Le rivelazioni impunitarie di Costanza Vaccari-Diotallevi/Considerazioni/III

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III. — Credibilità delle rivelazioni

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III.

Credibilità delle rivelazioni!


Ma per venire a considerazioni più precise e dirette sulla credibilità delle rivelazioni che la Diotallevi ha fatto, e che sono state riportate negli atti processuali; è utile raffrontare gli articoli da essa formulati allorché fu ammessa al richiesto beneficio della impunità, colle deposizioni che essa fece in seguito e che dal Processante furono pienamente ammesse, siccome quelle che, a suo dire, erano risultate vere in ogni parte.

Il 6 Marzo 1862 essa veniva tradotta in carcere perchè gravemente indiziata di essere essa l’autrice delle oscene fotografie di Sofia di Borbone ex-regina di Napoli, e delle quali ce dà infatti le più minute descrizioni; le quali mentre danno una gravissima presunzione che fosse quello un resultato della sua abilità fotografica, tanto più che dalla sua confessione e dagli atti consta che colla macchina di sua proprietà quelle fotografie erano state eseguite, dànno ad un tempo una prova indubitata della sua riservatezza e del suo pudore.

Due giorni dopo l’arresto, veniva la detenuta Diotallevi sottoposta al primo costituto, e senz’altro si faceva a domandare il beneficio della impunità per sè e per suo marito, e quindi formulava in venti articoli le cose sulle quali prometteva di fare importanti [p. 13 modifica]rivelazioni. Spogliando questi venti articoli di quell’apparenza d’importanza cheijdà ai medesimi la gravità della forma notarile, la sostanza dei medesimi si riduce a ben poca cosa; giacché o si tratta di cose vaghe ed indeterminate, o della indicazione di persone assenti, o, se presenti, di poco o nessun conto come il Margutti, il Calza ed il Venturini, che sono, a quanto pare, quei capi-sezione o capo squadra che prometteva di nominare. Del Comitato la Diotallevi dice all’Art 14 di poter soltanto portare il Governo a qualche utile cognizione; nulla di quei supposti dieci capi-sezione in prima. Afferma nell’Art. 17 di sapere che vi sieno degli impiegati traditori, aggiunge di non poterli nominare, perchè a lei ignoti. Non v’è poi nè motto nè sillaba che dia pure a divedere che essa fosse al caso di presentare al Governo pontificio una storia minutissima dell’origine e del progresso del partito Nazionale in Roma. Invece, $alle deposizioni che fa pubbliche il presente opuscolo, appare che la Diotallevi fosse minutamente informata di tutto. Non pure conosce il Calza, il Margutti ed il Venturini, il Gulmanelli che inaspettatamente diviene uno dei tre che all’epoca dell’arresto componeva il Comitato: non conosce di persona il Venanzi, ma conosce le sue cose più scerete, e per strana combinazione direttamente o indirettamente tutti quelli appunto che si trovarono in carcere ed involti nello stesso processo. Fa veramente maraviglia l’osservare come la scienza di questa donna singolare, anziché esaurirsi colle successive manifestazioni , acquistasse sempre nuova ed indefettibile materia. È un mirabile crescendo quello che essa ha fatto; ha cominciato dal Margutti, dal Calza e dal Venturini, cioè da un prenditore di lotti, da un falegname e da un battiloro, e su su vie più sempre salendo per tutti i gradi e classi sociali ha terminato col denunciare quattro Eminentissimi e Reverendissimi Cardinali di S. Chiesa!

Donde tanta differenza fra le cose articolate allorché fu ammessa al beneficio dell’impunità e quelle infinitamente maggiori per numero e per importanza che costituiscono in fatto la sua deposizione impunitaria? È ben vero, che in fine dei venti articoli l’impunìtaria [p. 14 modifica]promette poi di riferire quant’altro fosse per risovvenire; ma questa riserva non spiega punto la differenza fra le cose articolate e quelle che in fatto costituiscono le deposizioni di lei. Non sono già delle accidentalità, delle particolarità relative alle cose articolate, delle quali la Diotallevi siasi risovvenuta posteriormente alla formulazione di quei venti articoli; ma le cose delle quali si sarebbe risovvenuta sono tali e tante, che a petto ad esse quelle articolate divengono inezie di quasi nissuna importanza. A poter intendere il modo col quale agisce la memoria di questa signora, bisognerebbe poter intendere come in natura possano esservi degli occhi che vedono perfettamente gli oggetti microscopici, ma non vedono nè un cedro del Libano, nè un abeto delle Alpi. E questa sua memoria è tanto più singolare, in quanto che vediamo che, mentre al tempo in cui era ammessa al benefizio della impunità, erasi in guisa dimenticata degli impiegati governativi che tradivano il Governo, che espressamente dichiarava di non poter dire quali fossero; successivamente ha saputo passare in rassegna tutti gli uffici pubblici e designare minutamente quelli impiegati che in ciascuno di essi o sono stati assicurati o ricevono un doppio soldo!

Costituendo tutto ciò un fatto moralmente assurdo, nè essendo supponibile che questa donna potesse da sè stessa parlare di cose che aveva già dichiarato di non sapere e che, sia per la sua condizione stessa di donna e per i suoi rapporti sociali, non era al caso di sapere; a spiegare l’assurdo, è forza persuadersi che essa abbia deposto tuttociò che al Processante interessava che deponesse. Tal supposizione è certamente grave; come quella che contiene una accusa terribile contro il Processante, contro il Tribunale della S. Consulta e contro il Governo pontificio; ma d’altra parte tal supposizione non può dirsi nè avventata nè calunniosa, fatto il raffronto fra le cose che in principio la Diotallevi avea promesso di rivelare e quelle che in fatto avrebbe rivelate. Che anzi è luogo a supporre con gravissimo fondamento che relativamente a molte e gravissime cose che si leggono nelle rivelazioni della Diotallevi, essa [p. 15 modifica]non abbia fatto che prestare il suo nome. Tra le carte venute in potere del Comitato ed appartenenti alla Processura Venanzi, esistono tre fogli di carta di quella stessa qualità nella quale sono redatte le deposizioni formali, che si pubblicano, e che trovansi firmati in bianco dalla Diotallevi nella prima delle quattro colonne in cui ciascuna pagina è divisa secondo V uso notarile e cancelleresco. Questo fatto, che è di una enormità unica anziché rara, e che sarebbe incredibile se non se ne avesse in mano il documento, prova incontrastabilmente che la Diotallevi, avvezzala vendere 11 suo corpo a chi ne avesse voluto, vendette al Processante la sua coscienza, dandogli piena facoltà di dire a suo nome quanto gli fosse tornato a piacere, senza aver pure il disagio della formalità del costituto. E ciò acquista anche maggior certezza, osservando che fra le carte che compongono le rivelazioni della Diotallevi, non tutte sono scritte di mano di questa, ma che invece la parte che può dirsi sostanziale, e certo la più grave, consiste in una minuta scritta dallo stesso Processante, alla quale si è dato poi forma autentica distendendola in quella carta appunto di cui tre fogli si son rinvenuti firmati in bianco dalla pretesa rivelante. E per ciò pure che concerne quella parte della rivelazione, la quale trovasi scritta di carattere della Diotallevi, troppo bene apparisce che le notizie che essa veniva scrivendo non eran già un ricordarsi di quanto essa aveva precedentemente saputo, ma bensì un mettere in carta quanto il Processante le suggeriva, interrogandola su questo o quello degli inquisiti, su questo o quel fatto o cosa. Questa donna, per affrettare il momento della promessa impunità e la promessa di un compenso pecuniario, che come si scorge in fine degli articoli sui quali aveva promesso di rispondere, aveva fin, dal principio espressamente stipulato, erasi messa in tutto e per tutto al servizio del Processante? il quale ne aveva fatto il suo oracolo, a cui aveva ricorso ogni qualvolta gli occorresse o di riempire qualche lacuna, o di avere notizie sul conto di ciascuno degli inquisiti; notizie che egli veniva ricercando alla Diotallevi, non già [p. 16 modifica]interrogandola vagamente, ma su punti determinati e con determinate circostranze, le quali via via ebbero la potenza di ravvivarle la memoria. Troviamo infatti che a più riprese la Diotallevi venne facendo la sua rivelazione e di più troviamo che essa venne dando al Processante notizia di tali cose, che mentre non poteva ella assolutamente conoscerle, erano perfettamente conosciute dal Processante.

Valga ad esempio quanto la Diotallevi ha deposto a proposito delle cifre, delle quali ne troviamo quattro diversi esemplari, che diconsi usati uno da tal Patrizi, l’altro dal Margutti, il terzo dal Gulmanelli e dal DeAngelis, il quarto dal Venanzi. È quasi superfluo il notare quanto sia verosimile che la Diotallevi potesse, non diremo conoscere delle cifre che si dicono di uso particolare delle persone indicate, ma che essa potesse con tanta precisione ricordarsene senza alcun aiuto e stando racchiusa in carcere. Delle prime tre non può dirsi se siano una invenzione pura e pretta della Diotallevi, ovvero se il Processante ne avesse trovato uno schema o fra le carte rinvenute presso il Venanzi o presso altri. Nè da quella parte del processo, che il Comitato possiede, nè dalla Relazione Fiscale di questo v’è argomento a poterne giudicare. Ma relativamente alla cifra che dicesi usata dal Venanzi e della quale a pagina 70 della Relazione Fiscale si afferma essere stato rinvenuto presso il Venanzi un prospetto che si dà alla seguente pag. 71, e che confronta pienamente col prospetto che ne ha dato la Diotallevi; pel Comitato è un fatto incontrastabile, che questo prospetto la Diotallevi non ha potuto darlo se non in seguito della comunicazione che il Processante deve averle fatto di quello che presso il Venanzi fu rinvenuto. La base di questa cifra sono i noti versi dell’Alfieri:

«Ch’io di Roma son figlio
E a Porzia sposo, e ch’io Bruto m’appello.»

Il Venanzi ne’ suoi costituti ha detto che le carte che furono presso di lui rinvenute non erano di sua proprietà, ma appartenevano ad un suo amico che avevalo [p. 17 modifica]pregato a custodirle momentaneamente, ed il Venanzi ha affermato il vero, nè tutta l’abilità fiscale del Collemassi è riuscita a provare il contrario. Da ciò abbiam dunque un primo argomento per: ritenere che la Diotallevi abbia parlato di cosa a lei ignota, una volta che quella cifra viene da essa attribuita al Venanzi, mentre tutt’al più potrebbe avere appartenuto all’amico di lui. Ma quand’anche quella cifra fosse stata in realtà di uso del Venanzi, non si può comprendere come potesse conoscerla la Diotallevi, la quale col Venanzi non aveva alcuna relazione. Neppure essa ci dice di averlo conosciuto; e d’altronde è ben chiaro che intimissima avrebbe dovuto esistere l’amicizia fra essa ed il Venanzi per essere ammessa a conoscere una cosa tanto gelosa e per sua natura segretissima, come è una cifra. E su tal particolare potrebbero addursi tali prove di fatto per mettere £ella più limpida evidenza, che se la Diotallevi parlò così esattamente di quella cifra, ne parlò per conoscenza avutane dopo che fu ammessa alla impunità, se, dandole, non venissero ad essere compromesse gravemente persone che non sono punto comprese nel processo. Deve pertanto il Comitato limitarsi ad affermare asseverantissimamente che quella cifra era in guisa di uso particolare di una sola persona, che neppur esso la conosceva prima della pubblicazione della Relazione Fiscale