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Le prose di Bianca Laura Saibante Vannetti/Novella II

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Novella II

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Novella I Sacra Narrazione

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Novella II


Recitata a’ 4 Febbraio 1751 nella tornata seconda dell’Accademia sotto il Reggimento di Messer Ottone.


Giovanni Kupfenstäin abbandonata la medica Arte, concede ogni suo recipe a Pietro di lui cameriere, che preghiera gliene porge, ed alla ventura il lascia andare; dopo alcuni anni gravemente inferma, e scoprendo tra molti medici, che a consulto vengono, Pietro, incomincia si sguaccheratamente di ridere che per tal riso ricupera la salute.


Molt’anni per avventura scorsi non sono dacché, in Vienna, Capitale dell’Austria Superiore, Città fuori d’ogn’altra illustre e magnifica, poiché intorno allo spazio di ben tre secoli servì di culla, sede, e tomba agli Austriaci Imperadori, nostri Clementissimi Padroni, fu un valente medico detto per nome Giovanni Kupfenstäin, uomo assassino accreditato, perché d’anni non meno che di dottrina molto ben fornito a cui, per aumentare di non poco la buona voce, serviva l’aver egli, mercé sua piacevole fortuna, innumerabili persone, co’ suoi recipi secondo il germa= [p. 10 modifica]nico uso assai possenti, ritenute in vita; e la buona grazia eziandio, della quale e’ n’andava ornato, accresceva ad esso stima alla giornata e, per mezzo di lei, vie più la facoltà; per la qual cosa, egli avvisando sé essere ricco e rinomato a sufficienza, più oltre coll’arte sua proceder non volle. Teneva questi pertanto a suo servizio in figura di cameriero un pulitissimo giovane, e bello, nomato Pietro Hals, il quale a sé un giorno fatto venire, come più gli piacque, imperciocché al parer di costui molto s’atteneva, così gli disse: «Sappi, Pietro mio, ch’io carico d’anni al mondo essendo, e molto più di meriti e facoltà - come tutti sanno -, rissoluto io sono di abbandonare quest’arte a me ormai divenuta nojosa ed interamente darmi pace e quiete, godendomi ora quel po’ di sustanze che tanto e sì sudatamente hommi ragunate».

Il giovane servo, a cui la nuova rissoluzion del Padrone, quanto saggia paruta era, altrettanto la estimò per sé profittevole, non poté se non altamente commendargliela, dicendogli: «Quantunque a voi più degli anni il peso che di qualunque altra cosa dolga, e v’impedisca di proceder più oltre nell’onorata medica arte, per voi al sommo pervenuta, tuttafiata, se con notabile discapito di quella volete desistere dall’impresa, i riflessi, che fatti n’avete, non si ponno che al Cielo celebrare. Io nulla ostante, pria che a pensiero tale diate opera e che forse de’ virtuosissimi recipi vostri [p. 11 modifica]ne facciate baldoria - se mai per la fedele servitù mia alla signoria vostra prestata tanto vaglio - di special grazia voglio che mi facciate, che quelli a me tutti si donino, niuno eccettuato».

Alla qual ridicola domanda, dopo avere non poco riso il Padrone, così rispose: «Checché d’essi far tu ne vogli, io volentieri te li concedo; ma per mia fé, credimi, ch’e’ non ti faranno medico, quando per l’addietro stato nol fossi, che per tale io mai non ti tenni». A cui Pietro: «Deh nolla mi negate, e con essa la libertà d’andarmene pe’fatti miei, poiché se voi non fate il medico, io non mi starò accerto più con voi, che non penso trovar la fortuna in altro cantuccio che a lato d’un medico; perciò nuovamente vi priego, e voi non siate restìo in compiacermi». «Volentieri, soggiunse il Padrone, prendili, ch’io te li dono», e fatto in sua camera altro servo minor a sé chiamare, contar a Pietro di molto danajo gli fece; indi presa fra le dita una penna sopra d’una carta a lettere di cupola schiccherò un benservito, e rivolto a Pietro: «Poiché richiesto tu m’hai e libertà e recipi, io tutto t’accordo, e con quella e questi, di danajo e benservito, ti munisco, te molto commettendo a Domeneddio, assicurandoti ch’e’mi si fa tardi d’udire di te novella, e della fortuna cui se’ per incontrare». Toltasi adunque da Pietro ogni cosa pel Padrone donatagnene, somme grazie gli rese, e lietissimo di sua sorte da Lui prese comiato. E pensando cosa opportuna portarsi in altro paese, [p. 12 modifica]ove sconosciuto fosse, tutto a piè da Vienna partì, e tanto durante quel giorno e la notte vegnente camminò che pervenne finalmente ad un grosso villaggio; là dove arrivato, seco medesimo stabilì non voler più oltre proseguire; laonde prese abitazione in una delle migliori vie, e rassettate le robe sue alquanto, ma in particolare gli scritti, incominciò per mezzo de’ nuovi suoi amici quivi acquistati a farsi far peduccio, spargendo fama sé essere medico atto a guarire ogni sorta di malattie. Per la qual cosa guari non andò che in molte faccende occupato si vide, alle quali con ogni accurata diligenza studiava d’intendere, sempre però religiosamente osservando nel proferire quelle parole - nel trarre che faceva a sorte dall’armadio i recipi - «Dio te la mandi buona», tanto maggiormente infervorando nel dirle, quanto più vedeva ricavarne egli non mediocre profitto, a tale che in meno di due lustri ricco e famoso medico divenne. Intanto il Padrone suo - che col passar degli anni non ringioviniva - cadde infermo da penosa malattia di petto oppresso, e da questa presso che al lumicino fu condotto; il perché i domestici di lui stimarono essere fatto il meglio di non pochi medici della città e sue vicinanze a consulta chiamare: si mandarono dunque avvisi a più di diece, affine di comperare all’amalato la salute, per mezzo de’ quali si sparse fama assai lunge di maniera che [p. 13 modifica]pervenne all’orecchie di Pietro, il quale, ricordandosi ogni beneficio ricevuto, stimò opportuno dover esso ancora a soccorso del Padrone venire, e così fece. Il giorno della medica unione essendo perciò venuto, quelli della Città ed i terrieri ad una medesima otta e nella stessa camera ove l’amalato giaceva furonsi ritrovati, e Pietro ancora tra questi faceva di sé vantaggiosa mostra. Quando al Padrone, che molto più sana la vista avea dello stomaco, gli occhi girando intorno mirando ciascheduno della brigata, appunto veduto gli venne Pietro, e non altrimente che desso parendogli, incominciò forte a dubitare; e finalmente stabilì di volerlo a sé far accostare, che che avvenire ne potesse, e fattogli cenno, così dissegli: «Potenza in terra! Signor Medico, e’ mi sembra ch’io vi conosca». Pietro allora per temenza di non essere dalla brigata tutta ravvisato - che ben di leggieri accader poteva - mentre a tutta la Città era notissimo per mezzo del Padrone che solea ad ogni suo passo tenerselo a lato, quasi cucito al fianco l’avesse, e talora giugnea fino a partir seco del grato odor de’ pitali che annasar e’ dovea - in confirmazione gli fece un piccol moto al capo; dove che fatto già certissimo il Padrone d’ogni suo dubbio, principiò così smascellatamente ed alla sbardellata a ridere che sembrava fuor de’ gangheri uscito, alla qual [p. 14 modifica]improvvisa scena que’ medici spettatori incominciarono di temere di sua vita; perciò tutti fattisi attorno del letto attendevano il momento di dover, l’arte loro lasciata, esercitar quella del Parroco confessore, raccomandando quell’anima sbuccante al Creatore. Ma la pensata loro a questo punto andò fallita, mentre quel soverchio ridere molto più gli ebbe giovato che fatto non avrebbono le loro medicine, per modo che rompendosegli il catarro a sputarlo per bocca, e scaricarlo per altre parti si diede che non furono appena due ore passate, del male di petto si trovò libero, e più per quella fiata non ebbe uopo de’ medici. Laonde ritrovandosi, la Dio mercè, rissanato, lietamente dopo avere ognuno ringraziato, fece loro una sberrettata, ed accomiatandoli di non pochi fiorini li fece regalare. Pietro solo trattenne e, volendolo sempre seco avere fin all’ultimo di sua vita, non gli mancò poi tempo di farsi da lui narrare ogni suo avventurato successo. [p. 15 modifica]

Sonetto


Filen che solea un tempo co’ pie’ pronti,
più che non segue il Sol Espero bella,
seguir Tirrena saggia pastorella,
quando l’agne menava ai prati, ai fonti.
Filen, che tra i pastor splende più conti,
qual luce in fosco orrore vaga stella,
sì quel, poiché arde omai d’altra facella,
più sua greggia non pasce in questi monti.
E a Tirrena già sua volte or le spalle,
Mirar lei sdegna, e prende sol diletto
Di seder sotto un faggio in erma valle.
Qui vagheggia di Lisa il dolce aspetto:
Qui intreccia a Lei ghirlande or perse, or gialle.
Tanto può in Lui virtù di nuovo affetto.