Le avventure di Saffo/Libro III/Capitolo II

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Libro III - Capitolo II. Il colloquio notturno

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CAPITOLO II.


Il colloquio notturno.


Rimase pertanto Eutichio con lei, e sembrava che il silenzio notturno e la tranquilla solitudine invitassero gli animi loro a conversare con fiducia maggiore, che nel tumulto del giorno; onde dopo breve pausa, così a lui rivolta, disse la donzella; Io ho meco stessa considerato sovente nel decorso di questa giornata, in cui tu così lietamente, come suoli, hai vissuto, donde mai accade che tu soggiorni in questa solitudine, posciachè non senza qualche a me ignota cagione, tu l’hai prescelta alla città, dove potresti vivere splendidamente. Io non ho ardito interrogarti qual sia quella che è tua patria, di modo che posso dire per verità, che di te so il più e non il meno; mercè che pienamente ammiro la tua [p. 229 modifica]umanità, la tua virtù, e conosco i pregj tutti dell’animo tuo, quantunque ignori i casi tuoi, e qual sia la terra, che avendo tali cittadini, crederò senza errare, felicissima regione. Tu vedi però, disse Eutichio, che a me tale non sembra, posciachè non vi soggiorno. Al certo, rispose Saffo, la patria degli uomini, come tu sei, altra non può essere che l’universo. Non credere, aggiunse Eutichio, che io nauseato di Siracusa, la quale, (poichè brami saperlo), è la mia patria io mi sia determinato di vivere in queste solitudini, senza il concorso di qualche contrario evento; e però due crudeli nemici per un sensibile e liberale animo, mi fecero ne’ tempi giovanili aspra guerra, di modo che oppresso dalle urbane cure per molto tempo sconsigliatamente tollerate, depurandosi alla fine l’intelletto colle vicende e col tempo, ho risoluto di giungere alla non lontana méta del corso fugace dell’umana vita, dimenticando il passato, [p. 230 modifica]credendo mio il presente, ed il futuro de Numi. Oh te veramente felice, esclamò Saffo, perchè non poss’io esser partecipe della tua calma! Ma quali furono que’ nemici, di cui or ora hai ragionato? Rispose Eutichio: L’amore, e la tirannia. Perchè tu dei sapere, (e così dicendo, si assise in faccia di lei, che attentamente lo ascoltava) che io vidi al mio tempo libera la patria, e quindi sommessa allo scettro del tiranno, la di cui stirpe tuttora conservala in servitù. Io colla miglior parte de’ cittadini, tentammo in quelle rivoluzioni di trasmettere a’ nostri posteri quell’istessa forma di repubblica, che gli antenati avevano stabilita col sangue loro; ma, siccome avviene, languendo le antiche virtù, e corrotta ogni disciplina, a poco a poco fu più grato il servire ne’ vizj, che l’esser libero nella temperanza; e quindi fu del tutto inefficace la magnanimità di pochi a riscuotere il letargo di molti. Che se nelle storie veggia[p. 231 modifica]mo, che gli ottimi cittadini tentarono di sanare talvolta i mali della patria inferma, come i chirurghi coll’amputazione, io però, venerando la fama di coloro che intrapresero così illustre opera, mi tolsi dalla ingrata vista di quelle ignominiose vicende, non per vile desiderio della vita, ma per principj moderati di saggia (a quello ch’io penso) e vera filosofia. Imperocchè quando sia oppressa la libertà in modo che non vi sia altro mezzo di farla risorgere, se non una congiura, è manifesto dalla esperienza, ch’essa non produce mai, o quasi mai migliore effetto, che il sacrificio d’ogni reliquia de’ buoni, il trionfo de’ malvagi, e la conferma della tirannia. La moltitudine non seconda il progetto valoroso, e rifiuta un dono che più non apprezza, cioè la libertà: i ricchi amano più le loro sostanze che la patria, nè per lei vogliono esporle a rivoluzioni pericolose: i magnati divengono strumenti necessarj nel gover[p. 232 modifica]no dispotico, e però loro piace più della eguaglianza repubblicana lo splendore della monarchía; di modo che per consenso di tutte le parti sarebbe tardi ogni rimedio alla mortale infermità; e chi pensa altrimenti, vedrebbe negli effetti, che questi magnanimi pensieri non producono se non che gloriose perturbazioni. Ma non si deve tralasciare di aggiungere anche questa considerazione, che i buoni sono rari dovunque, e però non meno fra i partigiani della libertà ve ne sono di quelli, che niente altro desiderano, se non di tentare miglior fortuna nelle violenti rivoluzioni; perlochè ponderando e il debito mio verso la patria, e il debito della patria verso di me, siccome di lei figlio, vidi che tal madre già vecchia, inferma, e ridotta in vile servitù, non intendeva i beneficj, nè poteva essere grata; adunque l’abbandonai agonizzante, e scelsi in vece di lei per mia patria questo cielo stellato, questo mare, [p. 233 modifica]e quest’aura a tutti comune sotto l’imperio giusto ed invariabile del Nume che abita un tempio così degno di lui. Mentre proferiva tai parole, si accostò alla porta, mostrando il cielo, e aggiunse: Vedi, o fanciulla, se chi contempla questo interminabile spazio disseminato di astri infiniti, in mezzo de’ quali non che Siracusa, ma tutta la terra nostra è un atomo di fango, potrà dolersi che gli manchi o l’ara de’ patrj sacrifizj, o il tempio in cui adori il Nume, o l’occasione di esercitare la virtù. Quindi se la fortuna mi ha data una patria angusta, io ho prescelta questa, siccome vedi, amplissima albergatrice. Certamente, rispose Saffo, ella è adeguata a’ tuoi pensieri. Oh gratissima ospite, interruppe Eutichio! i miei pensieri forse erano più grandi di Siracusa, ma divengono umili e sommessi in presenza dell’universo, perchè l’intelletto non ha sufficienza a comprendere sì vasta mole, [p. 234 modifica]onde dopo che si è sforzato di estendersi in così ampio circuito, altro non gli rimane, che stanchezza ed ammirazione. Ma già vedi, che Boote si rivolge al mare, e ci dimostra che la notte ha trapassato la metà del suo placido corso, e però ne invita a immergere nelle di lei ombre la nostra filosofia; e tu fors’anco non meno stancata dagli urti del mare che dal mio loquace ragionamento, desideri saziarti nella tranquillità del sonno. Troppo è lungi dalle mie palpebre (diss’ella) e così grati mi sono i tuoi ragionamenti, che ti udirei ben volentieri narrarmi le amorose vicende, poichè mi hai descritte le civili; ma ben veggo, che intempestiva è l’ora, e però ti concedano gli Dei quel dolce sonno, che in vano implora una pupilla destinata dalla sorte crudele a lagrime perenni. Volentieri (disse egli) io teco ragionerei fino all’alba, perchè gratissimo trattenimento è il raccontare i proprj casi a chi li ascolta [p. 235 modifica]così pietosamente; ma è necessario ch’abbiano conforto le tue membra. Così dicendo chiamò i servi, e le ancelle, e vennero insieme con loro Rodope e Clito, da’ quali fu guidata Saffo alle stanze a lei destinate, dopo molti augurj scambievoli di notte avventurosa.