto;

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     Tu, poi che breve è il tramite
     Che a noi quaggiù si addita,
     Per gran desio di vivere
     Primo ne insegni a dispregiar la vita.

O quei su tutti avventuroso, a cui
     Dato è in un fin confondere
     La propria e l’altrui sorte,
     E la vita e la morte
     Dar per sua gloria e per la gloria altrui!
     Merto verrà di gemina
     Ghirlanda a le sue chiome,
     E le sue case, o il tumulo,
     Sante saranno, e sempre vivo il nome.

Noi, se grazia di riso unqua ne venne
     Dall’Arte nostra, supplici
     Chiediam, che ne circonde
     Una modesta fronde
     Pria che vita da noi spieghi le penne
     Quando su noi la rigida
     S’asside ombra funesta,
     Nè chiaro suon di plausi,
     Ne fragor di trionfi il cener desta.