Lettere (Andreini)/Lettera XXVI

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XXVI. Del Medesimo.

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Del Medesimo.


A
MORE mi si mostrò così benigno il primo giorno, ch’io ’l vidi, ch’io stimai le mie pene un dolce riposo. Egli così bello mi fè veder il suo volto, e così dolce mi fè udire la sua favella, che volontariamente me gli donai, giurando, che più i godeva della soggettione, che della libertà. E chi haverebbe potuto esser così diligente custode di se stesso, che non havesse anzi eletto per lui di servire, che per se medesimo di comandare? chi è tanto accorto, e prudente Nocchiero, che non si prometta un viaggio fortunatissimo havendo placido il mare, secondo il vento, e vicino il porto? chi non haverebbe creduto à quella bellezza divina, & à quel ragionar cortese? ma l’empio mutò ben tosto e costume, e sembiante, perche subito ch’egli mi conobbe servo di lui, e prigioniero della bellezza vostra, pose gli innamorati miei spirti in una perpetua guerra, il misero mio cuore in un continuo incendio, e l’anima tormentata in un’eterna passione, talche non hebbi a pena ricevuta nel mio seno la sua dura, & obliqua legge, ch’egli mutò affatto l’imagine prima lusinghiera, e finta, facendomi conoscere quanto sia mal accorto colui, che riceve nel proprio albergo un ch’è di lui maggiore. Egli discacciò dalla mia mente ogni

[p. 23v modifica]pensier di letitia, die bando à miei piaceri, e mise in fuga il riposo, ordinando, che ’n lor vece venissero ad albergar nel mio petto i martiri, i travagli, e le noie, dallequali dopo, ch’io fui preso non mi son sentito lasciar un sol momento, e di ciò ben ne posson far fede i sospiri, e le lagrime, che mai non m’abbandonano, così misero hò perduto quello, che solea piacermi, son divenuto non men solitario che mesto, portando scolorita la guancia, dimessa la fronte, e gli occhi pieni di pianto, così passo l’amor mio d’una lieve speranza, e non hò maggior pensiero, che di starmi avvolto in quelle tenebre (contrario effetto) che lo splendor de’ bei vostri occhi mi manda: ma s’io non mi curo di morir in me stesso per voi, almeno a voi non dispiaccia di tenermi vivo nel bello, che sì m’infiamma, che, se questo ottengo dalla vostra benignità riputerò ben impiegato il servire, gioia il languire, e vita il morire amandovi com’io v’amo.