Le odi di Orazio/Libro secondo/XVI

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Libro secondo
XVI

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Quinto Orazio Flacco - Odi (I secolo a.C.)
Traduzione dal latino di Mario Rapisardi (1883)
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XVI.


Pace agli Dei richiede uom su l’aperto
    Egeo sospeso, appena atra una nube
    La luna asconde, e non più fulgon certi
            4Astri al nocchiero.

Pace la Tracia furibonda in guerra;
    Pace anco il Medo di faretra insigne,
    O Grosfo, pace cui non compran gemme,
            8Porpora ed oro.

Che non ricchezza già, non consolare
    Littor discaccia i miseri tumulti
    Della mente e le cure intorno a ricco
            12Tetto volanti.

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Ma quei del poco è lieto, a cui sul desco
    Tenue del padre la saliera splende,
    Nè i lievi sonni trepidanza o brama
            16Sordida invola.

Perchè noi, forti per sì picciol tempo,
    Faticar tanto? A che mutar paesi
    D’altro Sol caldi? Chi la patria lascia
            20Fugge sè stesso?

Monta morboso il tedio in su ferrate
    Navi e da torme di destrier non volge,
    Ratto assai più di cervi e di nemboso
            24Euro più ratto.

Animo pago del presente, aborre
    Dal curare oltre, e tempera con lento
    Riso l’amaro: non è cosa in ogni
            28Parte beata.

Celere morte rapì ’l chiaro Achille;
    Tarda vecchiezza assottigliò Titone;
    Ed a me forse quanto a te ha negato
            32Porge l’istante.

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Mugghiano cento greggi a te dintorno,
    A te sicane vacche, a te il nitrito
    Alzan cavalle da quadriga; in afro
            36Ostro ritinte

Lane te veston; picciolette glebe
    E tenue spirto di Camena argiva
    E spregiar bieco vulgo a me la Parca
            40Fida concesse.