Leoniero da Dertona/Atto primo

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Atto primo

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Personaggi Atto secondo

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LEONIERO DA DERTONA.




ATTO PRIMO.

Piazza in Dertona. — I fabbricati sono nuovi. Rimangono alcune rovine.




SCENA I.

LEONIERO.


Son io nella mia patria? — Un pur non veggio
Degli edifizi di Dertona antica.
Tutti li strusser la ferocia e il foco
Degli stranieri. — Oh gioia! oh dolorosa
Gioia! in quelle macerie una reliquia
Ecco di te, prisca città. Ch’io baci
Queste pietre che albergo erano a’ prodi
De’ tempi miei, de’ tempi degli eroi!1
Ire di sangue dividean que’ forti,
Ahi, troppo spesso! Ma se ferri estranei
La comun patria minacciavan, l’ire
Cittadine tacean, sin che Dertona
Della vittoria il cantico intonasse.
Ed ora... Obbrobrio! E sarà ver? Curvarsi
Anzi color che la struggean? coll’empio
Svevo allearsi? E il figlio mio.... La fama
Non mentirebbe? Egli il fellon?


SCENA II.

GUIDELLO e detto.


Guidello.                                                  Signore,
Da mie case te vidi io questi novi
Edifizi ammirar, sì che straniero

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Mi ti palesi. Io dertonese antico
Sono e i costumi di mia patria osservo:
Quello è il mio tetto: ivi fraterno pane
E a tua difesa fedel brando io t’offro.
Leoniero.Mercè ti rendo, o cavalier; ma un figlio
A visitar qui mossi. — (Egli?...)
Guidello.                                                       (Qual voce!)
A che mai sì mi guardi, e ti commovi,
E mi riguardi più commosso?
Leoniero.                                                  Oh amico!
Guidello.Desso! Tu da sì lunghi anni ramingo
Co’ pii crociati! Oh Leonier!
Leoniero.                                                       Guidello!
Tu vivi ancor! Più rabbracciarti io mai
Non isperava.
Guidello.                         Oh! reduce a tue mura
Ben attendesti allor che il primo nembo
Della guerra ruggía di Federigo
Sulla misera Italia. A lungo il nembo
Imperversò; non comparisti, e allora
Dissi: «Sotto l’acciar del Saracino
«Caduto è Leonier!»
Leoniero.                                        Non tardi il grido
Degli affanni lombardi in Orïente
Giugnea; ma nelle tende saracine
Io fremente languia, nè di prigioni
Cambio accadea. Spuntò quel giorno alfine
Che ricinsi la spada e intesi il bando
D’Alessandro pontefice, che sciolti
Dalla crociata, all’arme avea i Lombardi
Contra la boreale oste chiamati.
M’accoglie il primo pin; Napoli tocco;
Ma epidemico morbo io da Sionne
Portato avea. Scoppiò il malor. Respinto
Fui dall’uman consorzio, e un lazzeretto
Me intero un anno seppellì. Risorto
Quasi da morte, a rapide giornate
Qui m’avvio; ma sonar per le vicine

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Terre udii tal novella, che formarne
Dubbio non oso,... o d’accertarmen tremo.
Guidello.Che?
Leoniero.     Tu mel chiedi? E qual delle lombarde
Città, quando Dertona al suol fu rasa,
Braccia mandò e tesori a rialzarla?
Non sallo Italia? Fu Milan, la pia
E gagliarda Milan. Chi più fedele
Esser doveale di Dertona?
Guidello.                                             Ah, dunque
Tu sai....
Leoniero.               Che ingratamente abbandonata
È la città materna; e alla nemica
Repubblica Pavese, e agli stranieri,
Che da nostra perfidia or traggon lucro,
Oggetti siam di spregio.
Guidello.                                        Altro intendesti?
Leoniero.Prosegui.
Guidello.               Sai chi all’avversario i brandi
Nostri promette?— Leonier, tu fremi;
Tu ascondi il viso. — Ah, nulla ignori!
Leoniero.                                                            Vero,
Vero è dunque? Mio figlio? Oh narra! Ei cinge
L’annuo consolar ferro, e da quattr’anni
Deporlo niega; e tinto ora di sangue
Cittadino è quel ferro. — Ma tu taci,
E affermi.
Guidello.               Vieni entro mie stanze.
Leoniero.                                                       Al figlio
Parlar vo’ pria. Se indegno ei mostrerassi
Di dare ospizio al genitore, ospizio
Accetterò da te. Per trar secreta
Del tristo ver contezza, ignoto entrai
Nella città. Da niun, che da te, meglio
Posso le colpe di colui con luce
Non fallevol saper.
Guidello.                                        Misero padre!
Breve ti parlo. Anzi al tuo arrivo, io speme

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Nulla serbava che l'estrema: guerra
Civil. Ma più felice ora il futuro
Splendemi. Dall’abisso Enzo ritrarre
Zel paterno potrà.
Leoniero.                              Tant’ oltre mosse?
Ei che sì generoso animo, quando
Giovinetto lasciavami, mostrava!
Ah, non è dubbio! il traviò l’iniqua
Stirpe nemica a me mortal, gli Auberti
Che a turpe macchia il seducean.
Guidello.                                                  T'inganni.
Leoniero.Vincol di sangue Enzo con lor non strinse?
La figlia mia! di Leonier la figlia
Sposa al figliuol d'Auberto!
Guidello.Ah, mal conosci
L’intemerato genero! Egli solo
Argine da gran tempo è all’impudenza
Di chi ne opprime. E Auberto stesso, troppo
Abborrito da te, posto ha cogli anni
Giù la ferocia, e no il cavalleresco
Di patria amor che in ogni età infiammollo.
A lor temuta stirpe Enzo s'unía,
Sedur quelle gagliarde alme sperando.
Fallò il suo intento. Appena l’anno ei chiuse
Del consolar suo ufficio, e il sommo acciaro
Volle serbar; levossi Arrigo, e sforzi
Oprò ad infranger la congiura ordita
Fra il vil senato e il console. Disdisse
Ad Enzo l'amistà: tribun fu scelto
Dal popolo e custode della rocca
Ovo dal cenno suo pendon le insegne
Della città. Ma che mai son le insegne
Co’ nostri pochi cento, appo le squadre
De’ masnadieri, che dappria con arte,
Quasi contro agli Svevi, Enzo adunava?
Intrepida la voce è del tribuno,
Ma numerosa turba ama il fellone
Che i ricchi spoglia e prodigo sovr' essa

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Gli aver ne spande. Io memore ogni giorno
Della tua fratellanza, esser l’amico
D’Enzo e raddurlo a fedeltà tentai.
Ma quando— or volge il quinto dì— prestarsi
Orecchio vidi a’ patti obbrobrïosi
Dello stranier,— dirtel degg’io?— il tuo nome
Invocando e la patria, io nel mio core
Giurai guerra civile. — Ad impedirla
Ti manda il ciel.
Leoniero.                                   Fiducia alta ne nutro.
Egli m’udrà. Non indugiam.— Migliori
Di lui gli Auberti! i figli di coloro
Che trucidaro il padre mio!
Guidello.                                                  Quai grida?
Stuol di popol s’avanza.


SCENA III.

ELOISA, popolo e detti.


Eloisa.                                             Aita, aita!
È il vostro eroe! salvatelo!
Leoniero.2                                                  Che dici?
Guidello.Sua voce parmi. — Ah, sì, tua figlia.
Leoniero.                                                            Oh figlia!
Son Leonier: ravvisami.
Popolo.                                             Oh prodigio!
È Leoniero! è Leoniero!
Eloisa.                                                  Oh padre!
Oh dolce nome! Ah, in quale istante!... Sappi...
Leoniero.Che forsennata sì spingeati?
Eloisa.                                                  Arrigo....
Misera me! Salvami Arrigo.
Cittadino.                                                  In ferri
È il tribuno; salviamlo.
Guidello.                                        Oh tradimento!
Come in poter del console?

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Eloisa.                                                  Ahi! credeva
Arrigo troppo in suo valor. Soletto
Ieri a tard’ora in sul destrier movea
All’ostello di Ghieimo. Io di sciagure
Presaga il cor, spesso gliel dissi: «Oh, mai
Scompagnato non veggianti a tard’ora
Le infide vie della città!» — «Baldanza,
Diceva ei, ne trarrebbe Enzo ove segno
In me scorgesse di timor; nè ardito
Enzo è ancor tanto, ch’anzi al popol levi
La sacrilega man contro al tribuno.»
Lassa! negro jersera e tempestoso
L’aer favoria gli agguati. A’ focolari
Suoi già raddotto il popol era, e s’anco
Aggiravasi alcun, notturne guardie
Cacciando il gían. Così un canuto artiero
Inseguito è da quelle. Il tolgon dense
Tenebre all’altrui vista, e per macerie
S’appiatta, donde vede in sulla piazza
Brigata accorrer di cavalli, e assalto
Intende, e molte grida, e udir fra queste
Crede la voce del tribun. Non trasse
Quindi più al tetto suo, ma cautamente
Andò al castello, e poichè assente Arrigo
Seppe, tutto narrò. Celommi Auberto
Sino al mattin tanta sciagura; io poscia
Al vecchio artier parlai. Tornano i messi
Ch’iti d’Arrigo erano in cerca:— a Ghielmo
Jernotte uom non comparve! — Insana quasi
Corro alle soglie del fratel: «Che festi,
Che festi, grido, dello sposo?»— «Ei vive,
Rispose, e in lui staría salvarsi.» — E disse,
Mie disperate lagrime spregiando,
Che, o l’usurpata rocca il tribun renda,
O reo di morte egli è.
Guidello.                                        Sir della rocca
Il popol è.
Eloisa.                         Ciò pure a lui diss’io,

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Nè rampogna obliai, nè umile prego,
Onde a vergogna indurlo, e a generosi
Sensi, e a pietà di me. Per la paterna
Fama il pregai, pel cenere ancor caldo
Di nostra madre che a mie nozze pianse,
E al fratello dicea: «Ben d’Eloisa
Degna è l’alma d’Arrigo; oh! ma d’Arrigo,
Poichè cognato il vuoi, più non t’offenda
La virtù troppa, e sia tra voi concordia.»
Mie supplici querele Enzo irritaro.
Vedere almen lo sposo mio, vederlo
Almen chiedea. Ciò pur negommi; e irato
Alfin da me strappandosi, «Nemico
Èmmi colui! proruppe, e a te l’amarlo
Disdice!» — E queste orribili parole
Proferiv’ei con sì tremenda voce,
Con sì furente sguardo, che speranza
Altra a me non lucendo, il clamor mio
Fermai recare al popolo.
Leoniero.                                             Ah! tua madre
Dunque io veder più non dovea? — T’incuora,
O figlia; un padre oggi racquisti; ed oggi,
Benchè figlio d’Auberto, oggi il tuo sposo
Un padre acquista ei pur.
Popolo.                                             Fuggiamo: è desso!
Il console!
Leoniero.                    Fermatevi, codardi:
Leoniero è con voi.


SCENA IV.

I precedenti rimangono affollati da una parte della piazza. Una squadra giunge dall' altra: ENZO è alla testa.


Enzo.                                             Credere il deggio?
Ov’è l’illustre genitor? Chi tarda
Gli adorati suoi passi? Enzo tuo figlio
Ti chiama, o Leonier.
Leoniero.                                             Qui un Leoniero

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Sta, che partendo, or son molt’anni, un figlio
Benedicea. Abbracciava il giovinetto
Queste ginocchia, lagrimando, e il giuro
Ripetea ch’io dettavagli. Se vive
Quel figlio mio, s’avanzi, e mi ripeta
Qual fu quel giuro.
Enzo.                              Sì m’accogli?
Leoniero.                                                  Intendi?
Quel giuro io ti domando.
Enzo.                                             Io....
Leoniero.                                                       Tu,— se quello
Sei che allor benedissi, — a me giuravi....
Enzo.D’amar la patria, e l’amo.
Leoniero.                                             E la calpesti?
Enzo.Che dici?
Leoniero.                    Di difenderla giuravi
Contro a’ nemici.
Enzo.                              Sì, e nemici sono
Quelli ond’io la difendo.
Leoniero.                                             «Io giuro, o padre
(Queste fur d’Enzo le parole), io giuro
Di camminar sulle vestigia sante
Degli avi miei, che per gli altar, le leggi,
La patria gloria, prodigare il sangue!
Com’essi allo stranier giogo la fronte
Non lascerò che mai Dertona inchini!
Com’essi, se onorata un dì mia destra
Verrà del brando signoril, nel sangue
Nol tingerò degl’innocenti mai!
E vòlto l’anno, io deporrò quel brando,
Nè tollerato per me fia, che ad onta
Delle leggi, oltre l’anno altri lo jmpugni!»
Enzo.Indugia, o padre, a condannarmi. I vili
Che mi fan guerra e circuíanti, il loro
Veleno in te soffiàr; ma ben coll’alto
Senno tu in breve scorgerai qual bassa
Di calunnia opra sia, vestir d’infame
Manto i servigi che più eccelsi, e l’orme

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Calcando avite, alla mia patria io resi.
Ma decoroso loco a indagin tanta
Questo non è. Deh, piacciati al palagio
Trar, laddove il più tenero de’figli
E di te degno dimostrarmi ambisco.
Leoniero.Decoroso è ogni loco, ove la causa
Di giustizia agitar. Se qui soverchia
La presenza è d’alcun, quella è del tuo,
Non del corteggio mio.
Eloisa.                                             Padre, deh frena
Il magnanimo sdegno! all’infelice
Genero pensa.
Leoniero.3                              Tu d’Auberto il figlio
Far potevi mio genero! e tal sangue
Mescolar che d’atroci odii e vendette
Nelle vene e sui ferri e sui sepolcri
Da secoli arde! — Inverecondia orrenda,
Che avria dovuto trar di sotto terra
Dell’avo tuo l’invendicato spettro
L’empie tede a smorzar! — Ma poichè il nodo
Malaugurato avvenne, e fratellanza
Ad Arrigo giurasti, il giuramento
Che franger può, se non maggior delitto?
Enzo.Ei primo il vincol franse.
Leoniero.                                             Ei t’è fratello.
E ove da violenza un fratel tuo
Oppresso geme, ospite andrò?
Enzo.                                                       Decreto
È del senato, che tra’ ferri il pone;
Sciorlo il consol non può. Duolo e vergogna
Ben de’ misfatti di colui mi punge,
Ma manifesti son. Contro al comando
Invïolabil del senato, ei nega
Ceder la rocca, e in nido di rubelle
Armi la volge.
Guidello.                              In te rientra, o figlio

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Di Leonier. Gran tempo è che di spade
Non natie ti circondi, e col terrore
Sospendi il moto delle sacre leggi.
Passeggero silenzio è, che tue lance
Intimar ponno: guai se irrompon gli atti
Pria della voce! guai!...
Enzo.                                        Che ardisci!
Guidello.                                                       Arrigo
Abborria il civil sangue. Ei troppo spesso
La tribunizia podestà adoprava
Sol gli animi a sedar; ch’egli dal tempo,
Da’ privati consigli e dal tuo senno,
Enzo, molto sperava. Ei....
Enzo.                                             Taci.
Popolo.                                                       Arrigo
Vogliamo! Arrigo, il tribun nostro!
Enzo.                                                            Pace,
O cittadini!
Guidello.                         E sì la intimi?
Enzo.                                             O insano,
All’antica amistà che a noi t’univa,
Tanta audacia perdono. — Or, Leoniero,
Vedi con qual maligna arte a cimento
Sia provocato il figlio tuo. — S’acqueti
Il tumulto, ma salvo ognun ritorni
A sua magion. De’ Dertonesi il sangue
Con mio dolor si verserebbe.
Cittadino.                                                  È padre
Del popolo Enzo!
Molti.                                   Il tribun nostro Arrigo!
Il tribun nostro!
Eloisa.                                   Arrenditi, fratello.
Enzo.Padre, meco ritratti.
Leoniero.                                        In ceppi è Arrigo.
Popolo.Forza al padre vuol far.
Enzo.                                                  No, forza al padre
Io non farò: sacro egli m’è. Il periglio
Della città costringerai, e te lascio,

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Mal consigliato padre. In miglior punto
Conoscerai del figlio tuo l’amore,
E l’innocenza. — 4


SCENA V.

LEONIERO, ELOISA, GUIDELLO, Popolo.


Leoniero. Figlia mia, Guidello,
Cittadini! a quai giorni era serbato
Mio infelice ritorno! Onde consiglio
Trar?
Guidello.          Mio consiglio è questo. Or farti forza
Enzo qui non ardía, ma con più armati
Le mie pareti assalir può: securo
Asilo or non saríanti. Ad ogni costo
Ei vorrà al popol tòrti, a cui possente
Sprone a virtù, com’altra volta fosti,
Ridivieni oggi.
Leoniero.                              Adunque....
Guidello.                                             Entro il castello
Ricovrarti fia ’l meglio.
Leoniero.                                        Oh che parli? Io
D’Auberto ospite? Ah! mai di chi la spada
Nella strage de’ miei tinse, le soglie
Non toccherò. Nato non era Arrigo
Allor; non sovra lui de’ miei congiunti
Imprecante cadea l’ultimo sguardo.
Ma sotto un tetto Auberto ed io? Non mai,
Fuor che fosse la tomba!
Guidello.                                             Oh d’eredati
Odii ferocia, al comun ben funesta!
Ma tu meco ti sdegni? Il tetto mio
D’armi privo non è. Vieni. Consiglio
Alcuni retti ci saran: difesa....
Popolo.Noi tutti!
Leoniero.All’uopo la mia voce, o forti,
Vi chiamerà; chè a vïolenta impresa

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Enzo or provocherían vostre minacce.
Pronto a virtù, ma queto a’ focolari
Suoi ciascun torni, e in Leonier s’affidi.
Popolo.Viva l’antico eroe!
Leoniero.                                        Padre son d’Enzo;
Ma a virtù ritrarrollo, o d’esser padre
Pria obblierò, che d’esser dertonese.
Eloisa.Pietoso Iddio, deh, illumina de’ buoni
La mente; e a lor la patria, e a me ad un tempo
Lo sposo e il genitor salva e il fratello!


Note

  1. S’inginocchia, bacia le rovine, e si rialza.
  2. A Guidello.
  3. Ad Enzo.
  4. Parte co’ suoi.