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Lettere (Sarpi)/Vol. II/253

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CCLIII. — A Giacomo Gillot

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CCLIII. — A Giacomo Gillot
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CCLIII. — A Giacomo Gillot.1


Quel piacere ch’io aveva provato leggendo la lettera di V.S., tutto mi fu tolto dalla nuova finale della morte del signor De Thou; il qual personaggio com’ebbi sempre in grandissimo conto per l’eroiche sue virtù, così vivamente mi rammarico che ci sia a un tratto rapito. Sono già due giorni che seppi del triste caso; e non ho ancora potuto levar l’animo da questo pensiero. Ma siccome egli, da vivo, adempì tutte le parti di specchiatissima persona, così, dopo la sua morte, avrà gloria da Dio e fama dagli uomini sempiterna; incorando noi a spendere il resto della vita, più che in vano corrotto, nel rammentare le sue virtù. [p. 431 modifica]

Quello che costì accadde trenta mesi or fanno, rispetto al soldato ch’Espernon cavò a forza, spezzatene le porte, dalle prigioni pubbliche, è a noi ben noto; ma non sappiamo come la faccenda finisse. Io mi pensava (come incontra, quando le leggi tacciono) che il dritto avesse soggiaciuto alla violenza; ora, dalla lettura degli Atti del Senato inviatimi dalla S.V., rilevo che costà giunse la novella della mala ventura, ma non della riparazione al torto, che avvenne, con mio piacere, in quell’istesso tempo. Ammiro la fermezza del Senato nel patrocinare la sua dignità, quando la invocazione delle leggi tornerebbe vana e malsicura.

Niente dico della fortezza e prudenza della S.V.; dalle quali mi prometto assai maggiori imprese. Ma non posso tenermi dal lodare l’egregio temperamento opinativo della S.V., pel quale si soddisfece del pari ed al regio precetto e al decoro del Senato, i quali pareano insieme pugnanti. L’aver trovato in sì corrotta stagione tanti che venissero nei concetti della S.V., non potendo io credere a sì gran purità, lo attribuisco all’ottima estimazione ch’Ella gode. Io non lusingo punto, e il più delle volte, come ora, dico meno di quel che sento; ma confesserò ingenuamente, che, siccome ho reso sempre buon testimonio alla sua virtù e costanza, così tengo che la S.V. imprenderà con sommo accorgimento cose maggiori; massime oggi che è andata in fuga la tirannia e rifulsero i raggi della libertà. E tanto osservo riguardando alle condizioni nostre; perocchè abbiamo bisogno di chi ci vada innanzi ad esempio: quantunque neppure voi altri abbiate ragioni di star troppo contenti circa questo rispetto. [p. 432 modifica]

L’ambasciatore di Toscana che sta a Roma, di cognome Guicciardini,2 tutti i giorni tratta delle cose francesi co’ Gesuiti. Le conferenze vengono rapportate al papa e al cardinale Borgia; e si mette mano ad ogni macchina, non importa se congegnata di molle spirituali, oppur d’oro. Voglia Dio, come spesso, disperdere anc’oggi i malvagi divisamenti!

Ma ritorno agli atti del Senato. Io li ho divorati, per pigliarne soltanto la idea generale, e vi ho scôrto assai cose che mi possono ammaestrare. Io esaminerò partitamente tutte le diverse maniere di pratica che si tengono costà, a me ignote, e che a primo aspetto mi parvero assai degne d’approvazione: sono anche persuaso che, a lettura rinnovata, incontreranno anche più il mio gradimento. Mi congratulo di cuore, perchè cotesto regno abbia ricuperato la libertà e sia uscito salvo da gravissimi rischi;3 e anelo di conoscere il nome del personaggio da cui ripetesi la prima origine di un partito così assennato e giovevole. Poichè, parlando di re, io fo grandissimo conto di lui, dacchè pure ebbe cuore d’udire la verità, non facendo alcuna distinzione tra un giovane e un vecchio. Ora ha mestieri il re dello stesso consigliere, o d’altro, che siccome lo addestrò a far fronte alla violenza, così gl’insegni a cansare le [p. 433 modifica]insidie. Faranno inoltre lor prove, sotto scusa di religione, e le lustre della pietà e l’ipocrisia, peste di questo secolo; dalle quali piaghe nessuno può guardarsi, se non gli venga in aiuto la bontà di Dio.

Incerte sono ancora le condizioni delle cose nostre. Nel territorio di Cividale del Friuli, dopo l’ingresso dei soldati Olandesi, molte fortificazioni furono prese ai nemici;4 talchè può sperarsi che questa state sarà guerra in quel paese. Nel Piemonte gli Spagnoli assediano Vercelli, ma vi è speranza di difenderla.5 Nell’una parte e nell’altra s’ingaggia guerra contro di essi a spese della Repubblica; quantunque non sia meno da stimarsi il valore e l’accorgimento del duca di Savoia e de’ suoi figli, stantechè senza quelli non basterebbe il denaro alla resistenza, come il valore soltanto farebbe difetto. È caduto il boccone dalle fauci agli Spagnoli, dopochè i Francesi hanno racquistata la libertà; quandocchè, se avessero continuato nel dominio sopra la Francia, anche noi alla lunga saremmo rimasti oppressi. Spesso, ed anche al presente, sembrava che dovessero farsi padroni di quel regno; ma improvvisi eventi li fecero andar delusi. Tanto permetta sempre il Signore nella sua clemenza; cui prego che serbi la S.V. lungamente sana, e nell’amore della mia persona; e a me somministri i modi di [p. 434 modifica]palesarmele non disutile servitore. E fo fine, baciandole le mani e augurandole il colmo della prosperità.

Venezia, 6 giugno 1617.




Note

  1. Stampata, in latino, tra le Opere ec., pag. 24.
  2. Chiamavasi Piero, e il Litta notò com’egli, risiedendo in Roma, “fu obbligato a trattare gli affari del Galileo.„
  3. Sono note le oscillazioni della politica francese in quel tempo tra la libertà religiosa e la servitù romanesca, tra il gallicanismo ed il gesuitismo; le quali, come sempre, non da zelo di religione movevano, ma servivano a barcamenarsi tra la fazione cattolica e quella degli Ugonotti, di cui la prima era assai più dell’altra pericolosa alla corona.
  4. Intorno all’andamento e ai progressi di questa guerra si vedano gli storici di Venezia.
  5. La città di Vercelli, bloccata dagli Spaguoli sino dal precedente anno, sosteneva in quei giorni un vero assedio, che dopo una poderosissima difesa dovè terminare colla capitolazione e la resa dei nostri, seguita ai 25 luglio del 1617. Vedi Muratori, anni 1616 e 1617.