Lettere (Sarpi)/Vol. I/43

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XLIII. — A Giacomo Gillot

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XLIII. — A Giacomo Gillot
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XLIII. — A Giacomo Gillot.1


Se mi provassi a dire a parole, eccellentissimo signor mio, con che dilettazione ricevessi le sue lettere, nè ci riuscirei appieno, nè sarebbe argomento questo da breve discorso. Perocchè, siccome fra gli amici e da me stimati padroni ho in grandissima reverenza Lei, così tengo per segnalato beneficio che m’abbia stimato degno d’appartenere al novero de’ suoi servi; e mi riesce poi in giocondissima utilità che mi prosegua di tale onoranza e favore, da mettermi a parte de’ suoi studi.

Se mai uomo al mondo ha posto mano ad opera difficile che sia per tornare a gloria di Dio e vantaggio della Chiesa, la S.V. dottissima è quello. Da secoli a noi più vicini, l’Europa ebbe giogo: conseguì libertà la sola Francia; e d’allora in poi, se ci è disdetto il pieno racquisto di essa, almeno dee rompersi il divieto del suo precario possedimento. Non accade ch’Ella si pigli briga dei Gesuiti: ogni dabben uomo e amatore del giusto è forza che [p. 151 modifica]sottostia alle accuse e improperi di essi. Ed è, in fin de’ conti, un perfetto segno d’integrità il riscuoterne l’odio, massime poichè non si può essere dei loro. Già dopo il divulgamento degli atti del sinodo Tridentino, i quali discopersero i misteri di Cerere, fecero ordinanza che s’avesse a dipingere a uso del profondo inferno il sembiante suo ed il mio, audaci cotanto da non adorare l’onnipotenza pontificale. Godo ch’Ella abbia letto il catalogo degli scrittori illustri di essa Compagnia: io l’ho divorato con saporitissimo gusto. E chi, infatti, si terrà dal ridere leggendo che il padre Tommaso Sancio, a forza di minacce, strappò dalla Beata Vergine un miracolo, e poi in un attimo si diè a seguir Cristo? Se a Dio piace, non mancheranno Gesuiti i quali affermino i vescovi non essere arrolati sotto all’insegne di Cristo. Che stonatura trovereste in ciò? Il cielo volesse che quel poeta il quale, sull’esordire del canto, propone a tutti loro il viaggio per l’Indie, gli persuada in modo da indurli a fare i fagotti!2 Ma non voglion ire; anzi ci minacciano segnando d’un asterisco i nomi di que’ Collegi e case che occupavano sotto la giurisdizione della Repubblica, e ricordando che non per anco gli hanno recuperati. Ma comecchè abbiano ammaliato alcuni, col favor del Signore noi sventeremo forse le loro trame.

Ma torno a dire della vostra eccellentissima persona. Lòdovi, che vi dilunghiate a un’ora dalla superstizione e dall’empietà. Io ho più in uggia la superstizione. L’empio a sè stesso nuoce; dissemina [p. 152 modifica]le sue massime, ma non briga; e anco, per ogn’industria vi ci adoprasse, fallisce al disegno. Conciossiachè di mezzo alle abitudini umane appaia una mostruosità, e pochi sieno depravati siffattamente, da portare l’empiezza come un vestimento. Ma la superstizione ha virtù di contagio; e chi ne va infetto, pone ogni studio a far che tutti somiglino a lui. Avvocando voi la potestà dei principi, non solo i costoro regni difendete, ma rivendicate eziandio a Cristo i suoi dritti; dove che sarebbe giocoforza che rovinassero i celesti ordinamenti che esso impiantò sulla terra, quando si trasformassero in faccende meramente politiche e di mondo. Mentre siete tutto in quest’opera, non che affaticarvi per le libertà pubbliche, ma illustrate pure la gloria di Cristo.3 A chi patrocina le ragioni degl’imperanti avrann’obbligo, per avventura, alcuni in cotesto regno. I nostri non lamentano altro che il non essere schiavi abbastanza; e chi gli difende trova in essi i più baldanzosi nemici. E non è a maravigliarne, dacchè sotto nome di pensioni essi carpisconsi i frutti del non proprio sacerdozio, e sono come i curatori che dell’altrui sangue fanno bottega. Gran lume forniranno in proposito l’epistole dei re e de’ vescovi, le prammatiche sanzioni, e i decreti del Senato ch’Ella ha raccolti; e a cui verrà accrescimento pei trattati degli uomini illustri, che scrissero sopra i dritti e le libertà della chiesa gallicana. De’ quali lavori sì vivomi in [p. 153 modifica]desiderio, che ogni ora d’indugio mi pare un secolo; ma ben Ella saprà compensare la dilazione con la grandezza dell’opera e l’importanza degli argomenti. Ma una cosa sola (se m’è concesso esprimere un desiderio) vorrei ci fosse aggiunta: cioè le formole e la condotta pratica, più presto esuberante che piena, usata una volta o tuttora in Francia dalla S.V., laonde con appellazioni e simiglianti rimedi Ella ributta la tirannide e gli abusi che a poco a poco s’insinuano.

Piacemi che il cardinal di Perrone siasi ritirato nella diocesi di Sens,4 per causa di quel lavoro che matura già da un decennio. Mi lusingo però che non anderà Italia sì a lungo privata della sua presenza, che Roma non l’abbia a rivedere anche prima che venga a luce quell’opera. Oh se dall’età e dagli altri impacci mi fosse concesso di fare una scappata costì, con che bramosia gusterei cotesta libertà e tanta candidezza d’animo! Ma neppure in effigie potrò venirci; chè farei danno alle stesse immagini di cotesti dotti, le quali per tal compagnia sarebbero investite dal fulmine romanesco. Che se mi si fa licenza ad una scelta, nulla bramo di meglio che riuscire a Lei ed agli altri non disutile servitore. Intanto la S.V. abbia, ne la prego, in conto la mia osservanza e il buon volere.

Venezia, 3 decembre 1608.




Note

  1. Edita in latino, tra le Opere del Sarpi ec., tom. VI, pag. 3.
  2. Un moderno, lodando i Gesuiti, li confortava a dedicarsi interamente all’opera delle Missioni; il che vuol dire, in altri termini, a render libera l’Europa dalla loro presenza.
  3. L’elogio si riflette meritamente sul medesimo Sarpi. I cortesi detrattori lo dicono adulatore dei principi; quasi che la civile e spirituale autorità non provengano egualmente da Dio, e non sia opera religiosa il tracciarne i respettivi confini.
  4. Giacomo Davy du Perron era nato calvinista, e si convertì e prese la carriera ecclesiastica, della quale giunse ai più alti gradi, sedendo Clemente VIII, nel 1604. Egli fu quello che nell’opera di Duplessis Mornay sull’Eucaristia, avendo scoperto (come dicono) più di cinquecento errori, tenne con lui su tal proposito una conferenza molto famosa in Fontainebleau, nella quale i cattolici vantano che giungesse a confondere e mortificare il suo antagonista.