Le vite de' più eccellenti pittori, scultori e architettori (1568)/Gaddo Gaddi

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Gaddo Gaddi

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Andrea Tafi Margaritone

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VITA DI GADDO GADDI PITTORE FIORENTINO

Dimostrò Gaddo pittore fiorentino in questo medesimo tempo più disegno nell’opere sue lavorate alla greca e con grandissima diligenza condotte, che non fece Andrea Tafi e gl’altri pittori che furono inanzi a lui; e nacque forse questo dall’amicizia e dalla pratica che dimesticamente tenne con Cimabue; perchè, o per la conformità de’ sangui o per la bontà degl’animi, ritrovandosi tra loro congiunti d’una stretta benivolenza, nella frequente conversazione che avevano insieme e nel discorrere bene spesso amorevolmente sopra le difficultà dell’arti, nascevano ne’ loro animi concetti bellissimi e grandi. E ciò veniva loro tanto più agevolmente [p. 112 modifica]fatto, quanto erano aiutati dalla sottigliezza dell’aria di Firenze, la quale produce ordinariamente spiriti ingegnosi e sottili, levando loro continuamente d’attorno quel poco di ruggine e grossezza, che il più delle volte la natura non puote, con l’emulazione e coi precetti che d’ogni tempo porgono i buoni artefici. E vedesi apertamente, che le cose conferite fra coloro che nell’amicizia non sono di doppia scorza coperti, come che pochi così fatti se ne ritrovino, si riducono a molta perfezzione. Et i medesimi nelle scienze che imparano, conferendo, le difficultà di quelle, le purgano e le rendono così chiare e facili, che grandissima lode se ne trae. Là dove per lo contrario alcuni diabolicamente nella professione dell’amicizia praticando, sotto spezie di verità e d’amorevolezza, e per invidia e malizia i concetti loro defraudano; di maniera che l’arti non così tosto a quell’eccellenza pervengono che farebbono se la carità abbracciasse gl’ingegni degli spiriti gentili, come veramente strinse Gaddo e Cimabue, e similmente Andrea Tafi e Gaddo, che in compagnia fu preso da Andrea a finire il musaico di S. Giovanni. Dove esso Gaddo imparò tanto che poi fece da sè i Profeti che si veggiono intorno a quel tempio nei quadri sotto le finestre; i quali avendo egli lavorato da sè solo e con molto miglior maniera, gli arrecarono fama grandissima. Laonde, cresciutogli l’animo e dispostosi a lavorare da sè solo, attese continuamente a studiar la maniera greca accompagnata con quella di Cimabue. Onde fra non molto tempo essendo venuto eccellente nell’arte, gli fu dagli Operai di S. Maria del Fiore allogato il mezzo tondo dentro la chiesa sopra la porta principale, dove egli lavorò di musaico l’incoronazione di Nostra Donna: la qual opera finita, fu da tutti i maestri, e forestieri e nostrali, giudicata la più bella che fusse stata veduta ancora in tutta Italia di quel mestiero, conoscendosi in essa più disegno, più giudicio e più diligenza, che in tutto il rimanente dell’opere che di musaico allora in Italia si ritrovavano. Onde spartasi la fama di quest’opera, fu chiamato Gaddo a Roma l’anno 1308, che fu l’anno dopo l’incendio che abbruciò la chiesa e i palazzi di Laterano, da Clemente V al quale finì di musaico alcune cose lasciate imperfette da fra Jacopo da Turrita. Dopo lavorò nella chiesa di S. Piero, pur di musaico, alcune cose nella capella maggiore e per la chiesa, ma particolarmente nella facciata dinanzi un Dio Padre grande con molte figure; et aiutando a finire alcune storie che sono nella facciata di S. Maria Maggiore di musaico, migliorò alquanto la maniera, e si partì pur un poco da quella greca che non aveva in sè punto di buono. Poi ritornato in Toscana, lavorò nel Duomo vecchio fuor della città d’Arezzo per i Tarlati, signori di Pietramala, alcune cose di musaico in una volta la quale era tutta di spugne, e copriva la parte di mezzo di quel tempio: il quale essendo troppo aggravato dalla volta antica di pietre, rovinò al tempo del vescovo Gentile Urbinate, che la fece poi rifar tutta di mattoni. Partito d’Arezzo, se n’andò Gaddo a Pisa, dove nel Duomo sopra la capella dell’Incoronata fece nella nicchia una Nostra Donna che va in cielo, e di sopra un Gesù Cristo che l’aspetta e le ha per suo seggio una ricca sedia apparecchiata: la quale opera, secondo que’ tempi, fu sì bene e con tanta diligenza lavorata, ch’ella si è insino a oggi conservata benissimo. Dopo ciò ritornò Gaddo a Firenze con animo di riposarsi; per che datosi a fare piccole tavolette di musaico, [p. 113 modifica]ne condusse alcune di guscia d’uova con diligenza e pacienza incredibile; come si può fra l’altro vedere in alcune, che ancor oggi sono nel tempio di S. Giovanni di Firenze. Si legge anco che ne fece due per il re Ruberto, ma non se ne sa altro. E questo basti aver detto di Gaddo Gaddi, quanto alle cose di musaico. Di pittura poi fece molte tavole, e fra l’altre quella che è in S. Maria Novella nel tramezzo della chiesa alla capella dei Minerbetti, e molte altre che furono in diversi luoghi di Toscana mandate. E così lavorando quando di musaico e quando di pittura, fece nell’uno e nell’altro esercizio molte opere ragionevoli, le quali lo mantennero sempre in buon credito e reputazione. Io potrei qui distendermi più oltre in ragionare di Gaddo, ma perchè le maniere dei pittori di que’ tempi non possono agl’artefici per lo più gran giovamento arrecare, le passerò con silenzio, serbandomi a essere più lungo nelle vite di coloro, che avendo migliorate l’arti, possono in qualche parte giovare. Visse Gaddo anni settantatrè, e morì nel 1312 e fu in S. Croce da Taddeo suo figliuolo onorevolmente sepelito. E sebbene ebbe altri figliuoli, Taddeo solo, il quale fu alle fonti tenuto a battesimo da Giotto, attese alla pittura, imparando primamente i principii da suo padre, e poi il rimanente da Giotto. Fu discepolo di Gaddo, oltre a Taddeo suo figliuolo, come s’è detto, Vicino pittor pisano, il quale benissimo lavorò di musaico alcune cose nella tribuna maggiore del Duomo di Pisa, come ne dimostrano queste parole che ancora in essa tribuna si veggiono: Tempore Domini Johannis Rossi Operarii istius ecclesiae, Vicinus pictor incepit et perfecit hanc imaginem Beatae Mariae; sed Majestatis, et Evangelistae, per alios inceptae, ipse complevit et perfecit, Anno Domini 1321, de mense Septembris. Benedictum sit nomen Domini Dei nostri Jesu Christi. Amen. Il ritratto di Gaddo è di mano di Taddeo suo figliuolo nella chiesa medesima di S. Croce nella capella de’ Baroncelli in uno sposalizio di Nostra Donna, e accanto gli è Andrea Tafi. E nel nostro libro detto di sopra, è una carta di mano di Gaddo fatta a uso di minio come quella di Cimabue, nella quale si vede quanto valesse nel disegno. Ora perchè in un libretto antico, dal quale ho tratto queste poche cose che di Gaddo Gaddi si sono raccontate, si ragiona anco della edificazione di S. Maria Novella, chiesa in Firenze de’ frati Predicatori, e veramente magnifica e onoratissima, non passerò con silenzio da chi e quando fusse edificata. Dico dunque, che essendo il beato Domenico in Bologna, et essendogli conceduto il luogo di Ripoli fuor di Firenze, egli vi mandò sotto la cura del beato Giovanni da Salerno dodici frati: i quali non molti anni dopo vennero in Fiorenza nella chiesa e luogo di S. Pancrazio, e lì stavano, quando venuto esso Domenico in Fiorenza, n’uscirono e, come piacque a lui, andarono a stare nella chiesa di S. Paolo. Poi essendo conceduto al detto beato Giovanni il luogo di S. Maria Novella con tutti i suoi beni dal legato del Papa e dal vescovo della città, furono messi in possesso e cominciarono ad abitare il detto luogo il dì ultimo d’ottobre 1221. E perchè la detta chiesa era assai piccola, e risguardando verso occidente aveva l’entrata dalla piazza vecchia, cominciarono i frati, essendo già cresciuti in buon numero e avendo gran credito nella città, a pensare d’accrescer la detta chiesa e convento. Onde, avendo messo insieme grandissima somma di danari, e avendo [p. 114 modifica]molti nella città che promettevano ogni aiuto, cominciarono la fabbrica della nuova chiesa il dì di S. Luca nel 1278, mettendo solennissimamente la prima pietra de’ fondamenti il cardinale Latino degli Orsini legato di papa Nicola III appresso i Fiorentini. Furono architettori di detta chiesa fra’ Giovanni fiorentino e fra’ Ristoro da Campi conversi del medesimo ordine, i quali rifeciono il ponte alla Carraia e quello di S. Trinita, rovinati pel diluvio del 1264 il primo dì d’ottobre. La maggior parte del sito di detta chiesa e convento fu donato ai frati dagli eredi di messer Jacopo cavaliere de’ Tornaquinci. La spesa, come si è detto, fu fatta parte di limosine, parte de’ danari di diverse persone che aiutarono gagliardamente, e particolarmente con l’aiuto di frat’Aldobrandino Cavalcanti, il quale fu poi vescovo d’Arezzo, et è sepolto sopra la porta della Vergine. Costui, dicono che, oltre all’altre cose, messe insieme con l’industria sua tutto il lavoro e materia che andò in detta chiesa, la quale fu finita, essendo priore di quel convento fra’ Jacopo Passavanti, che perciò meritò aver un sepolcro di marmo inanzi alla capella maggiore a man sinistra. Fu consecrata questa chiesa l’anno 1420 da papa Martino V come si vede in un epitaffio di marmo nel pilastro destro della capella maggiore, che dice così: Anno Domini 1420 die septima Septembris Dominus Martinus divina providentia Papa V personaliter hanc ecclesiam consecravit, et magnas indulgentias contulit visitantibus eamdem. Delle quali tutte cose e molte altre si ragiona in una cronaca dell’edificazione di detta chiesa, la quale è appresso i padri di S. Maria Novella, e nelle istorie di Giovanni Villani similmente. Et io non ho voluto tacere di questa chiesa e convento queste poche cose, sì perchè ell’è delle principali e delle più belle di Firenze, e sì anco perchè hanno in essa, come si dirà di sotto, molte eccellenti opere fatte da’ più famosi artefici che siano stati negl’anni addietro.

FINE DELLA VITA DI GADDO GADDI.