Lettere (Campanella)/LXXXIX. A monsignor Niccolò Claudio Fabri di Peiresc

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LXXXIX. A monsignor Niccolò Claudio Fabri di Peiresc

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LXXXIX. A monsignor Niccolò Claudio Fabri di Peiresc
LXXXVIII. A Cassiano del Pozzo XC. Al cardinale nipote Francesco Barberini
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LXXXIX

A monsignor Niccolò Claudio Fabri di Peiresc

Rimane assai scontento per quel che verifica all’apertura del baule che nella sua fuga ha lasciato a Roma; dá poi notizia d’una scrittura del Morini, e desidera d’avere dal Gassendi quanto gli cercò per la stampa.

          Illustrissimo e reverendissimo
               signor padrone osservandissimo,

Io son restato assai scontento nell’apertura del baullo, non ci trovando quel che dovea esser per gusto di Vostra Signoria illustrissima, e scrissi a Roma furiosamente, e credo farò effetto; e mandai per un libro di questi stampati. De monarchia Messiae — credo ch’il cavalier Pozzi l’inviará a Vostra Signoria illustrissima — ed altre cose. Mi parve esser bene scornato e burlato delle medaglie, del pecorello e del Telescopio. Di piú, mi doglio infinitamente che vi vennero dentro quei libretti stampati e manoscritti; ché si capitavan in man d’altri che di Vostra Signoria illustrissima, potean esser di gran travaglio, trattandosi di maestá. Sono stupito che quel giovane attenda a queste cose pericolose; e li dissi al zio ch’io l’averei brugiato se non eran suoi. Basta: lasciâro piú cose di mandare per queste sue baie e per libri che qua si trovano. Mandò fin al Guicciardino. Oh bella. Io stimo assai quel giovane e li fo correzione debita.

Vidi la lettera del signor Cassendo al signor Deodato, che molto m’ha consolato, riconoscendo, quel che pria conoscevo in lui, animo di vero filosofo e che piglia le cose come vanno intese. Assai sfacendato e poco prudente, se non maligno, fu chi scrisse il reverso di quel ch’io intendo e parlo. Lodato Dio, che si tratta con chi sa. Credo ch’il signor Deodato averá scritto a Vostra Signoria illustrissima le correzioni ed avvisi [p. 313 modifica]che fa il signor Morini al signor Galilei, conortandolo che si converta alla veritá mediante le ragioni del suo libro, qual Vostra Signoria l’averá visto. Non dico piú. Resto al suo comando, e desidero dal signor Cassendo quel che li cercai per la stampa.

Prego l’Altissimo per la salute di Vostra Signoria illustrissima, e mi rallegro che passa ben del dolore che me anche sei volte fin ora travagliò in vita mia: supportiamo quel che l’Autor della natura ci ha dato.

 Parigi, 2 luglio 1635.

Di V. S. illustrissima e reverendissima
servitore divotissimo ed obligatissimo
Tomaso Campanella.


All’illustrissimo e reverendissimo signor
     l’abbate Fabri, monsieur de Peresc,
          padron colendissimo,
 in Aix.