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Lettere di Paolina Leopardi a Marianna ed Anna Brighenti/XVII

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XVII. A Marianna Brighenti - A Bologna

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XVI XVIII

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XVII.

A MARIANNA BRIGHENTI

a Bologna

4 aprile (1831)

               Cara mia Marianna!

Ho ricevuto solo ieri la dolente tua dei 22. Già t’immaginerai in quale stato di dolore e di contrarietà io sia da qualche tempo; ora i tuoi lamenti aggiungono vieppiù peso a quello che io ho già nel cuore. [p. 42 modifica]

Ah! noi siamo giunti in tempi assai infelici, eppure non erano punto lieti quelli che li precedevano. Che disgraziato affare, che orribile desolazione, che avvilimento, o Marianna mia! Non sono molte (qui) le anime che pensano come noi, e che piangono la schiavitù, e forse la morte di tante nobili persone che vi sono sacrificate, ma certo sono molto intensi i loro dolori. Ed anche noi abbiamo dei parenti, il cui destino ci fa tremare. Ma per te e per i tuoi io non avrei voluto tremare, oh! non lo avrei voluto ad ogni costo! Quanto mai mi dispera quella nomina di Prefetto (che io già m’immaginava, e che mi attendeva di sentire ad ogni momento) e quella tua lettera! ah! io non ho pace sin che io non saprò che voi, o care anime, siete tranquille, e che siete a Ravenna. Alcune parole tue sono veramente disperanti, ei per carità non mi fare aspettare neppure un giorno una tua riga con la quale tu mi dica come vanno i tuoi affari. Io considero la tua famiglia come parte della mia propria; figurati in quale ansietà io sono. Ma spero che le cose si verranno calmando; tu scrivesti il giorno dopo il primo ingresso dei Tedeschi, e ti compatisco assai. Noi abbiamo fremuto alla nuova dell’arresto di C. Z. — pur troppo tutto sarà finito per lui! In Ancona i Tedeschi sono molto esacerbati ed odiati. Da noi vennero il Giovedì Santo, e siamo stati trattati assez bien.

Mio fratello è stato sempre tranquillo in Toscana; egli voleva andar a Parma, ma non ha potuto per l’incertezza del tempo. Brighenti deve sapere qualche cosa che lo riguarda, poichê. [p. 43 modifica]egli deve avere avuto una certa lettera del Comitato del mio paese, se le poste sono state fedeli; ma nè tuo padre, nè mio fratello hanno risposto mai, ed io non posso dire di più per paura, e poi ora tutto è finito. Ti ringrazio, o cara, della stampa che mi mandasti; essa mi fece bene, poichè mi facevano acido assai le lodi della brutta moglie dell’Ebreo. Com’è che non va più a Palermo? Noi siamo così storditi dal turbine, che mi pare impossibile di poter riflettere a nulla, di poter far nulla, altro che pleurer.

L’amico di mio fratello[1], il professore di Parma[2], T.[3] si sono compromessi? che fanno? Io sempre tremo di sentir nuove sciagure. Care anime mie, io vi abbraccio, e vi bacio tutte con la più viva tenerezza; ditemi che voi siete tranquille, e quello sarà il più bel momento che io abbia passato da molti giorni in qua. Saluto caramente i tuoi genitori, ed auguro ad essi e a voi, care giovani, quella tranquillità d’animo e di corpo che rende meno orribile questa infelice vita. Ricordati che sarai sempre amata come meriti dalla tua Paolina, e ricordati che l’amore di una persona si cara e virtuosa come sei, è l’unica sua consolazione.



  1. Giordani.
  2. Il Prof. Pietro Pellegrini.
  3. Giacomo Tommasini.