Lettere (Filippo Sassetti)/Lettera II

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Lettera II

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II.

Al medesimo


Sono stato molte settimane senza rispondere alla Lettera di VS. aspettando di averle mandato la pietra Bazar, che ella mi domandò, la quale mi dolse, che si avesse a adoperare in soggetto così propinquo, e si facesse in tempo, che ella non servisse a cosa veruna. Qui è questo rimedio infinitamente celebrato, e sebbene io ho da’ Medici, e da altri cercato di sapere qualche storia particolare degli effetti suoi, comecché molti se ne raccontino importantissimi, ho riscontrato questo. L’ anno 69 fu quì la Peste molto di questa maggiore. Un gioielliere Fiammingo, i quali sono i primi, e gli ultimi a impacciarsi con essa, aveva più figliuoli, due de’ quali in un medesimo tempo furono feriti di questo male, e come pochi argomenti ci aveano per la salute in mano de’ medici, egli ricorse di subito alla pietra Bazar, e dettene per ciascuno sei grani è il doppio di quello, che si dà ordinariamente; posegli nel letto, e coprigli, e in termine di otto ore, trovò, che dal mezzo in basso l’uno e l’altro di que’ fanciulli era divenuto nero come carbone, e le parti vitali erano rimaste libere, e senza veruno affanno, e nel giorno seguente rimasero liberi del tutto, come se male non avessero avuto mai. Per ordinario si vede, che ella muove grandemente col sudore, col vomito, e per di sotto. I Medici di costà, se mal non mi ricorda, si conducono di mala voglia a dare licenza, che ella si adoperi, siccome e’ sanno d’infiniti altri rimedj; credomi, che per essere cosa caldissima, paja loro cosa al contrario a darla in malattie, dove sono febbri ardentissime, come interviene in tutte queste malattie pestilenziali, le quali procedoo da veleno, contro al quale sono principalmente queste pietre, sicchè levata via la la prima cagione, viene a cessare la febbre, la quale in questa infermità viene ad essere accidentale, come quelle, che sopravvengono nelle ferite, e in certi altri mali. Ma per tornare alla pietra Bazar, in Castiglia ne tengono grandissimo conto, per rimedio al tabardillo1, che sono le nostre petecchie, delle quali ultimamente ammalò il Re2 con pericolo grandissimo della vita, e nel tirarle fuori adoperarono questa pietra, e per ultimo rimedio la composizione dell’Iacinto, la qual pietra è reputata quà unica non solo alle petecchie, ma ancora alla peste, di autorità di Galeno, e degli Arabi, e poi d’Alberto, e d’altri. Io vo’ pensando, e non posso ritrovare, come questo avvenga, perchè la peste è la medesima corruzione, e questa è mancamento del calore innato nell’umidità, e le pietre, se mal non mi ricorda, son fredde, e secche di complessione, donde non può procedere restaurazione di calore. Messer Neri una volta mi farà favore di dirmene qualcosa. Ma per tornare alla pietra Bazar, e’ l’adoperano quà non solo pigliandola per bocca tre in quattro grani, o cinque il più con acqua rosa, ma mettono la polvere nelle posteme velenose, quando elle sono aperte. Leganle in oro, e portanle al collo, come cosa, alla quale danno più virtù, che alla brettonica3, come di rallegrare, e cacciar via la malinconìa, guardare da’ veleni, e molte altre cose, nelle quali mi riferisco a quello, che ne dice un libretto in lingua Castigliana, che portò costà Messer Giovanni Buondelmonti. VS. me ne domandò una, la quale, io comperai, avendola trovata a modo mio; pesò dramme sei, e un quarto, e costò ducati sette la dramma, la quale sarà buona a legare in un cerchietto d’oro e conservare, portandola al collo, o pure tenendola in luogo riposto. E per usare a i bisogni, ne ho comperata una, che la metà è per VS. che costa reali ventisette, e mezzo la dramma, talchè in tutto mi dee VS. ducati cinquantatre, e tre quarti, i quali a comodo suo pagherà costì a Messer Bernardo Davanzati in tanti ducati di lire sette di piccioli, al qual Messer Bernardo mando l’altra metà della piccola, ed altra grossa, sebbene meno di quella di VS. e tutto è in uno scatolino, che le piccine le dividerete col peso, le grandi sono differenti, perchè quella di VS. è marezzata, e tira più al tondo, e quella di Messer Bernardo è più lunga, ed un poco gobba, sfogliata da una parte, e di un color tanè4 chiaro, semplice, e pesa meno. Ho compero ancora per VS. li quattro bufi, o chiocciole di madreperla, che costano ducati cinque, e un quinto, che similmente gli pagherà a Messer Bernardo, e tutto questo ho mandato a Pisa a Messer Michele Saladini, perchè gliele mandi, quando gli abbia ricevuti dalla nave, dove si sono carichi, che è una Urca5detta Nostra Signora della Speranza, sopra la quale passa la Corte del Sig. Don Pietro. Holle mandato di più un rinvolto, dove è dentro un vasetto di porcellana de’ migliori, quanto a disegno, che io abbia veduto, dove venne d’India certo museo, il quale ho ripieno di noci moscade in conserva, cosa singolare per lo stomaco, e in che si può far notomia di quel frutto, essendo col mallo, col Macis6, e con tutto quello apparecchio, con cui la natura lo produce. De’ pappagalli, che vengono di questa medesima Isola, dove fanno le noci, non ne sono venuto quest’anno, ed uno che mi era quì vicino, non ho potuto avere per danari, sicchè VS. mi scuserà per questo. Altro non le mando, perchè nel tempo di provvedere le curiosità io stava nel letto malato di mala sorte; farò altra volta a Dio piacendo. Io ebbi una lunga lettera da Messer Francesco nostro, quale prudentemente si accomoda a tutto quello, a che lo stringerebbe la necessità, sicchè io mi stimo, che tosto si verrà a termine di dargli compagnia. Contro SV. a procurare, che avanti di fermarsi, egli esca un poco fuori, e con comodità di galera, che non vi mancheranno. Non lasci di vedere la Corte di Spagna, e consumivi qualche mese, perchè in questi paesi veramente s’impara a vivere per tutti i conti, e non lasci di venire a veder questo sito, a giudizio di ciascuno, il più bello d’Europa, cavatone Costantinopoli, quasichè la natura negli estremi si sia sforzata di mostrar sua possa. So bene, che questo consiglio non piacerebbe a madonna Gostanza, nè forse ad altri; tuttavia questa Terra vale tanto a formare agli uomini buon giudizio, e ad avvezzarli a trattare le cose con pazienza, e con flemma, come e’ dicono, che io le imprometto, che se io avessi figliuoli, o altre cose care, che negli anni della discrezione io gli mandereri quà di presente a passarci qualche anno. Il non pensare a tornarmene a casa così tosto, e la voglia del rivederlo, forse mi fa pensare più oltre, che io non dovrei; tuttavolta io nel conforto, così per utile suo, come per satisfazione mia. Nuove di quà che darle non ho. Seguita la nostra peste pure lentamente, donde io penserò d’uscire fra pochi giorni per andare a Medina, poi a Seviglia, e tornarmene quì; se niente occorrerà, degno d’essere saputo da VS. glielo avviserò. Intanto ella mi farà grazia di comandarmi, e non guardi, che io sia un poco lento nella esecuzione, come è intervenuto delle pietre Bazar, nelle quali avrò caro aver satisfatto a VS. alla quale di cuore mi offerisco, e raccomando, supplicandola a raccomandarmi a Messer Francesco, al quale scriverò altra volta. Intanto questa, che mando a VS. gòi potrà essere comune.


Di Lisbona alli 10. di Gennaio 1580.

Di V.S. affezionatis. servit.

Filippo Sassetti.


Note

  1. Il tifo esantematico prodotto dai pidocchi. N. d. C.
  2. Filippo II di Spagna. N. d. C.
  3. Nome medioevale della primula. N. d. C..
  4. Dal francese tanner (conciare), colore tra il rosso ed il nero, molto simile al cuoio ed ai prodotti della conciatura. N. d. T.
  5. Bastimento olandese a vela. N. d. C..
  6. Strato che si trova tra il mallo ed il guscio della noce moscata. N. d. C.