Le mie prigioni/Cap XXXIII

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Capo XXXIII

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Capo XXXIII.

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— Un giorno, uno de’ secondini entrò nel mio carcere con aria misteriosa, e mi disse:

— Quando v’era la siora Zanze... siccome il caffè le veniva portato da essa... e si fermava lungo tempo a discorrere... ed io temeva che la furbaccia esplorasse tutti i suoi secreti, signore...

— Non n’esplorò pur uno, gli dissi in collera; ed io, se ne avessi, non sarei gonzo da lasciarmeli trar fuori. Continuate.

— Perdoni, sa; non dico già ch’ella sia un gonzo, ma io della siora Zanze non mi fidava. Ed ora, signore, ch’ella non ha più alcuno che venga a tenerle compagnia... mi fido... di...

— Di che? Spiegatevi una volta.

— Ma giuri, prima, di non tradirmi.

— Eh, per giurare di non tradirvi, lo posso: non ho mai tradito alcuno.

— Dice dunque davvero, che giura, eh?

— Sì, giuro di non tradirvi. Ma sappiate, [p. 110 modifica]bestia che siete, che uno il quale fosse capace di tradire, sarebbe anche capace di violare un giuramento. —

Trasse di tasca una lettera, e me la consegnò tremando, e scongiurandomi di distruggerla, quand’io l’avessi letta.

— Fermatevi (gli dissi aprendola); appena letta, la distruggerò in vostra presenza.

— Ma, signore, bisognerebbe ch’ella rispondesse, ed io non posso aspettare. Faccia con suo comodo. Soltanto mettiamoci in questa intelligenza. Quando ella sente venire alcuno, badi che se sono io, canterellerò sempre l’aria: «Sognai, mi gera un gato». Allora ella non ha a temere di sorpresa, e può tenersi in tasca qualunque carta. Ma se non ode questa cantilena, sarà segno che o non sono io, o vengo accompagnato. In tal caso non si fidi mai di tenere alcuna carta nascosta, perchè potrebb’esservi perquisizione, ma se ne avesse una, la stracci sollecitamente e la getti dalla finestra.

— State tranquillo: vedo che siete accorto, e lo sarò ancor io.

— Eppure ella m’ha dato della bestia.

— Fate bene a rimproverarmelo, gli dissi stringendogli la mano. Perdonate. —

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Se n’andò, e lessi:

«Sono... (e qui diceva il nome) uno dei vostri ammiratori: so tutta la vostra Francesca da Rimini a memoria. Mi arrestarono per... (e qui diceva la causa della sua cattura e la data) e darei non so quante libbre del mio sangue per avere il bene d’essere con voi, o d’avere almeno un carcere contiguo al vostro, affinchè potessimo parlare insieme. Dacchè intesi da Tremerello — così chiameremo il confidente — che voi, signore, eravate preso, e per qual motivo, arsi di desiderio di dirvi che nessuno vi compiange più di me, che nessuno vi ama più di me. Sareste voi tanto buono da accettare la seguente proposizione: cioè che alleggerissimo entrambi il peso della nostra solitudine, scrivendoci? Vi prometto da uomo d’onore, che anima al mondo da me nol saprebbe mai, persuaso che la stessa secretezza, se accettate, mi posso sperare da voi. — Intanto, perchè abbiate qualche conoscenza di me, vi darò un sunto della mia storia, ec.»

Seguiva il sunto.