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Lettera a Calcedonio Reina (13 ottobre 1876)

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Mario Rapisardi

1876 Lettere letteratura Lettera a Calcedonio Reina Intestazione 3 maggio 2008 50% Lettere

Firenze, 13 ottobre 1876


Mio carissimo Nello,

Se tu sapessi le peripezie del mio cuore e del mio Lucifero!

Delle prime ti parlero lungamente quando mi sarà dato di riabbracciarti; delle altre ti dico ora qualcuna, e perchè tu mi perdoni il lungo silenzio e perchè ho gran bisogno di dare uno sfogo all'anima amareggiata.

Barbèra s'era fatto editore del mio poema, la stampa andava a vele gonfie; eravamo già a vista del porto, era già composto l'ultimo canto, ed io mi deliziava a leggere dopo tanti stenti la parola "fine"; quando a Barbèra sopravvengono gli scrupoli, non vuole andare avanti, vuole sciogliere a qualunque costo il contratto.

Si consultano avvocati, i quali dichiarano incriminabile il poema: mi obbligo a pagare la multa e le spese di processo, e Barbèra non si contenta: ha paura non meno del codice penale che dell'inferno; non solo non intende mettere il suo nome di editore sul mio libro, ma neppur quello di stampatore; vuol distruggere tutto il materiale stampato a sue spese.

Prego, minaccio, tutto inutile: appena si degna darmi un esemplare stampato del poema, in cambio del manoscritto sciupato in tipografia.

Che fare? a chi rivolgermi? Scappo a Milano.

L'antecedente con Barbèra pregiudica il mio negozio. Gli editori, a cui mi rivolgo, si mettono in guardia; chi mi rimanda indietro pulitamente; chi me la vuol far cascare da alto, e m'impone dei patti da strozzino; gli amici, da cui spero raccomandazioni ed appoggi, visto di che si tratta, si tirano da parte; Arnaboldi ha paura di presentarmi a Brigola per raccomandargli un lavoro pericoloso; Maspero dice al Bernardoni che a stampare il mio libro c'è da incappar male; Maffei mi vuol dissuadere dalla pubblicazione del "Lucifero", i cui argomenti, gli han messo i brividi: mi scrive che i padri di famiglia non manderanno più i loro figliuoli alla mia scuola; che un tardo e vano pentimento mi strazierà l'anima; che la mia sposa ed i figli, se n'avrò, malediranno il mio capo. — Mando al diavolo gli amici, e provo a far da me.

Vado su e giù per Milano col mio poema sotto il braccio...

Se tu sapessi quante amarezze, quanti crepacuori!

Trovare difficoltà anche a stampare a mie spese!

C'è da perdere la ragione.

Ero sul punto di partire per la Svizzera, quando mi viene l'ispirazione di presentarmi al Brigola.

Ci vado tre o quattro volte, e non lo trovo; aspetto ore intere, io, con questo mio carattere che tu sai!

Basta; lo vedo finalmente, lo trovo più ragionevole e più coraggioso degli altri; esamina e fa esaminare il poema: Il suo consigliere, un pezzo grosso, gli scrive che nel "Lucifero" ci son molti meriti, di molti pericoli, ma che lo spaccio è sicuro.

E Brigola accetta: domani mi manderà il contratto firmato.

Dovrei esser contento, ma il pensiero di ricominciare la stampa mi mette la febbre: ricominciar la stampa dopo di averla finita!

Dopo quattro mesi che son qui, dopo tante spese e tanti sacrifici!

E fra poco sarò obbligato di tornare a Catania! Ma pazienza!

Viva l'Arte, il mio solo amore, la mia sola divinità!

In nome di lei ti dà una stretta di mano il tuo...


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