Lettere (Campanella)/LXXIII. Al cardinale nipote Francesco Barberini

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LXXIII. Al cardinale nipote Francesco Barberini

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LXXIII

Al cardinale nipote Francesco Barberini

Continua a difendere se stesso ed accusare i propri nemici, come il 2 novembre, presso Urbano VIII.

 Eminentissimo e reverendissimo
 signor padrone colendissimo.

«Non agnoscetur in bonis amicus neque abscondetur in malis inimicus»: dice Dio.

Oh quanto ho benedetto la providenza e caritá di Vostra Eminenza la qual mi guidò sicuro. E Dio mi fu propizio che [p. 256 modifica]in dieci giorni arrivai in Francia ed al primo di decembre in Parigi. Prego Vostra Eminenza mi perdoni se alcuna volta venni in pensiero che Vostra Eminenza non amasse il servo suo o non stimasse le cose piú stimabili. Rimanderò la carta quando la vedrá il re cristianissimo, per testimonio che Vostra Eminenza non è contrario a Sua Maestá, come il volgo qualche volta dice; e perché vegga che non fuggo la giustizia e la ragione, ma il torto manifesto.

Sa Vostra Eminenza che da principio, quando io praticavo spesso con Nostro Signore per gusto di virtú, che subito quelli chi pretendeno a cardinalati nella nostra religione, sparsero fama per sé e per gli altri, ed a me lo diceano, che si dicea ch’io con Sua Beatitudine trattassi cose di stato ed astrologie. E l’han detto fin a Bologna ed in Francia, e mi posero in sospetto con li spagnoli che machinassi contra loro. Ed io non pensavo tanto sottilmente che Vostra Eminenza non mi volea parlare, né approbava la mia pratica in palazzo per queste gelosie, che poi han partorito quel male che Vostra Eminenza antivedeva sagacemente. Sa ancora che li spagnoli stimando poi ch’avessi io composto certo dialogo per bene ed avviso di Francia, e quel distico in risposta di un altro nefando fatto contro la maestá cristianissima, ordirò mille stratagemme per accusarmi di lesa maestá e farmi tornare in Napoli, come sempre hanno procurato dopo che in abito mentito fui trasportato in Roma. E quanto in Napoli ha trafficato un fratel del mio persecutore, perché io fossi nominato in cosa che non ci ho pensato mai. E prego Dio che mai non mi perdoni di tal colpa, s’io l’ho fatta o consultata o ne fossi stato consapevole; e che il pentir non mi vaglia. E pur i miei son tribulati senza causa, solo perché si dicesse cosa contra me, onde Vostra Eminenza fosse forzata a darmi in man loro; ma Dio ha parlato nel cor de’ miei padroni, e forse questa persecuzione è vaticinio.

E per quel che devo a Nostro Signore ed a vostra casa eccellentissima, non lascierò d’avvertirla non per vendetta mia, ma perché conviene al principe saper tutto. Sappia che [p. 257 modifica]per ordinario li tre grandi otfiziali della nostra religione aspettan cardinalato in morte d’alcun de’ nostri cardinali; e però quando veggono un che è fuor di questo predicamento esser stimato dal santo pontefice e dai suoi, subito l’ordiscono la caduta. Come ha fatto il padre generale ed il padre Mostro contra me, ma non l’Acquanegra che era piú schietto: e però ne cacciâr fuori per sé e per altri quelle dicerie sopra la pratica mia in palazzo, e perché hanno una massima — mandatali dal mastro loro ch’è morto, ed intercetta da Pietro quondam cardinale Aldobrandino, come mi mostrâro due padri segnalati, un de’ quali è loro amico e spagnolo, l’altro fiorentino e novo vescovo, — che dice: «contra chi può prevenirvi nelle dignitá ed altro, screditatelo, ingannate, tradite, date bone parole e mai non rompete del tutto». Tutte queste cose fecero con me.

Dissero prima ch’io son contrario alle scienze comuni; e nondimeno provai che non dico cosa che non sia di padri santi e di scolastici, come si vede dalle questioni. Poi dissero che io non son tomista; ed io provai che essi non sanno san Tomaso o me, o né l’un né l’altro. E dimandai lezione per leggere san Tomaso ad literam con tutti padri e concili; e per non intrar in obligo di dir bene di me, il padre generale mai non volle farlo, com’è noto in convento e nelle mie proteste, e lo sa il padre Firenzola ed il padre Bartoli, e presto si vedrá in un libro fatto contro pseudothomistas. Poi dissero che non son aristotelico; ed io provai con le nostre costituzioni e con san Tomaso e con tutti i padri, particolarmente Agostino, Giustino, Gregorio nisseno e Clemente alessandrino: che sia errore ereticale intronizzare alcun filosofo nella scuola cristiana; e che d’ognun si deve pigliare quel che dice di buono; e che Aristotile, per testimonio di san Tomaso, di sant’Agostino e di tutti i padri, non è l’ottimo di filosofi; e che se si dovesse intronizzare alcuno, quello sarebbe Platone; e che il concilio laterano e viennese e tanti sinodi parisiensi condannano questi addetti ad Aristotile; e che Melchior Cano, gran tomista, irato dice: «habent Aristotelem pro Christo, [p. 258 modifica]Averroem pro sancto Petro, Alexandrum pro sancto Paulo etc.»; e quanti mali han partorito lo dimostrano tutti i padri. E pur io non contradico ad Aristotele se non dove è contraditto dalla sacra scrittura e dai padri.

Di piú, per screditarmi in palazzo fecero stampare la mia Astrologia, e la presentarono a Nostro Signore quel giorno che Sua Beatitudine mi volea far consultore dal Santo Offizio, e dissero che ci erano in quella eresie e superstizioni; ed io dimandai giudici; e si decise che non ci era errore, come sa Nostro Signore. Poi facendosi il giudizio e trovatosi che il padre Mostro lo donò l’original mio a stampatori, il padre maestro Acarini giudice non volle proseguire, perché mi disse allora che Vostra Eminenza non volle, ed io così ho riferito a Nostro Signore. Veda quanti tradimenti; e finalmente mi calunniano alcune cose dell’Ateismo trionfato. Io non ho consentito alla censura, perché contra la bolla di Nostro Signore ed in favor di manichei, come appar dalla questione, ch’ho dato al signor Cardinal Orige, di questa materia, in favor della bolla Contra astrologos. S’è stampato in Iesi la Monarchia del Messia, passata dal Santo Offizio e dal Mostro, ottima per concordar i principi con santa Chiesa; e ’l padre Mostro impedisce il publicetur, fingendo che dispiaceria a principi. Il che non solo è falso, come dice la stessa approbazione; ma fa che li principi a poco a poco levino tutta l’autoritá al papato, se non si provede com’io feci. Però dimando mi si dia giudice il cardinale di Ricil[ieu] e la Sorbona, quantunque contraria; e ch’il Mostro e ’l padre generale non entrino nelle mie cause.

Si disse che donai proposizioni false contro il libro del Mostro. Presto si vedrá ch’è libro pieno di zannate, gentilismi, giudaismi, maomettismi ed irrisioni de’ santi e della santa sede; e Sua Beatitudine fu gabbata dalli qualificatori, perché non l’hanno visto. E questo trattò l’Acquanegra per onor della religione; ed io mai non ho voluto farli contra, perché m’aveva fatto bene, quando il Mostro mi fe’ le censure false in Santo Offizio, e poi mi fe’ pregar dal cardinale Scaglia che non voglia vederle. [p. 259 modifica]

Quel ch’han machinato con gli astrologi contra la vita di Nostro Signore, e come disse che, morto Nostro Signore, si proibiranno i suoi versi, perché ha posto la sacra scrittura in versi, me l’ha detto il padre Lupi e ’l padre Acquaviva; e stimulâro ch’io lo dicessi con altre cose ch’ho taciuto, perché questa sola apparteneva a me ch’ero il commentatore. Se si muta fortuna, vederá Vostra Eminenza s’io o loro sono li fedeli a casa Barberina.

Io desidero da Vostra Eminenza, e la prego umilmente, che mi continui la lemosina di quindici scudi d’oro al mese qui in Francia come l’aveva in Roma, — il che Vostra Eminenza l’ha concesso anche a Gaspare Scioppio; — e con questa autoritá e credito potrò servirla, e vedrá che li servo etiam senza questo per molti ambasciatori. Secondo, li dimando che mi raccomandi a questi padroni, e faccia determinare il cardinale Antonio mi mandi patenti di potere stare in ogni convento che mi sará utile. Terzo, che non pensi che sciocchezza mia mi fe’ tanto odioso a spagnoli, perché ho scritto per loro la Monarchia di Spagna, il Panegirico ai principi d’Italia, per quella gli Articoli profetali; e l’hanno e si servono di queste in Ispagna. E trattai col conte Monterey, col Castel Rodriguez, con Savedra, con Federigo Moles, col Cardinal Spinola — del cui padre io fui mastro, — con monsignor Massimi e con altri, ché mi dessero qualche poco piazza per assicurarsi che nullo dimandarla da me cosa contra loro, e sempre mi guardai. Ma il male è venuto d’onde io sopra scrissi. Il resto scrissi a Nostro Signore ed al signor contestabile.

Stia sicuro che sempre sarò suo servo fedele. In questa settimana parlerò al re cristianissimo ed al cardinal duca. Non l’avviso le cose, perché ha i nunci; ma quando occorrerá, sarò pronto. A cose di Stato non mi intricarò: leggerò contra eretici se comandano, e cercarò di finir in pace tanti guai. E sempre pregarò Dio per la salute di Nostro Signore e di tutta sua casa, e di Vostra Eminenza in particolare, che mi fe’ venire qua senza turbamento di core. Le fo umilissima riverenza. [p. 260 modifica]

Mi scordai d’avvisar a Vostra Eminenza che le mine del presente secolo e la dissobedienza verso santa Chiesa nasce da questo argomento commune. O Dio è o non ci è. Se non ci è, facciamo a nostro modo, regniamo per forza e per sofismi e per ippocrisia; se ci è, ci ha predestinato o reprobato. Dunque, non ci può piú salvare né dannare né dar piú o minor grado di premio o di pena. Dunque, pur facciamo a nostro modo ut supra: e però li teologi sono sconscenziatissimi; e contra questo argomento io combatto. Si non era io, averiano condennato il Vecchietti al fuoco. Diciotto teologi d’accordo che fosse eresia il negare Cristo mangi l’agnello; ed io animai l’Acquanegra a difesa, ch’era solo temeritá, e molte proposizioni dannano per consenso e con dicto sen[za] conspirazione.

Vostra Eminenza stia in cervello che tutte le nazioni murmurano delli censori senza difesa conveniente etc., e li libri nefandi stanno in piedi. Legga le Litanie di padre Mostro. Facciasi dar le Censure dall’abbate Barlamot. Si studia poco, si parla senza scienza.

 Parigi, 4 dicembre 1634.

Di V. E.
umilissimo, fidelissimo ed obligatissimo servo
Fra Tomaso Campanella.