Lettere (Campanella)/CXVIII. A Cassiano del Pozzo

Da Wikisource.
CXVIII. A Cassiano del Pozzo

../CXVII. A Ferdinando II de' Medici ../CXIX. A Claudio Bullion di Bonelles IncludiIntestazione 1 marzo 2021 75% Da definire

CXVIII. A Cassiano del Pozzo
CXVII. A Ferdinando II de' Medici CXIX. A Claudio Bullion di Bonelles
[p. 390 modifica]

CXVIII

A Cassiano del Pozzo

Mostra in quale precipizio i suoi persecutori hanno spinto lo stato ecclesiastico e come poi trattino lui per aver risposto opportunamente agli eretici e in guisa che da gran tempo nessuno aveva saputo fare.

Illustrissimo signor mio osservandissimo,

Si sono stampati fin ora quattro volumi delle opere del vostro servo: in questa simana si finiscono Rerum metaphysicarum libri XVIII, e vederá che questo libro è la bibia de’ filosofi; vorei mi donasse commoditá di mandarli a Vostra Signoria illustrissima che sempre s’è degnata d’onorar le cose mie. Quel che ho fatto qua contra di eretici ed adesso [p. 391 modifica]per l’onor di Nostro Signore, il signor contestabile e ’l signor conte di Castelvillano e ’l nostro Favilla lo sanno. Non lo scrivo a’ padroni, perché le lettere non intrano a Sua Santitá; e questi padroni ammaliati da’ miei persecutori se rideno e sprezzano tutto quel che essi con li loro instrumenti non pònno fare: presto piangeranno il disprezzo de gli avvisi miei.

Supplico Vostra Signoria illustrissima con ogni instanza si forzi farmi aver le Censure, fatte son due anni contro il mio centone De praedestinatione, poi che il padre generale e ’l Mostro con li regenti spagnoli della Minerva non si curano, per far male a me, metter la chiesa e la fede in bisbiglio e turbulenza. E con tutto che non hanno potuto ottener dal Sant’Officio che li proibisca, il Mostro ne fa represaglia, e mi voi cancellare il nome dal mondo, avendo vietato a monsur Brugiardo [Bouchard] di nominarmi nell’orazione funebre di monsur di Pereche bona memoria; e le sue zannate mostruose ed inette dicerie ogni giorno recano novi scandali alla chiesa romana, e giá li dottori di questo paese ne faranno risentimento.

Lutero vinse il primo punto contra la chiesa, che non devia tener beni temporali; e per questo Carlo V fece il decreto dell’Interim, perché occupando li protestanti le ricchezze del clero germano, lui con bona faccia potesse occupar Roma, come lo fece, e la tenne sette mesi. Ma perché nel secondo punto che Lutero mosse contra la chiesa, restò scornato, parendo a tutti impossibile che l’indulgenze e le opere bone non valessero, né le male, a consequir ben o male, ma sol ad essequire quel che Dio ha destinato ab aeterno, assolutamente senza condizioni se saremo boni o mali, ma per suo gusto di mandar pochi al paradiso ed innumerabili all’inferno; onde ne séquita che nascimur iudicati ex decreto et non iudicandi ex operibus, benché promette a tutti salvare, si osserveran la lege, ed in corde suo dice il contrario, perché non si salveranno se non quelli ch’ha destinato. Il quale dogma fa li principi tiranni, 11 popoli sediziosi e li teologi traditori, come Dio, che con [p. 392 modifica]la speranza de li beni eterni li quali ha risoluto di non darcili, ci priva ancora de li beni temporali. Dunque, essendo questo contra la politica di tutti principi — come Aristotile, Platone, Cicerone, Plutarco, che, si de futuris contingentibus est praedeterminata veritas, perit lex, philosophia, politica, exhortatio, imperium, obedientia etc., — per questo, dico, cessâro li principi di occupare il papato, pensando che la vera fede si conserva in quello: e Carlo V se ne fe’ conscienza, e gli altri principi italiani dissentîro.

Ma ogge che il padre Banes ed il padre Alvarez, maestro del general e del Mostro, hanno scritto che tutto fu predestinato da Dio ante praevisionem meritorum et demeritorum absolute et non conditionate pro electione reprobando oc indiscreta; tutti li pseudoteologi, non che li eretici, con scritti e parole e prediche van insinuando nella mente di principi che difender il papato non è difender la vera fede, sendo la medesima fede quella di papisti e di calvinisti — e come scrive La Miletière chi va persuadendo la scissura del papato, li dominicani tomisti e quelli dell’oratorio son della setta loro e capo n’è san Tomaso; — dunque difender il papato non è altro che inalzar la tirannide del papa sopra i vescovi e principi.

Veda Vostra Signoria illustrissima in quanto precipizio hanno spinto questi miei persecutori lo stato ecclesiastico ed io, perché mostrai san Tomaso esser contrario a questa loro opinione: perché lui piú volte espressamente scrive che Dio non ha predeterminato li futuri contingenti e liberi, né li conosce nel decreto, né anche nelle cause indeterminate e mutabili, ma solo nella coesistenza presenziale delle cose future nell’eternitá, come pure il Capreolo ed altri meco affirmano. E però Dio ha tutti in voluntate antecedente predestinati come padre, tutti fatti all’imagine e similitudine sua e non del diavolo ante praevisionem meritorum et demeritorum; ma post praevisionem, come giudice, ha reprobati solo quelli chi moreno ostinati nel peccato, ed eletto e confirmato quelli chi «satagunt per bona opera certam facere vocationem suam», dice san Pietro. E li fanciulli chi non hanno opere, si salvano per l’opere di [p. 393 modifica]Cristo ad bona supernaturalia qui conformantur Christo per sacramenta in supernaturalibus, et ad bona Dei naturalia illi qui conformantur Christo in naturalibus tantum.

E con questa dottrina ho tirato molti alla chiesa, e mentre gli oltremontani stavano resipiscendo, perché fin ora da cento anni in qua nissun ha saputo risponder con satisfazion a gli eretici. Ed io chi mostro le risposte vere e senza scrupulo in san Tomaso che si pònno predicare in tectis come dice Cristo, e la loro opinione proibita dai papi smascararla, perché non è quella aurea che Cristo vole sia mostrata a tutti, vedete come son trattato. Però supplico Vostra Signoria illustrissima mi faccia avere le censure; e se io non monstrarò che la lor opinion è eretica e la mia catolica, condannarò tutti i miei libri al fuoco. Consideri Vostra Signoria col suo zelo e prudenza quanto importa questo negozio, e mi favorisca secondo Dio l’inspirerá.

Finisco facciendoli umil riverenza, pregando Dio per la sua esaltazione la quale forse è ritenuta dal troppo splendor di suoi meriti.

 Parigi, 27 luglio 1638.

Di V. S. illustrissima
servitore umilissimo e devotissimo
Fra Tomaso Campanella.


All’illustrissimo signor Cassiano del Pozzo,
     cavaliere e filosofo, padrone osservandissimo,
          Roma, appresso l’eminentissimo Barberino.