Le monete di Venezia/Monete anonime
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MONETE ANONIME
Questo capitolo è destinato a raccogliere le notizie intorno a quelle monete che non portano scritto il nome del doge e che per ciò sono dette anonime. Nel primo periodo della zecca veneziana, di cui si occupa il presente volume e che si chiude col principato di Cristoforo Moro, s’incontra soltanto una moneta di questo genere, della quale si può determinare con tutta sicurezza l’epoca di emissione e che quindi potrebbe essere collocata con quelle coniate contemporaneamente. Ciò però non si può fare per altre monete anonime di epoca posteriore, le quali stanno meglio aggruppate fra loro che poste insieme con quelle che hanno il nome del doge. Allo scopo quindi di conservare una certa armonia fra le diverse parti del mio lavoro, ho pensato di cominciare la serie delle anonime colla moneta che porta, in caratteri semigotici, la iscrizione MONETA DALMATIE. Ignorata dai primi cultori della numismatica veneziana e accennata vagamente dallo Zon, fu per la prima volta illustrata da V. Lazari nella sua opera: Le monete dei possedimenti veneziani d’oltre mare e di terraferma, che può servire di modello a tutte le pubblicazioni di questo genere. Sgraziatamente la fretta con cui fu scritto il libro, per circostanze indipendenti dalla volontà dell’autore, e la cattiva conservazione dell’esemplare della moneta esistente nel Museo di S. Marco, che solo si conosceva allora, misero l’illustre scienziato sovra una cattiva strada, ed egli credette ravvisare in tale moneta un tornese1 battuto per quella provincia che aveva costato tanti sacrifici alla Repubblica. Lazari combatte argutamente la prima obbiezione che si poteva fare ad una simile denominazione, e cioè che non vi ha memoria di tornesi coniati per la Dalmazia, ma non riesce a persuadere; perchè i crociati avevano reso popolare il tornese in Oriente, ove era diventato una moneta nazionale, ma di esso invece non si trova traccia in Dalmazia, nè nei documenti contemporanei, nè nelle monete che si conservano nelle raccolte. In epoche diverse fu ordinata alla zecca di Venezia la coniazione di tornesi, indicando quasi sempre le località dove dovevano essere spediti, e troviamo che erano destinati sempre ai possedimenti veneziani del Levante, ma non alle coste dell’Adriatico.
Più tardi altri esemplari di questo interessante nummolo 1 furono rinvenuti presso i raccoglitori triestini e dalmati, e finalmente un tesoretto, abbandonato presso il Monte di Pietà di Treviso, mise alla luce quattro altri pezzi, tutti di migliore conservazione di quello esistente nella Raccolta Marciana. Ne parla Carlo Kunz nella sua «Miscellanea Numismatica»2, dimostrando che l’argento in essi contenuto è di una lega più fina assai di quella dei tornesi e di poco inferiore a quella usata nei soldini, per cui lo ritiene un mezzanino di grosso del valore di due soldi veneziani. Pure esso non è nè un tornese nè un mezzanino, come risulta da una deliberazione del Senato in data 31 maggio 14103, nella quale, lamentando, che nella città di Zara e nel suo territorio corrano monete forestiere, e cioè Grossi di Crevoja4 ed altri di buon argento del valore di tre soldi e meno che si spendono per quattro, soldini ungheresi che non valgono se non otto denari e si spendono per un soldo, e frignacchi5 che non tengono tre oncie d’argento per marca e si spendono pure per un soldo, allo scopo di impedire questo danno, delibera di coniare una moneta contenente tre oncie di argento per marca, che vada a 42 pezzi per oncia, avente da un lato l’immagine di S. Marco e dall’altro uno scudo alto in quo sit nihil.
È curioso il modo con cui questo decreto esprime quel concetto, che oggi è quasi un assioma della pubblica economia, e cioè che la cattiva moneta caccia da un paese la buona, con queste pratiche parole: «Et hoc modo moneta nostra, videlizet, grossi nostri, qui valent quatuor soldos, et soldus noster exeunt de bursis nostris et dantur venientibus Jadram et ad partes illas, qui ipsam monetam nostram imbursant et dimittunt monetas suas, quae sunt multo minoris valoris, cum tanto damno nostro.»
Nel 27 aprile 14146 un altro decreto del Senato fa conoscere che la esecuzione del precedente era stata sospesa, ed assunte informazioni da chi veniva da Zara, ordina nuovamente la coniazione della moneta per la Dalmazia col fino di tre oncie e un quarto per marca, tagliandone da ogni oncia 44 pezzi, descrivendola nello stesso modo, col S. Marco da un lato e lo scudo vuoto dall’altro.
Il tenore di questi due documenti mostra esattamente il valore della moneta emessa per i bisogni della circolazione in Dalmazia, giacché, secondo il decreto 31 maggio 1410, essa avrebbe dovuto pesare grani veneti 13,714; secondo quello del 27 aprile 1414, avrebbe dovuto pesarne 13,09, ma siccome in quest’ultimo si migliorava la lega, poca era la differenza dell’intrinseco, che sarebbe stato di g. v. 5,142 nel primo caso, e g. v. 5,317 nel secondo, per ogni pezzo, e quindi due terzi circa del fino contenuto nel soldo veneziano, che in quel tempo pesava g. v. 8,47 e conteneva g. v. 8,063 d’argento puro.
Da ciò si scorge il pensiero del Senato, che intendeva creare una moneta, la quale sostituisse i soldi ungheresi che valevano otto piccoli ed i denari frisacensi ossia di Aquileja che avevano molto favore in quei paesi e si spendevano per un uguale valore. A me sembra di riconoscere in questo pezzo il soldo di una lira speciale, probabilmente adoperata nel Regno di Servia e comune a tutti i vicini paesi slavi, la quale fu. conservata dagli ungheresi e dai veneziani e restò per molto tempo ancora come lira di conto col nome di lira dalmata. Anche il Lazari parla di questa lira7, che si usava anche nel secolo XVIII; a proposito delle monete di Cattaro8 egli osserva che il grassetto di quella terra corrispondeva a due terzi del grosso veneziano, e da varie circostanze accessorie arriva alla supposizione, che questo grossetto si dividesse in quattro soldi minori, equivalenti a due terzi dei veneziani, che erano quindi soldi di una lira particolare a.quei paesi ed inferiore di altrettanto alla lira veneziana.
Tanto nel primo decreto 31 maggio 1410, quanto in una successiva deliberazione della Quarantìa 13 agosto 14109, in; cui si stabiliscono le competenze ed i cali a proposito delle monete che si fanno per Zara, non è mai adoperata la parola soldo, ma quella più generica di moneta, che è pure incisa sul nummo. Invece nel decreto 27 aprile 1414 si ordina il taglio di i 44 soldi per oncia: il che mi sembra sufficiente per mutare il dubbio in certezza, visto che il secondo partito era votato dopo aver conferito col notajo Giovanni de Bonisio che conosceva la Dalmazia, essendo appena ritornato da una missione in quei luoghi.
Anche lo scudo raffigurato sopra uno dei lati nella moneta fu argomento di discussione. Zon lo disse ignoto, Lazari non seppe trovare una soddisfacente spiegazione, e si smarrì in ipotesi credendo vedervi l’arma Contarini, ma un’opera intitolata «Storia dei Dogi di Venezia»10 a cui è unita una parte «numismatica» rilevò essere questo lo stemma della famiglia Surian. Infatti lo scudo d’oro con una banda a tre ordini di scacchi d’argento e di negro appartiene ad una delle due case patrizie Surian11, e si vede anche oggi scolpito in un marmo del quattrocento sopra un fabbricato al Malcanton, che dà accesso ad un sottoportico e ad una calle Surian. Ma non bastava avere rilevato lo stemma, era anche necessario sapere chi fosse l’illustre uomo di stato o di guerra, cui venne concesso l’onore ’singolare di porre le insegne sopra una moneta coniata nella zecca di Venezia. Le storie sono mute a questo proposito e non ricordano alcun personaggio della famiglia Surian che abbia avuto in quell’epoca una parte importante in Dalmazia. Qualche anno fa il cav. V. Padovan12 pubblicò un documento, dal quale risulta che un Jacopo Surian era capitano a Zara nel 16 luglio 1416, essendogli in tal giorno assegnata una piccola somma dal Senato per alcuni lavori da farsi nella casa di sua abitazione. Sebbene fra questa data e quella del decreto, che ordina la coniazione della moneta per la Dalmazia corressero oltre due anni, epoca più lunga di quella che ordinariamente era la durata di simili cariche, e malgrado che a tutti sia nota la cura gelosa, colla quale il governo repubblicano vigilava perchè nessun personaggio, per quanto eminente, eccedesse nei poteri e negli onori, pure mi sembra assai probabile che a questo oscuro capitano delle armi a Zara sia toccato il vanto di porre il suo stemma sulla moneta in questione. Non conviene confondere questo caso eccezionale colle iniziali e cogli stemmi di alcuni Conti e Rettori veneziani a Cattaro ed a Scutari, perchè queste erano zecche secondarie, governate da propri statuti e lontane dalla sorveglianza dei principali corpi dello Stato, e meno ancora si deve confondere con le monete coniate da alcuni Provveditori generali o da altri comandanti delle armate in epoca di necessità. Per la moneta della Dalmazia si tratta di un’epoca più antica, nella quale non vi erano precedenti, e di un fatto che non può essere ad altri paragonato; lo stemma Surian è disegnato chiaramente, ed in modo da non poter essere confuso con altri, in quello scudo che il Senato aveva decretato dovesse rimanere vuoto. Cercando pertanto quale abbia potuto essere la ragione che fece cambiare tale proposito, io credo indovinarla nel timore che la nuova moneta non fosse gradita ai paesi dove era destinata, timore che trasparisce dalle parole dei decreti e dall’indugio frapposto all’esecuzione della prima deliberazione. Allo scopo quindi di rendere più facile a quei popoli rozzi ed ignoranti l’accettazione di una nuova moneta, bisognava farla, quanto più fosse possibile, simile a quella che essi adoperavano e ciò si ebbe di mira nello scegliere il tipo, che ricordava in parte il denaro di Aquileja, favorevolmente conosciuto in quelle regioni, il cui intrinseco corrispondeva a quello della nuova moneta, e cioè a due terzi del soldo veneziano. Anche lo scudo era stato posto sul rovescio della moneta per la Dalmazia, per ricordare quello che portava le insegne degli ultimi patriarchi, e probabilmente lo stemma Surian fu preferito ad ogni altro, perchè poteva facilmente essere confuso con quello del Patriarca Antonio II Panciera, che pure aveva una banda scaccata, con differenze le quali facilmente sfuggivano alla maggior parte del pubblico.
Altre due monete anonime sono attribuite da alcuni numismatici ai tempi che precedono il 1472: e cioè al regno di Francesco Foscari il bagattino colla testa di S. Marco e nel rovescio l’iscrizione VENETI sopra un cippo od ara, e a quello di Cristoforo Moro il piccolo scodellato, che da un lato mostri la croce e dall’altro un leone in molecca senza alcuna iscrizione. A me invece sembra che queste due monete appartengano ad un’epoca posteriore e mi riservo di parlarne nel secondo volume, quando tratterò delle monete di quel tempo.
Note
- ↑ Lazari V. Monete dei possedimenti ecc., opera citata, pag. 12 e 13.
- ↑ Kunz C. Miscellanea Numismatica. Venezia, 1867. — III di un piccolo ripostiglio di monete, pag. 20, 23-25.
- ↑ Documento XXXIV
- ↑ Grossi coniati a Spalato, dal Duca Hervuja tra il 1403 ed il 1412.
- ↑ Denari di Aquileja chiamati frisacensi, frisacchi, e frignacchi.
- ↑ Documento XXXV
- ↑ Lazari V. Monete dei possedimenti ecc., opera citata, pag. 16.
- ↑ Ivi pag. 48 e 49.
- ↑ Archivio di Stato. — Capitolare delle Brocche, carte 16 t.
- ↑ Biografie dei Dogi di Venezia, ecc., (Numismatica Veneta) opera citata. Doge CX.
- ↑ Freschot. La nobiltà veneta. Venezia, 1707, pag. 409.
- ↑ Padovan. Le monete dei veneziani, opera citata, pag. 80.
- Testi in cui è citato Angelo Zon
- Testi in cui è citato Vincenzo Lazari
- Testi in cui è citato Carlo Kunz
- Testi in cui è citato il testo Miscellanea Numismatica
- Testi in cui è citato Vincenzo Padovan
- Pagine con link a Wikipedia
- Testi in cui è citato il testo Miscellanea Numismatica/Di un piccolo ripostiglio di monete
- Testi in cui è citato Casimir Freschot
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