Le rivelazioni impunitarie di Costanza Vaccari-Diotallevi/Considerazioni/VIII
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VIII.
Le perizie calligrafiche, difensiva e fiscale — Segue l’analisi.
A completare le presenti Considerazioni, resta a dire del carattere degli scritti che siamo venuti considerando, e di alcune: circostanze che trovansi indicate nelle lettere sequestrate. La materia si fa sempre più grave, più manifesto l’intrigo; le mani del Sagretti direttore, del Collemassi compilatore del processo sono rischiarate da un terribile raggio di luce; ogni dubbio viene rimosso che il tribunale della Sacra Consulta commettesse un assassinio giuridico con animo deliberato.
Posto pure che fosse indubitato esservi perfetta somiglianza fra il carattere certo del Fausti ed il carattere con cui sono scritte la prima e la quinta lettera,1 la spiegazione, della lettera diretta al Fausti e rinvenuta presso il Venanzi, col noto motto da servire per base di cifra: Ch’io di Roma son figlia E a Porsia sposo, e ch’io Bruto m’appello, gli ordini, i permessi e le ricevute. per legittima e necessaria conseguenza delle osservazioni e considerazioni fatte; dovrebbe ritenersi che il Fausti non fosse e non potesse essere l’autore degli scritti che vengongli attribuiti; e che quindi la somiglianza fosse soltanto l’effetto di una perfetta imitazione. Il più ignorante causidico della Curia Romana sa pur esso che, allorquando nei giudizii civili accade di disputare della autenticità o falsità di uno scritto, la falsità od autenticità devono desumersi principalmente dai fatti e dalle: circostanze. Il tribunale innanzi di cui pende la causa, deputa i periti calligrafi per l’esame dello scritto controverso; ma ad ammettere iod escludere la falsità non basta il parere dei periti, qualora non concorrano i fatti e le circostanze. Se tali e tanti sieno i fatti e le circostanze da rendere moralmente impossibile che sia autore dello scritto quello a cui vuolsi attribuire, il tribunale lo giudica falso. Di questo principio di giurisprudenza pratica, che trovasi ricordato ed applicato in molte centinaia di’ decisioni rotali; la ragione è egualmente evidente e giusta. Con un sufficiente studio, frutto di una sufficiente pazienza, l’altrui carattere può imitarsi in modo da non potersi distinguere il vero dal falso; od almeno la simiglianza può esser tale che, pur ammettendo qualche dubbio, non lasci luogo a decidersi. Ciò nonostante, il tribunale della Sacra Consulta attenendosi al parere di due periti calligrafi fiscali da lui deputati, non ba dubitato di dichiarare autografi del Fausti gli scritti indicati, traendone uno de’ principali argomenti a condannarlo.2
Mettiamo da parte l’esposta principio, e facciamo che la somiglianza del carattere possa essere un valido argomento a dire con sicurezza che uno scritto sia veramente di quello che si pretende esserne l’autore. Ma nel caso v’è somiglianza fra il vero ed il supposto carattere del Fausti? I due periti fiscali hanno appena osata di dirlo; e per contrario. I dieci periti della Difesa non solamente l’hanno esclusa alla unanimità, ma han diohiarato prima in iscritto, e poi a voce per tutta la città di Roma, essere tale e tanta la dissimiglianza fra i due caratteri, da non potersi comprendere come possa trovarsi persona che, sebbene trista, giunga a tanta impudenza di menzogna da affermare che gli scritti incriminati sono opera del Fausti.3
La legge di procedura penale all’articolo 185 precettivamente dispone, che se ai calligrafi destinati o nominati per officio, se ne contrappongano altri, e questi depongono contradittoriamente ai primi, il tribunale presceglie allora i periziari. Non sappiamo se anche in questo casa l’angelico Pio IX assolvesse i giudici dall’osservanza della legge; sappiamo però le ragioni per le quali costoro se ne tennero dispensati, e che, come sempre, sono nuovissime, stupende, maravigliose.
Per ciò che s’attiene agli argomenti propri dell’arte calligrafica, la Sentenza a pag. 32 se ne passa dicendo: non essere riuscita la perizia difensiva a combattere la fiscale, giacchè mentre questa aveva proceduto al confronto dei due caratteri coll’analisi dei molti elementi simili, quella invece si era in gran parte occupata di rilevare e porre in vista gli elementi, dissimili. Il Comitato, non conosce nè l’una nè l’altra perizia, se non per quel poco che di ciascuna han detto la Relazione fiscale e la Difesa del Dionisi. Si sa bene che un difensore, si studii di spiegare ogni cosa nel senso più favorevole al cliente, ma sembra molto difficile che nel punto che il difensore intrattiene i giudici di un documento che presenta e sul quale richiama la loro speciale attenzione, s’attenti a scambiare ai medesimi le carte in mano, citando marcatamente parole che nel documento non esistono. Quindi non parrà una puerilità che per noi si citino quelle parole che a pag. 45 della Difesa cita il Dionisi, desumendole dalla perizia. difensiva. Il giudizio dei periti difensivi sarebbe basato non sopra segni comunissimi ad una infinità di scritti, senza essersi punto calcolata la fisonomia e lo assieme del carattere, come dicesi aver fatto la perizia fiscale; ma sulla natura, sulla forma, sulle abitudini e sulla effigie complessiva e particolarissima degli scritti certi e degli scritti incerti, di modo che ogni dato di confronto specifico e caratteristico porta necessariamente a vedere la somma ripugnanza nel tutto e nelle parti fra l’uno e l’altro carattere.
Per ciò poi che s’attiene alla logica, la Sentenza così la ragiona a pag. 33. Allorquando fu perquisita la casa del signor Giovanni Venanzi, fra le altre cose, furono rinvenute tre lettere in cifra provenienti dalla provincia di Campagna prive di timbro postale, le quali trattavano di affari di setta (è là Sentenza che parla a pag. 22) ed avevano la direzione al commendatore, al nobil uomo, al signor cavalier Fausti. Inde iræ? Interrogato il Venanzi su quella direzione, rispondeva, che si trattava di un abuso di nome e nulla più: vale a dire: che nel mezzo dei briganti o papalini che voglian dirsi,4 era stato scelto il nome di un brigante o papalino notissimo. aſfinchè se per disgrazia la persona che recava a Roma la lettera fosse fermata per via e frugata dai bravi birri di Santa Chiesa, questi, veduta la direzione ad un affezionatissimo, umilissimo, devotissimo e notissimo servitore di Sua Eminenza Reverendissima il signor cardinale Giacomo Antonelli segretario di Stato della Santità di Nostro Signore papa Pio IX felicemente regnante, facessero di berretto alla lettera ed al latore.
Per ogni fedel cristiano, che non abbia pensato a raddirizzare il senso comune facendo il suo corso regolare di teologia, quella spiegazione data dal Venanzi sembra tanto simile al vero da scommettere che fuori di essa non possa darsene altra; in ogni modo col solo senso comune non potrebbe mai immaginarsi che quella direzione fosse vera e non: fittizia; imperocchè sarebbe questo il primo caso in cui, non una sola volta, ma’ abitualmente, si fosse costumato di porre sulla soprascritta nome, cognome e qualifiche del direttario. Ma ai preti, che ban fatto il loro corso regolare di teologia, e che però vedono al di là del tempo e dello spazio, è parso altrimenti.5 E bene a ragione; avvegnachè colla brava legge alla mano, cioè colla Notificazione del Ministero delle Finanze, 15 marzo 1854, provano come quattro e quattro fa otto: che non godendo il Fausti della franchigia del dazio postale, qualunque lettera a lui diretta, che fosse stata presa dalle mani di vetturali od altri, sarebbe stata senza riguardi ed eccezioni soggetto di contravvenzione alle leggi postali!
Giova pure avvertire che non è già per ironia che si è notata quella distinzione fra il così detto senso comune ed il vero senso comune teologico. La distinzione è reale, e se ne trova una prova di fatto nella stessa Sentenza; la quale volendo spiegare a pagine 25 l’inverosimiglianza, che pur essendo vero quell’indirizzo, si fosse lasciato intatto sulla soprascritta, sopraffatta un momento dal senso comune non teologico; dice che al Venanzi od a chi per esso, non facea mestieri cancellarlo, perchè quando pure le lettere fossero giunte nelle mani della giustizia, gli sarebbe riuscito agevole di eluderne i sospetti coll’addurre appunto un abuso di nome.
In forza dunque della citata Notificazione del Ministero delle Finanze, essendo .provatissimo che quelle. lettere erano veramente e realmente dirette al Fausti; la navicella della logica teologica degli illustrissimi e reverendissimi giudici prende l’abbrivio ed a piene vele giunge trionfante in porto. Quelle lettere erano veramente dirette al Fausti; atqui le altre, lettere seguestrate alla posta, e gli ordini, i permessi e le ricevute presentano, per confessione dello stesso. Dionisi e degli stessi periti difensivi, un carattere similissimo a quello con cui fu scritta la traduzione di quella delle lettere rinvenute presso il Venanzi, nella quale si parla del Fantini; dunque è il Fausti autore di quelli scritti, dunque non può dubitarsi del retto ed infallibile giudizio portato da periti fiscali6 Ma procedendo colla stregua del senso comune non teologico, ogni fedel cristiano, anche un ottomano, può credere che gli sia permesso di dimandare: È poi provato che la traduzione di quella tal lettera relativa al maresciallo Fantini sia veramente di mano del Fausti? Il Dionisi ed i dieci periti difensivi dicono che mentirebbe a sè stesso chi volesse affermarlo, ed è da credere che dicessero di fede, poichè chiesero formalmente al Tribunale che alla presenza sua istituisse un nuovo confronto sugli scritti, facendo allo stesso confronto prender parte i due periti fiscali, e quanti altri reputasse di convocare7 Di più, agli stessi periti fiscali è mancato l’eroismo dell’impudenza nell’affermarlo. L’hanno affermato: ma nella loro incerta affermazione l’hanno trinciata, anzichè da calligrafi, da letterati. Son queste le loro proprie parole riportate a pagine 291. della Relazione Fiscale: «Il carattere certo del signor Lodovico Fausti, quantunque scarso ne’ suoi elementi di confronto, fornisce non pertanto fondati argomenti da poter ben ritenere il Fausti medesimo autore di tutti i surrichiamati scritti, avuto anche a calcolo la concisione dello stile cui egli sembra attenersi costantemente?!»
Ma o periti o non periti, prosiegue la Sentenza a pagina 38, fa egli bisogno del giudizio dei periti per persuadersi che gli scritti incriminati sono indubitatamente del Fausti? Il morto è sulla bara! Se gli scritti non fossero del Fausti, bisognerebbe dire che fossero stati fatti da altri per calunniarlo; ma, poichè la calunnia riuscirebbe ad una goffaggine se, facendo quei scritti, non si fosse imitato il carattere del cálun: miato, e d’altronde essendo la calunnia insopportabile; dunque? Dunque quei scritti non possono per rerum naturam non essere realmente di quel liberalone del cavalier Lodovico.8
Note
- ↑ La Sentenza alle pag. 26, 27, 28 afferma che le due indicate lettere soltanto furono ritenute in originale dal Fisco; le altre tre furono dopo lette, spedite originalmente al Mastricola.
- ↑ Questi stessi Periti hanno attribuito al Gulmanelli, condannato pur esso a venti anni di galera, una lettera, che si legge a pag. 43. della Relazione Fiscale, e che positivamente non è del Gulmanelli.
- ↑ La Sentenza a pag. 32 formula colle seguenti parole il giudizio dei Periti stragiudiziali: «A questa perizia giudiziale altra ne contrapponeva il Difensore, fatta assumere per suo conto da dieci individui, i quali unanimemente contraddicendo ai giudizio dei periti fiscali, sostenevano non solo che quei scritti non erano di carattere dal Fausti, e neppure avevano veruna somiglianza colle sue abitudini, ma giungevano ad escludere la possibilità che questi avesse potuto vergarli.» Affinchè il pubblico, possa fare il confronto si dà il fac-simile del carattere del Fausti.
- ↑ Il popolo che fa la lingua, si ostina ogni giorno più ad usare indistintamente l’uva e l’altra denominazione, e ciò serva di norma a chi stesse compilando un nuovo dizionario dei sinonimi.
- ↑ Fra gli altri scritti dottissimi, a comporre i quali il cardinale Barberini logorò i suoi novant’anni di vita, dicesi, che dagli eredi siasi rinvenuto un abbozzo di un lavoro già molto innanzi ed intitolato: - Le sciocchezze di Dante Alighieri — L’Eminentissimo porporato si proponeva di provare che, Dante era un’oca, e che aveva detto un mondo di corbellerie descrivendo i tre mondi dell’altro inondo. Si proponeva pure di descrivere esattamente come questi tre mondi fossero fatti, dando di ciascuno la vera pianta topografica e geografica, delle quali pure, dicesi, che esistono schizzi stupendi. Nella speranza che la notizia sia vera, preghiamo gli illustri eredi a pubblicare e scritti e disegni il più presto possibile.
- ↑ Sentenza, alla pag. 33.
- ↑ Difesa Dionisi, pag. 46.
- ↑ Se taluno fra i lettori non avesse letto la Sentenza, e pregato di procurarsela, perchè veda che non si è nulla alterato e falsato. Questa Sentenza si vende in Roma al prezzo di baiocohi 10 nell’ufficio nell’Osservatore Romano alla piazza dei Crociferi.