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Le sciarlette de la commare

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Giuseppe Gioachino Belli

1835 Indice:Sonetti romaneschi IV.djvu sonetti letteratura Le sciarlette de la commare Intestazione 4 giugno 2024 75% Da definire

La mormorazzione Er temporale de jjeri
Questo testo fa parte della raccolta Sonetti romaneschi/Sonetti del 1835

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LE SCIARLETTE[1] DE LA COMMARE.

     Dico, diteme un po’, ssora commare,
Che ssét’ita discenno[2] a Mmadalena
Che llui[3] me pista,[4] e nun c’è ppranzo e ccena
Che ffinischi tra nnoi senza caggnare?

     Ebbè? Ssi[5] Ustacchio me bbastona, è affare
Da pijjavvene[6] mo ttutta sta pena?
Che importa a vvoi? Me mena, nun me mena,
È mmarito e ppò ffà cquer che jje pare.

     Che vve n’entra in zaccoccia, sora ssciocca,
De li guai[7] nostri? Voi, sora stivala,
Impicciateve in quello che vve tocca.

     Vàrdela[8] llì sta scianca a ccressceccala![9]
Lei se tiènghi[10] la lingua in ne la bbocca,
E ss’aricordi er fin de la scecala.[11]

24 gennaio 1835.

Note

  1. Ciarlette.
  2. Che siete ita dicendo.
  3. Mio marito.
  4. Mi pesta.
  5. Se.
  6. Pigliarvene.
  7. La voce guai è presa spesso, come qui, in senso di “affari, interessi personali di qualcuno.„
  8. Guardala.
  9. Questa gamba a cresce-e-cala. Il cresce-e-cala è quel genere di cilindretti di cristallo rintorti a spira, i quali, girati in uno o in altro senso, sembra che si allunghino od accorcino.
  10. Si tenga.
  11. Cicala.