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Lettera a Giovanni Alfredo Cesareo (31 marzo 1887)

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Mario Rapisardi

1887 lettere letteratura Lettera a Giovanni Alfredo Cesareo (31 marzo 1887) Intestazione 20 gennaio 2010 75% lettere

Catania, 31 marzo '87


Carissimo Cesareo,

Una bell’opera d’arte fa in me l’effetto del ritorno della primavera: mi dischiude l’anima ai sogni, mi ricrea le passate illusioni, mi ridà i fremiti dell’amore e della giovinezza. Questo han prodotto i tuoi libri, specialmente le Occidentali su l’animo mio, affranto dalla morte dell’unica mia sorella, dall’eccidio di Saati e da questo po’ di colera che è pur stato bastevole a farmi trepidare della vita di questa unicissima e adoratissima vecchia di 70 anni, il cui amore e la mia consolazione più santa. Se altro argomento non avessi per giudicare della bellezza dei tuoi versi, questa impressione farebbe pienamente le veci di un giudizio. Rileggendoli mi è venuta come una mania di abbracciarti, e gli occhi mi si sono empiti di lagrime.

Nessuno di quanti scrivono versi in Italia, credi a me, ti può stare a fronte per la sobria ricchezza del colore, per la freschezza e quasi spontaneità dell’ispirazione, per la varietà delle immagini e il magistero dirò così verecondo del verso, e per quella irresistibile onda melodica su cui tu veleggi sovrano come il cigno descritto da Foscolo. D'Annunzio è splendido, ma vuoto; Marradi affettuoso ma fiacco; del... non parlo, animo d’agrimensore, non di poeta. Ma ciò non deve bastarti. All’arte tua manca ancora qualcosa di essenziale: manca l’ideale tuo, quello ch’è l’anima vera dell’opera d’arte, che la rende originale, che la consacra all’immortalità. Anche l’amore è fonte di alte idealità, lo so bene, ma non come è inteso dagli animi corrotti, ed espresso dal De Musset e dallo Stecchetti. A ogni modo esso ebbe come tale la sua espressione artistica, e ritornarci non vale. Diversità di stile, quanto vuoi, ma il fondo è lo stesso. Se non ti liberi della loro ombra tu non sorgerai mai alla luce della gloria; sarai e in gran parte sei stato, artista squisitissimo, poeta grande, non mai. Per essere capace d’un grande ideale, bisogna prima di tutto un gran carattere. Or la vita che tu meni costà Triné e Gazzette, non mi pare la più acconcia ad alimentare ed educare le qualità necessarie ad un carattere elevato. Credi, codesta famosa vita della capitale, in cui soltanto i piccoli si credono nell’elemento lor proprio, e in cui si lusingano esser diventati grandi, scambiando il dispregio che acquistano per ciò ch’è nobile e sano con quel sentimento di severa commiserazione che nasce dalla meditazione, e dagli studi, codesta gran vita, dicevo, è la peste degli animi gentili, il sepolcro dell’arte, la morte dell’ideale.

Per appassionarsi a ciò ch’è sublime, è necessario amar gli uomini, e gli uomini, lo sai bene, non si possono amare che da lontano: vivendo tra loro si diventa misantropi e cinici. Attingi ispirazioni alla società, un fuggi e mellifica altrove; studia le molteplici manifestazioni della vita nella vita stessa, ma scevrati dal volgo ad elaborare le impressioni nella solitudine.

Accogli di buon animo questi avvertimenti, scrivimi qualche volta, e non cessare di voler bene il tuo RAPISARDI.