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Lettere (Filippo Sassetti)/Lettera XVIII

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Lettera XVIII

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XVIII.

Al Medesimo.


Molto Magnifico Sig. Francesco mio. osservandiss.


Trovomi la gratissima vostra de’ 18. del passato, e mi piace sentire, che voi andiate acquistando, e dando testimonianza al mondo della bontà delle vostre schiene, siccome prima si sapeva delle braccia, e delle spalle. Fatemi di queste. Avvertite di grazia, che e’ sia maschio, sicchè se ne possa dare la cura a quel poveretto. Aspettava lettere da codesto certo del Mercantino, e non ne ho ricevute; non so quello, che si sia del suo viaggio, aspettandolo quà con desiderio di sapere centomila coselline, che e’ mi sarebbe andato dicendo: ma io mi dubito, che la pestilenza di San Rocco non gli abbia rotto l’uovo in bocca1; oh come ne farà egli in valigia! Scrivonmene, che egli è divenuto una delle più bizzarre teste, e delle più fondate di cotesta piazza; oh và poi, e di’ tu! chi l’arebbe mai creduto? Non aveva la peste a impedirgli i suoi disegni, perchè a Lisbona e’ sono guariti, e a Seviglia, come il Sole entra in Leone (voi sapete la Canzona) la peste piglia altro partito per questi paesi, dove il Sole penetra fino alla midolle dell’ossa, e ti rasciuga senza poter dire: Vergine Maria aiutatemi; senza che in queste parti la peste non dà se non nel furbo, o negli schiavi; ed essendo il nostro Picchino di tanta buona casta (se però egli è vero, ch’e’ sia di quelli del Cavaliere, e degli altri, che io intendo di parlare senza pregiudizio) non è dubbio nessuno, che ella lo lascerebbe stare. Quando e’ venne quà l’altra volta, il vostro Signor Giovanni lo aiutò di buono, ed avendo dato buon conto di noi, mi stimo, che in ogni altra occasione non lascerà di fare il somigliante, e voi vi ricorderete di favorirlo, e di aiutarlo. Quanto sia pe’ casi miei, non so che mi vi dire con questa; voi sapete, che chi sta al servizio d’altrui dee fare le comandamenta. Aspettava una lettera del mio fratello per vedere, che assegnamento avevamo per vivere costì, e l’ho ricevuta questo giorno, conforme appunto a quello, che io aspettava, immaginandomi sempre male delle cose nostre; sicchè io conchiuggo, che il tornarvi mi verrebbe a sproposito, non vi avendo nè casa, nè tetto, nè tattera, che di vigne, e di campi non ne ragiono, perchè noi ammaleremmo, diceva lo Strozzino; sicchè io non so che mi dire altro, se non quello, ch’e’ diceva quel Cieco del Novellino, ch’e’ farà quel che Dio vorrà; e per lo meno di quì a 100. anni sarò accomodato come io arò da stare; e forse che data un poco di giravolta ancor’io, ci rivedremo, ma non so già, se sì tosto, come voi dite, perchè io ho quì una faccenduola alle mani, nella quale non bisogna aver fretta; poi ho pure a ire fino a Seviglia, e poi fare quello, che parrà a’ miei maestri, sicchè non posso dirvi altro sopra ciò. Mi piace quella fine del viaggio destinato di lunga mano per Sughero, chi l’avrebbe mai creduto? la carità ci arrabbia (diceva quel di Lorenzo) può egli esser, che io non abbia mai saputo niente? Or dategli questo presente da mia parte. Nella annotazioni del Boccaccio sopra quel passo di Dante:

....alma sdegnosa
Benedetta colei, che n’te s’incinse.

fanno que’ Signori lungo discorso, per ritrovare l’origine di quella voce incinta, e vanno argomentando, se ella derivasse dalla pregnezza delle pecore, le quali, sendo pregne si dicevano, latinamente incientes. Ora dite all’Agghiadato2, che questa voce è Castigliana antica, ma non tanto, che ancora oggi la gente migliore non l’intenda. L’autorità ci è in un Libro di begli avvisi, e, come noi diremmo, di bel parlar gentile, chiamato il Conte Lucanor3dove si raccontano diverse similiade, ed in una cotal novelletta dice così: El Conte partisse da sua casa, e dexo a su muzer encinta, y bol viendo hallo a su muzer, la quale dexo encinta avia parido un niňo, che vuol dire: Il Conte partissi, e lasciò la moglie incinta ...

Filippo Sassetti.


Note

  1. L’allocuzione rompere l’uovo in bocca sta per rovinare i piani di qualcuno. N. d. C.
  2. Il Sassetti si riferisce a Filippo Strozzi, detto l’Agghiadato, accademico fiorentino, appartenente all’Accademia degli Alterati, fondata nel 1569. N. d. C.
  3. Raccolta di favole, parabole e novelle satiriche, conosciuta anche con il titolo di Libro de Petronio o Libro degli esempi, scritto probabilmente da Don Juan Manuel (1282 - 1348) in lingua castigliana, tra il 1330 e il 1335. N.d.C.