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Le monete di Venezia/Tomaso Mocenigo

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Tomaso Mocenigo

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Michele Steno Francesco Foscari

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TOMASO MOCENIGO

DOGE DI VENEZIA

1414-1423.


Tomaso Mocenigo, trovavasi a Lodi, oratore di Venezia presso il re Sigismondo, quando fu chiamato all’onore di reggere il ducato. Fu principe saggio, che promosse e curò la prosperità del paese: rifuggiva dalla guerra, ma dovette spedire contro i Turchi, che molestavano il commercio veneziano, l’armata comandata da Pietro Loredan, che riportò una splendida vittoria nelle acque di Gallipoli e ridusse il nemico ad una pace vantaggiosa. Anche cogli Ungheri non fu possibile venire ad un accordo, e dopo di avere tentato inutilmente di riunire in una lega le potenze italiane, i Veneziani dovettero combattere da soli contro Sigismondo alleato al patriarca di Aquileja. Essi sostennero Tristano Savorgnan nemico del patriarca e finirono col restare padroni del Friuli ed anche della Dalmazia, approfittando del momento in cui il nemico era impacciato dalle guerre in Boemia e contro i Turchi, per togliere per sempre quei paesi alle pretese dei re d’Ungheria.

Durante il suo principato Tomaso Mocenigo si occupò indefessamente a riordinare le finanze e l’amministrazione dello stato. La moneta fu pure oggetto della sua sollecitudine, anzi questo periodo si distingue per ripetuti studi e per modificazioni continue alle leggi che riguardavano la affinazione dei metalli e la coniazione delle monete. Il primo atto è del 10 febbraio 1413 (1414), solo di un mese posteriore all’elezione del doge: in esso il Senato delibera1 di nominare tre savi col mandato [p. 243 modifica]di esaminare tutte le cose relative alla zecca, di prendere le necessarie informazioni dai massari e dagli estimatori dell’oro e dell’argento, e di proporre quindi quelle riforme e quei provvedimenti che credessero atti a migliorare questo importante servizio. Giovanni Garzoni, Francesco Girardi e Marco da Molin eletti a tale incarico fecero nel 18 aprile successivo le loro proposte per la zecca dell’oro, le quali vennero approvate e si trovano trascritte nei registri del Senato e nel capitolare dei massari all’oro2. Esse contengono molte minuziose prescrizioni, che riguardano principalmente la stima del metallo prezioso portato dai mercanti, la perfetta affinazione, la custodia, il peso ed il calo dell’oro durante le molteplici operazioni che osso subiva fino a trasformarsi in tanti bei ducati. Si raccomanda di tener conto di tutto, di registrare diligentemente i pesi e, non reputandosi sufficienti tre estimatori, se, ne istituisce un quarto, e così ai due massari dell’oro se ne aggiungono altri due col salario annuo di ottanta ducati.

Sembra però che il Senato non fosse contento dei risultati ottenuti, giacché il 25 gennaio 1415 (1416) delegava i propri poteri3 ad uno speciale collegio, composto del doge, dei capi della Quarantìa, dei savi del Consiglio, dei savi ad recuperandam pecuniam, dei savi agli ordini, dei tre savi delegati alla riforma della zecca, degli avogadori del Comune e degli ufficiali alle ragioni nuove, ordinando che le loro deliberazioni avessero la stessa forza che se fossero emanate dal Consiglio dei Pregadi, purché raccolti nel numero di 28. Pochi giorni dopo, il 30 gennajo, riunitosi questo consesso delibera4 che i mercanti, i quali portano l’oro in zecca, debbano sottostare al calo della fusione, dopo della quale sia fatta la stima a Rialto con ogni cautela e segretezza. Si riducono nuovamente a tre5 collo stipendio [p. 244 modifica]di ducati 60 annui gli estimatori, i quali non possono stimare se non uniti, nè mandare l’oro alla zecca se due non sieno concordi. Anche i massari dell’oro sono ridotti a due6, come anticamente, collo stipendio di 120 ducati e colle solite utilità: devono fare per turno le quindicine; saldare il quaderno ed attenersi al loro capitolare, dànno pieggieria e durano in carica due anni. Si portano a due i pesatori alla moneta7 con 60 ducati ed altri incerti: questi devono tenere le chiavi, fare i pesi, ed ajutare i massari a tenere le scritture.

Nel 30 giugno 1416 il Senato si occupa nuovamente8 della fiorente fabbricazione dei ducati e procura di frenare alcuni abusi: minaccia gravi pene a coloro, che cercano di ridurre la zecca nelle loro mani, temendo il danno che potrebbe venire al Comune, se nelle parti di Alessandria e di Soria, ove esistono esperti conoscitori, si sospettasse che la moneta d’oro veneziana non si facesse più della solita bontà. Per incoraggiare tutte le persone, eccetto quelle che per ufficio non possono occuparsi di tale commercio, a portar oro in zecca, il prezzo fino allora pagato si aumenta di 3 grossi per marca e di 4 a chi lo dà fuso.

Altre deliberazioni del Senato si trovano in data 19 giugno 14219) relative alla stimaria ed alla zecca dell’oro, ma sono in massima parte ripetizioni di ordini, che esistono nei decreti precedenti, e prescrizioni di poca importanza, che non meritano di essere riportate, e mostrano solo il grande interesse, che si poneva a mantenere la purezza del ducato.

Anche per ciò che riguarda la moneta d’argento non mancano i provvedimenti durante il principato di Tomaso Mocenigo. Nel 22 aprile 141410, visto il danno che reca al Comune [p. 245 modifica]la parte presa nel 1406, di rendere moneta dello stesso peso dell’argento posto in zecca, si stabilisce di far pagare ai mercanti 10 soldi di piccoli per fattura di ogni marca di grossi, e 14 soldi per ogni marca di soldi, quando si tratti di argento franco, e cioè di quell’argento, che abbia adempiuto l’obbligo del quinto, che si doveva per legge tradurre in moneta.

Mancando i massari all’argento ed essendosi soppresso il posto di quello ai torneselli, il Senato delibera nel 30 aprile 141611 di portare a tre i massari alla zecca dell’argento, col salario di 100 ducati annui e colle solite utilità annesse all’ufficio: essi durano in carica due anni, devono fare per turno le quindicine, alternando le mansioni ogni mese sotto la sorveglianza dei provveditori del Comune. Nel 5 giugno successivo12, a quel massaro che sorveglia la fabbricazione dei torneselli, si accordano quattro mesi per regolare i conti, mancandogli il tempo di farlo in termine più breve.

Il Senato rammenta ai massari nell’11 giugno 141613 che i soldi coniati in zecca devono farsi in modo da averne lire 27 soldi 4 per marca, e non più, come si è fatto talora contrariamente alle leggi: stabilisce che la zecca non possa ricevere le monete coniate da essa stessa e che i pagamenti dei quinti debbano esser fatti a conto e non a peso.

Nel 26 febbraio 1416 (1417) vengono nominati tre savi14 per istudiare e proporre le riforme della zecca e della moneta d’argento: riescono eletti Scipione Bon, Pietro Bragadin e Cristoforo Soranzo.

L’11 novembre dello stesso anno15 il Senato vota provvedimenti per la zecca dell’argento, i quali si riassumono così: che sia abolito il sistema dei quinti sin allora in vigore tanto [p. 246 modifica]nella presentazione al peso che nell’affinamento del metallo; che tutto l’argento introdotto a Venezia debba essere presentato al peso a Rialto e registrato esattamente, e che per la affinazione si debba pagare grossi 4 1/4 a oro per marca. I tre massari debbano alternare le loro occupazioni in modo che uno riceva l’argento per fabbricare le monete, l’altro sopraintenda alla affineria, il terzo ai tornesi ed ai piccoli, cambiando ogni quattro mesi le loro funzioni, tenendo registro esatto delle operazioni e rendendone conto agli ufficiali delle ragioni nuove. Di tutto l’argento affinato la quarta parte si riduce in moneta, dando al mercante peso per peso, ma del rimanente egli è libero di fare ciò che vuole: può venderlo e portarlo via da Venezia senza spesa; però se desidera invece farne moneta, può averne peso per peso pagando la fattura. Considerato che non è più possibile mantenere gli ordini dati, di fabbricare la moneta nella misura di lire 27 soldi 4 per marca, fissata quando il ducato valeva 93 soldi, perchè i mercanti ci troverebbero una perdita e non porterebbero più argento a Venezia, ora che il ducato vale 100 soldi, si delibera che la moneta sia tagliata in modo da ricavare per ogni marca lire 29 soldi 9, e ciò sulla base del calcolo che l’argento costa 5 ducati 18 grossi per marca, che il ducato vale 100 soldi e che la spesa di fabbricazione dev’essere valutata 12 soldi per una marca di grossi e 16 soldi per una marca di soldi16. Si raccomanda alla zecca la maggiore possibile esattezza nel peso e nella fattura, e, per favorire la condotta dell’argento a Venezia, si ordina di far pagare solo 8 soldi per marca per la spesa di fabbricazione, dando peso per peso, metà grossi e metà soldi, mentre l’erario potrà rifarsi di tale perdita coll’utile della affinazione.

I risultati di questi provvedimenti corrisposero così poco alle speranze, che nel 22 dicembre 141917 il Senato, osservando che le riforme fatte non hanno riuscito a far venire l’argento [p. 247 modifica]a Venezia, essendo arrivate solo diecimila marche in confronto di quarantamila all’anno che ne giungevano in passato, delibera che si debbano rivedere le fatte riforme da un collegio composto del doge, dei consiglieri, dei capi della Quarantìa, dei savi del Consiglio, alla guerra ed agli ordini, degli avogadori del Comune, degli ufficiali delle ragioni nuove e di quelli della moneta d’oro e d’argento, accordando alle deliberazioni prese da tale consesso, la stessa autorità che se fossero state votate dal Senato.

Nel 4 gennaio 1419 (1420)18 questo collegio, lamentando la diminuita vendita dell’argento in Venezia sopprime, l’obbligo di venderlo alla campanella a Rialto, secondo le antiche leggi e costumi, e permette di venderlo a qualunque persona, purché sia denunziato il contratto per le solite registrazioni che si mantengono. Collo stesso decreto riduce a soli 2 grossi per marca ’ il dazio dell’argento introdotto a Venezia, invece dei 4 grossi ed 8 piccoli che si pagavano precedentemente.

Se non che la scarsezza degli arrivi dell’argento a Venezia e la conseguente decadenza della zecca dipendevano da fatti esterni e da cause economiche, che non potevano essere cambiate nemmeno dai più avveduti e solerti amministratori dello stato. Per cui nel 27 gennaio 1420 (1421)19 il Senato, trovando necessario di provvedere super facto argenti et super factis monete et ceche nostre, che vanno così male da non poter andar peggio, convoca nuovamente il collegio composto del doge, dei consiglieri, dei capi della Quarantìa e dei savi del Consiglio, dei provveditori del Comune, degli ufficiali della zecca, a cui si aggiungono i savi per investigare sopra i fatti del Friuli e delle terre nuovamente acquistate, coll’incarico di studiare quei provvedimenti e di dare quegli ordini, che reputassero migliori all’interesse della zecca e del Comune.

[p. 248 modifica]I provvedimenti pubblicati da tale Collegio nel 6 febbraio successivo20 costituiscono una nuova diminuzione della moneta nel peso, che viene ridotto a lire 29 e soldi 16 per marca, e nel titolo, che si conserva nominalmente a peggio 55, ma tollerando le pezze d’argento di poco inferiore, purché non superino il peggio di 60 carati; provvedimento che deve condurre in breve tempo alla adozione del titolo inferiore come regolamentare. Oltre a ciò. per economia di spesa, si ordina di dare ai mercanti tre quarti del peso in grossi ed un quarto in soldi, invece di metà grossi e metà soldi, e per lo stesso motivo si sospendono le nomine dei titolari di alcuni posti rimasti vacanti, fra cui uno dei tre massari.

Come si vede, il governo veneto perseverava nella via iu cui si era messo, la quale conduceva ad un peggioramento continuo del soldo e conseguentemente della lira nominale: questo provvedimento, certamente non favorevole a rialzare il credito della moneta d’argento anticamente tanto ricercata, aveva per conseguenza l’aumento di prezzo della moneta d’oro, conservata perfetta con tutte le cure.

Molte antiche monete erano ancora in circolazione e naturalmente avevano maggior prezzo delle nuove più leggere, per cui il Senato fu costretto a emanare, nel 7 marzo 142221, un decreto, il quale, osservando che l’antica moneta è cresciuta a 108 soldi, ordina di raccogliere tutti i pezzi di conio antico e di fonderli nuovamente, dando al pubblico, peso per peso, nuove monete per un quarto soldi e per tre quarti grossi, provvedimento che fu in pari data22 esteso alla terra ferma veneta.

Sebbene dai documenti, che abbiamo riportati più sopra, si rilevi che uno dei tre massari fosse specialmente destinato alla sorveglianza della fabbricazione dei piccoli e dei tornesi e che quindi si coniassero tali monetine in gran copia e lo stato ne ritraesse non poco utile, non pare però che la emissione fosse superiore al bisogno, ed infatti poche di tali monete arrivarono fino a noi, tanto che sono dai raccoglitori molto ricercate. [p. 249 modifica]Rarissima poi è una bella ed elegante monetina col nome di Tomaso Mocenigo, della stessa pasta dei tornesi e dei piccoli destinati a Verona e Vicenza, ma di peso alquanto superiore, giacché i due esemplari conosciuti superano di poco i sette grani. Dal lato dove si trova il nome del principe è disegnata la croce accantonata da quattro punti triangolari e dall’altro il busto di S. Marco di fronte, che ricorda il disegno degli antichi bianchi, da quasi un secolo abbandonati. Questa moneta esiste ancora coi nomi di Francesco Foscari, Pasquale Malipiero, Cristoforo Moro e qualche altro posteriore, lavorata con molta accuratezza e di ogni doge se ne trovano soltanto uno o due esemplari, anche in quelle epoche in cui vi furono abbondanti emissioni di monete di mistura. Probabilmente fu coniata per una provincia od una comunità determinata, in seguito ad accordi stabiliti: supposizione che pare confermata dal fatto che i piccoli di questa specie, col nome di F. Foscari e dei suoi successori, pesano notevolmente di più di quelli del Mocenigo, ciò che fa credere si volesse così compensare la differenza proveniente dalla diminuzione del fino, deliberata nel 1442 per tutte le monete di bassa lega. Ora essendo avvenuta durante il principato di Tomaso Mocenigo l’annessione del Friuli, e trovandosi anzi a far parte del Collegio istituito dal Senato per i provvedimenti relativi alla zecca nel gennaio 1420-21, anche i Savi per investigare sopra i fatti del Friuli e delle terre nuovamente acquistate, è lecito sospettare che questa nuova monetina fosse destinata a quella importante provincia. Questa misura infatti avrebbe grande analogia con quanto dallo stesso veneto governo venne fatto per i denari di Verona dapprima, e per quelli di Brescia più tardi.

Non essendomi stato possibile rinvenire alcun documento che parli di una moneta speciale per la patria del Friuli, non posso fare se non delle ipotesi per analogia, aspettando dal tempo e dalla fortuna qualche nuovo lume su questa interessante ricerca.

Raccontano i cronisti che Tomaso Mocenigo, sentendosi vicino a morte, chiamò a sé la Signoria per raccomandare a quegli illustri cittadini di scegliergli a successore un uomo degno e desideroso di continuare una politica prudente e pacifica, e per [p. 250 modifica]dissuaderli dal portare i loro voti sopra Francesco Foscari, di cui temeva il carattere irrequieto e guerriero. Nel suo discorso vantò i benefici della pace e con visibile compiacenza riportò dati statistici interessantissimi sulla ricchezza e sul commercio veneziano, allora floridissimo, sul debito pubblico pagato e sulle finanze dello stato ristorate. Riporteremo soltanto quei dati che a noi interessano sul lavoro della zecca, la quale batteva ogni anno «d’oro un millione e duecento millia ducati, e d’argento tra mezanini, grossi et soldi 800 millia all’anno, dei quali cinquemillia marche escono tra Egipto e la Soria de’ grassetti, in li vostri luoghi da terra ferma rie va ogni anno tra mezanini e soldini ducati centomillia» 23.

È da osservarsi che il cronista parla in questa occasione di mezzanino, moneta che non fu coniata da Tomaso Mocenigo. Io inclino a credere che il Dolfin, il quale era bensì contemporaneo, ma probabilmente scriveva alquanto più tardi, abbia confuso le epoche, attribuendo al Mocenigo questo pezzo, che fu battuto in altra epoca per i bisogni della terra ferma, come nello stesso discorso dice talora grossetto per grosso, parola che venne in uso solo dopo il decreto del 9 luglio 1429, con cui si istituivano i grossi da otto soldi, chiamati grossoni, per distinguerli dai grossi soliti da 4 soldi, che da allora in poi ebbero il nome di grossetti.

Per completare le notizie sulle imitazioni dei ducati veneziani, ricorderò che in una commissione data con deliberazione del Senato del 24 febbraio 1422 (1423)24 ad un notaro della Cancelleria ducale inviato presso il gran maestro di Rodi, si legge: “Insuper volumus quod dicto reverendissimo domino Magistro Rodi dicere et exponere debeas nostri parte quod nuper intelleximus, quod paternitas sua reverendissima cudi fecit et facit in terra Rodi ducatos ad stampam et cunium nostrum Venetiarum, quod displicenter audivimus considerata importanza hujus facti....»



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MONETE DI TOMASO MOCENIGO


1 — Ducato. Oro, titolo 1.000: peso grani veneti 68 52/67 (grammi 3.559).

         D/ S. Marco porge il vessillo al doge, TOM · MOCENIGO, lungo l’asta DVX, dietro il santo · S · M · VENETI

         R/ Il Redentore benedicente in un’aureola elittica cosparsa di stelle, quattro a sinistra, cinque a destra · SIT · T · XPE · DAT/ · Q’ · TV REGIS · ISTE · DVCAT/ ·


Tav. XIV, n.° 5.

2 — Grosso, terzo tipo colle stelle. Argento, titolo 0.952: peso grani veneti 33 88/100 (grammi 1.753), e grani veneti 31 29/100 (grammi 1.619), legge 11 novembre 1417.

         D/ S. Marco porge il vessillo al doge, nel campo due stelle tra le figure e l’iscrizione; dietro il doge TOM MOCENIGO, lungo l’asta DVX, a destra SM-VENETI

         R/ Il Redentore in trono,
· + · TIBI · LAVS ·     · 7     GLORIA ·

Tav. XIV, n.° 6.

3 — Grosso, terzo tipo colle iniziali. Argento, titolo 0,952 sino a 0.949 (peggio 60): peso grani veneti 30 92/100 (grammi 1.600), legge 6 febbraio 1420-21.

         D/ S. Marco porge il vessillo al doge TOM MOCENIGO, lungo l’asta DVX, a destra · S · M · VENETI, nel campo, fra le figure e l’iscrizione, due lettere che sono le iniziali del massaro.

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         R/ Il Redentore in trono,
+ · TIBI · LAVS      · 7 · GLORIA

Tav. XIV, n.° 7.

Iniziali dei massari P ♌︎ T S

4. — Soldino. Argento, titolo 0.952: peso grani veneti 8 47/100 (grammi 0.438) e grani veneti 7 82/100 (grammi 0.404), legge 11 novembre 1417.

         D/ II doge in piedi, tiene con ambe le mani il vessillo + TOM MOCE NIGO DVX, nel campo, dietro al doge, l’iniziale del massaro sormontata da una stella di sei raggi.

         R/ Leone accosciato che tiene il vangelo tra le zampe anteriori + · S · MARCVS · VENETI ·

Tav. XIV, n.° 8.

Iniziali dei massari A B D F I M ♌︎ P T

5. — Soldino, colle iniziali dei massari. Argento, titolo 0.952 sino a 0.949 (peggio 60): peso grani veneti 7 72/100 (grammi 0.400), legge 6 febbraio 1420-21.

         D/ II doge in piedi tiene con ambe le mani il vessillo + TOM MOCE NIGO DVX, nel campo, dietro la figura del doge, le iniziali del massaro, una sotto l’altra.

         R/ Leone accosciato sulle zampe posteriori, tiene colle anteriori il vangelo, attorno,
· S · MARCVS · VENETI ·

Tav. XIV, n.° 9.
Iniziali dei massari     P T
♌︎ S B

      Sul rovescio di questo soldino il cerchio attorno il leone non esiste, od è così sottile che riesce appena visibile.

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6. — Piccolo, o denaro. Mistura, titolo 0.111: peso grani veneti 4 80/100 (grammi 0.248): scodellato.

         D/ Croce in un cerchio + TO · MOC · DVX

         R/ L’impronta del diritto incusa.

Museo Correr Tav. XIV, n.° 10.

Altro esemplare del Museo Correr ha il nome del principe in rilievo nella parte concava, ed incusa la stessa impressione nella parte convessa della monetina. Si trovano piccoli senza impronta visibile nella parte concava.

7. — Piccolo, o denaro per Verona e Vicenza. Mistura, titolo 0.111: peso grani veneti 5 98/100 (grammi 0.309).

         D/ Croce a braccia uguali, accantonata da quattro anellini: alle estremità delle braccia quattro punti dividono l’iscrizione TO MO C·D VX

         R/ Testa di S. Marco in un cerchio + · S · M · VENETI ·

Tav. XIV, n.° 11.

8. Piccolo, o bagattino per il Friuli (?) Mistura, titolo 0.111: peso grani veneti 7 1/2 (grammi 0.388).

         D/ Croce accantonata da quattro punti triangolari in forma di raggi, entro un cerchio, attorno + TOM MOCENICO DVX

         R/ Busto di S. Marco con aureola di perline in un cerchio, attorno + · S · MARCVS ·

Museo Bottacin. Tav. XIV, n.° 12.
R. Museo Britannico.

9. — Tornesello. Mistura, titolo 0.111: peso grani veneti 14 (grammi 0.724).

         D/ Croce patente + · TOM MOCENIGO DVX ·

         R/ Leone accosciato col vangelo tra le zampe anteriori
+ VEXILIFER · VENETIA #

Tav. XIV, n.° 13.

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OPERE CHE TRATTANO DELLE MONETE DI TOMASO MOCENIGO:


Bellini V.De monetis Italiæ etc., opera citata, Dissert. I, pag. 104 e 109, n. XXVI, ed in Argelati, Parte V, pag. 30 t. e 32 n. XXVI. — Dissert. III, pag. 99 tav. XIX n.° 2. — Dissert. IV, pag. 90, tav. XIV, n.° 3.

(Duval et Fröhlich)Monnoies en or etc., opera citata, pag. 276.

Gradenigo G. A. — Indice citato, in Zanetti G. A. Tomo II, pag. 176, n.i LXXIX, LXXX, LXXXI e LXXXII.

Terzi B. — Opera citata pag. 25-27, tav. II, n.° 11.

Appel J. — Opera citata, Vol. III pag. 1126-1127, n.i 3941 e 3942.

Bellomo G. — Opera citata pag. 42 e 64-65, nota 39, tav. II, n.° 325.

Schweitzer F. — Opera citata, Vol. II pag. 27, (310 a 321) e tavola.

Cumano D.r C.Numismatica, articolo citato.

           —             — Illustrazione etc., opera citata, pag. 39.

Lazari V. — Opera citata, pag. 71-72 e 169.

Biografia dei Dogi — Opera citata Doge LXIV.
Numismatica Veneta

Padovan e Cecchetti. — Opera citata, pag. 19 e 85.

Litta P.Famiglie celebri d’Italia. — Stefani F. Famiglia Mocenigo, disegni di C. Kunz, Milano 1868-72.

Wachter (von) C. — Opera citata. — NVoi. HI 1871, pag. 228, 229, 231 e 254, Vol. V 1873, pag. 206-207.

Schlumberger G. — Opera citata, pag. 474,

Padovan V. — Opera citata, edizione 1879, pag. 23 e 124 — Archivio Veneto, Tomo XII pag. 102-103, Tomo XIII pag. 147 e Tomo XXI pag. 136. — terza edizione 1881, pag. 18-19, 89 e 134.


Note

  1. R. Archivio di Stato. Senato, Misti reg. L, carte 70.
  2. R. Archivio di Stato. Senato. Misti reg. L, carte 96 e seguenti. — Capitolare dei massari all’oro, rubriche 85, 86, 87, 88, 89, 90, 91 e 92.
  3. R. Archivio di Stato. Senato, Misti reg. LI, carte 89 tergo.
  4. R. Archivio di Stato. Senato, Misti reg. LI, carte 90 tergo. — Capitolare dei massari all’oro, rub. 93.
  5. R. Archivio di Stato. Senato, Misti reg. LI, carte 91. — Capitolare dei massari all’oro, rub. 94.
  6. R. Archivio di Stato. Senato, Misti reg. LI, carte 91, (rimangono massari all’oro Piero Ghisi e Michele Contarini) — Capitolare dei massari all’oro, rub. 95.
  7. R. Archivio di Stato. Senato, Misti reg. LI, carte 91. — Capitolare dei massari all’oro, rub. 97.
  8. R. Archivio di Stato. Senato, Misti reg. LI, carte 143 tergo. — Capitolare dei massari all’oro, rub. 98.
  9. R. Archivio di Stato. Senato, Misti reg. LIII, carte 154. — Capitolare dei massari all’oro, rub. 101 a 108.
  10. R. Archivio di Stato. Senato, Misti reg. L, carte 99 tergo.
  11. R. Archivio di Stato. Senato, Misti reg. LI, carte 122 tergo. — Capitolare dei massari all’argento, carte 48 tergo.
  12. R. Archivio di Stato. Senato, Misti reg. LI, carte 133 tergo — Capitolare dei massari all’argento, carte 49 tergo.
  13. R. Archivio di Stato. Senato, Misti reg. LI, carte 140.
  14. R. Archivio di Stato. Senato, Misti reg. LI, carte 189 tergo.
  15. Documento XXI.
  16. Infatti a lire 29 soldi 9, da una marca si ricavano 589 soldi, mentre a 100 soldi per ducato cinque ducati e 18 grossi fanno 575 soldi; i 14 soldi di differenza corrispondono alla spesa media di fabbricazione.
  17. R. Archivio di Stato. Senato, Misti reg. LIII, carte 18.
  18. R. Archivio di Stato. Senato, Misti reg. LUI, carte 19. — Capitolare dei massari all’argento, carte 56.
  19. R. Archivio di Stato. Senato, Misti reg. LUI, carte 104 tergo.
  20. Documento XXII.
  21. R Archivio di Stato. Senato, Misti, reg. LIV. carte 6 tergo.
  22.                  ivi                              ivi                              »  7.
  23. Cronaca Veneta di Zorzi Dolfin q.m ser Francesco, fino all’anno 1458. R. Biblioteca Marciana, It. cl. VII, Cod. 794.
  24. R. Archivio di Stato. Senato, Misti, reg. LTV, carte 85 t-86.
  25. È Tomaso e non Giovanni Mocenigo.