Le prose di Bianca Laura Saibante Vannetti/Novella I

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Le prose di Bianca Laura Saibante Vannetti Novella II
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Novella I

Recitata a’ 27 Dicembre 1750 nell’Accademia degli Agiati di Roveredo, giorno della prima apertura della medesima sotto il Reggimento del mio Enea, Primo Fondatore di essa.


O Donne, e Cavalier di virtù ornati,
     Che ad ascoltar me spinse cortesia,
     Cui non videro pari i tempi andati,
     Tanto gli altri vincete in leggiadria,
     A me i vostri pensier non fien celati,
     Poiché narrato avrò la Storia mia.
     Ch’io, se per voi pulisco il rozzo stile,
     Vo’ ch’odan vostri nomi e Battro, e Tile.


Fu già, non ha molto, in una villa vicino di Vicenza Messer Jacopo di Gianlorenzo, uomo alquanto scemo, ma molto dedito ad accumular danajo; il quale, siccome costume era in quel contado di fare due volte la settimana mercato d’uova, s’invogliò anch’egli d’accattarne buona quantità; ma, avvegnaché prima di colorire un disegno costumanza sempre mai ebbe di comunicarlo alla Donna sua - che fuor d’ogn’altra cosa molto cara ad ogn’ora si tenne, come quella che l’amore del marito coll’avvenenza non solo del volto, ma più col bel modo di trattare e comperare e tuttavia mantener si seppe - ad essa perciò andonne, la quale, tosto che venire a sé [p. 6 modifica]lo vide piacevolmente salutatolo, ne lo dimandò, che cosa dall’opra sua bramar sapesse: alla cui richiesta soggiunse Messer Jacopo: «O Livia mia (che tale appunto era il nome di questa valente Donna, e piacevole), se in mal grado a te ancora non fosse, ora che e galli, e galline di molte, come ben sai, io tengo, vorrei al più vicino mercato andarmene per ivi in buona copia d’uova gallate farne compera, e posciachè ragunate in cesta le avrò, quanto più tosto io mi sappia, vedrò a casa ritornare, affine tu, colla molta diligenza tua, sotto qual gallina più ti piaccia, a covare le ponga, e guari non andrà, io ti giuro, che tu ed io stupefatti uscire ne vedremo del guscio altrettanti pulcini, i quali, come avverrà, che grandicelli alquanto sieno, se galli saranno, io vo’ che capponi li faccia, se galline, le chiuda in capponaja, nelle quali a sua stagione galleranno l’uova, ed a questa foggia la famiglia de’ nostri polli vo’ si moltiplichi in infinito». Allora Madonna Livia a cotesta proposta così rispose: «Qualor a te di fare questo in grado il ti pur sia, io sono contenta; e perciò tu te ne puoi spacciare, e colla buona mercè di Dio andartene alla ventura»: lo che non sì tosto ebbe Jacopo inteso che, trattesi in disparte le vecchie brache, ed il giubbetto di dosso, e come se a solenne banchetto ad andare avuto avesse, da capo a piè nuove cose vestissi; preso indi in mano un grosso bastone per cacciare da sè le mosche, e tafani - che caldo essendo, la [p. 7 modifica]maggior parte dell’aria di simili insetti ingombra era - e ad una grande cesta dato di piglio, lieto il cammino prese verso il destinato loco. Dove, posciaché felicemente arrivato fu, di ben quattrocent’uova fece compera, delle quali non così tosto entrato era in tenuta che alla volta di Mad. Livia sua ansioso ritornar volle. Ora avvenne, mentre per la via andava mettendo piede innanzi piede ed in mente fra sé ravvolgendo tuttavia le faccende che in casa a suo tempo Esso e Madonna a fare avrebbono, e fitto teneva nelle cervella il giusto numero delle acquistate uova, attentamente guatando se dal guscio - guata sciocco pensiero - pulcino alcuno, pel soverchio caldo che il sole da cocenti raggi per essere di meriggiana tramandava, non isbucasse, in fallo un piede pose e sdrucciolando cadde, ed in questa caduta mise tanto strepito e fracasso, avvegnadioché omaccio grande e grosso si era, che tale al precipitar d’un alta rupe udito non avrebbesi. Quinci il mal suo maggiore non istimò fosse la caduta, ma bensì l’intiero schiacciamento di tutte l’uova le quali, non poche essendo, per ogni lato della cesta tramandavano strabocchevolmente la broda anzi che no gialla, senza alcun riparo; per la qual cosa in pochi istanti ne furono le brache ed il giubbetto dall’alta cima al basso fondo tutte acconcie pel dì da festa, e Messer Jacopo parea a vedere la più succida e lorda Massaja del mondo. Della qual disavventura non così presto [p. 8 modifica]avvisato si ebbe che a piangere e a battersi il petto, e di capo a strapparsi i capelli scioccamente si diede, come se mal peggiore accaduto gli fosse. Ma in questo, o fosse a studio o a sorte, incontrossi in Lui Messer Barbarigo Brigoso, suo amicissimo il quale, essendo uomo da bosco e da riviera, così acconcio per questo modo come veduto se lo ebbe, mal potendo raffrenare le risa disse: «Domine! ch’è Messer Jacopo che rattristato alquanto ti veggio?». Al quale, dopo aver lo strano suo caso minutamente narrato, poiché molto ad esso M. Jacopo premeva di comparire innanzi a Mad. sua senza uova e così male in arnese, ordinò che ad essa significando per parte sua n’andasse come la bisogna andata si fosse; e che uccidere essa potea e galli e galline che dell’opra di questi e quelle più non ne avrebbe d’uopo. Laonde Barbarigo frettolosamente a casa da Mad. Livia andossene, ed ogni cosa al meglio che Dio volle espostale, ne la pregò che a conforto del marito n'uscisse; la quale, come la dolente novella intesa ebbe, tutta palpitante ad incontrare Mes. Jacopo suo venne, e con bello e piacevole modo a scordarsi d’ogni noja esortandolo per via il venne; poscia arrivati che furono alla casa loro, prestamente di saporiti cibi a ristorarlo si diede, e così per quella volta M. Jacopo, benché a malincorpo, sputò la voglia delle uova e de’ pulcini.