Lettere (Andreini)/Lettera CXXXVIII

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CXXXVIII. Del medesimo.

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Del medesimo.


I
L nome della Morte (crudelissima giovane) più non mi sembra orribile, e non ha più forza di spaventarmi, perche ’l minimo di quei dolori, che per voi m’han fatto così languido è molto maggiore, e molto peggiore dell’istessa Morte. Questi occhi miei per voi versano tante lagrime, e tanto mi veggo molle di pianto il viso, e ’l seno, ch’io stò d’hora in hora attendendo, che l’infelice cuor mio si distilli per gli occhi. Consigliato da gli amici, lasciai la Città, e me ne venni in Villa, sperando per quello, ch’essi m’havean detto, che questi colli, questi alberi, queste fonti, questi boschetti, questi fiumi, questi uccelli, e ’n somma tutte queste delitie esser mi dovessero d’alleviamento al male: ma m’è avvenuto tutto al contrario. Altri s’allegra vedendo rider i prati,

[p. 141r modifica]sentendo mormorar i rivi, e dolcemente garrir gli uccelli, & io misero ciò vedendo, e sentendo raddoppio lamenti, & i pianti. Ahi che la Musica selvaggia del Rossignuolo, non è sufficiente à discacciar la cura domestica de’ miei martiri; e s’io vivo in tanti affanni, credetemi Signora mia, che la speranza sola della mia morte è quella, che mi mantiene in vita, non dico la speranza di rivedervi, poiche voi con la crudeltà vostra, m’imponete perpetuo essilio.