Lettere (Sarpi)/Vol. II/254

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CCLIV. — Al medesimo

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CCLIV. — Al medesimo
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CCLIV. — A Giacomo Gillot.1


Con grande afflizione ho letto il testamento del signor de Thou, risvegliandomi ciò la memoria della perdita di tant’uomo; ma mi sono consolato nella ricordanza delle sue virtù. Ho notato qual pietà e fiducia già sorreggessero lui vivo. Esso ci sta dinanzi come un esempio da imitare. Ma la V.S. deve oggimai deporre ogni tristezza. Questa io interpreto che sia pure la volontà dell’estinto: ricordarlo con allegrezza e mandare ad effetto i suoi propositi.

Circa al mio commentario (come in ogni altra cosa), io non le posso negar nulla affatto. Sa ch’io ho questo fare: non profferir mai con una lingua stessa fuorchè le stesse parole. Quello che a Lei non potessi affidare, neanco alla stessa mia fede commetterei (così proteggami Iddio, come son certo di non usare iperboli): laonde rimettomi nelle sue mani, con la stessa fidanza nella S.V. che in me medesimo. Scrivo per lo stesso corriere al signor Gussoni, legato, perchè le consegni tutta quella scrittura,2 e stia a’ suoi ordini nel ripigliarla. Ella potrà levarne quel che le piace, e giovarsi anche di tutte [p. 435 modifica]le cose, cangiando solo il carattere dello scritto. Creda la S.V., che nulla mi può comandare, ch’io non mi renda sollecito di eseguire con sommo piacere e gradimento. Ma di ciò basti; che lo aggiunger parole farebbe segno che io credessi parlare con un estraneo, e non con un altro me stesso.

Quel ch’Ella scrive del P. Coton m’ha recato stupore; e credo che la cosa non passi senza un gran mistero. Prego la S.V. a guardarsi dalle insidie, e a giustificazione del mio timore le metterò innanzi un breve racconto. Ho conosciuto a lungo in Padova e Venezia Giacomo Badoer, addetto fino alla superstizione alla religione riformata: tornatosi in Francia si fece dei nostri. Come si fu ricondotto in Italia, gli domandai per quali ragioni si fosse staccato dal culto nel quale era nato ed allevato. Mi rispose che il P. Coton, che avea percorso la città di Meloun o d’Abdera, con validissimi argomenti gli fe disimparare ed estirpò dall’animo ogni religione e poi gl’infuse nel vacuo petto la più salutare. E che non può temersi da un uomo che non teme alcuna divinità? La ventura del Concino3 e della sua [p. 436 modifica]vedova mostrano il giuoco delle umane vicende, che muove i buoni a star lontani dai moltiformi intrighi cortigianeschi.

Desidero vivamente ch’Ella saluti a mio nome il signor Pietro Puteano,4 il quale conosciuto di fresco, tengo assai in pregio, per essergli stato dal signor de Thou commessa la cura della biblioteca e della edizione storica.

Del resto, prego il Signore che cumuli sempre i suoi favori sulla egregia S.V., e mi abiliti ad esserle buon servitore. E le bacio le mani.

Venezia, 4 luglio 1617.




Note

  1. Edita come sopra, pag. 25.
  2. È chiaro, al parer nostro, come qui si parli dell’estratto dalle memorie concernenti la vita stessa del Sarpi, che già erasi lasciato fare in lingua inglese, e così spedito al Gussoni per dover essere consegnato al De Thou; il quale poi morto, sembra che il Gillot ne facesse domanda per sè medesimo. Rivedasi, in ispecie, la sopracitata Lettera CCXIX.
  3. Ucciso, mentre voleva difendersi, per non esser fatto prigione, come il giovane re aveva comandato. La sua vedova fu processata, com’è notissimo, per maliarda e come tale fatta morire. Vergogne di Francia prima, vergogne poi; nè certo onore d’Italia l’aver potuto arricchirla di que’ due ambiziosi, mal destri insieme e malvagi. Molti novelli particolari intorno a quei fatti e ai viluppi inestricabili della corte parigina in quei giorni, verranno a sapersi per la pubblicazione, che sappiamo non lontana, delle Lettere del nunzio Guido Bentivoglio al cardinal Scipione Borghese.
  4. Pietro Dupuy, amico ed anche parente del De Thou, che pubblicò diffatti le sue celebri Istorie tra il 1620 e 1626, e scrisse ancora Memorie ed istruzioni per giustificare l’innocenza di monsignor Francesco Augusto de Thou.