Levia Gravia/Libro II/In morte di G.B. Niccolini

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Libro II - Per la proclamazione del regno d'Italia Libro II - Nei primi giorni del MDCCCLXI
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XVII.

IN MORTE DI G.B. NICCOLINI


Fra terra e ciel su l’Aventin famoso
Secreto un tempio de’ mortali al guardo
D’altro e purpureo lume adorno splende:
Lí non caliga il fumo sanguinoso
5Di Vatican, cede il clamor bugiardo
Al silenzio che tutto il luogo prende:
Però ch’eterno il tuo foco s’accende
Ivi, italica Vesta, e l’aura e il seme
De gli spiriti magni, e le faville
10Onde a le nostre ville
Inesausta d’onor la vampa freme
E petti incende a mille
E i civili dettati illustra e i carmi
E folgora i tiranni e move l’armi.

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15Qui lo spirto erse il vol: qui festeggiando
Lo circonfuse di piú fiamme un lume
Che avean di roteanti astri sembianza,
E cinselo e girossi; e armonizzando
Alta e soave oltre l’uman costume
20Voce sonò da la beata danza.
— Al loco onde si parte ogni possanza
Che l’italica vita informa e inizia
Tornasti, o vate, e a l’immortal dimora.
Vedi! Chi pria s’infiora
25In questa luce, di martir primizia
Surse ne l’ultim’ora
Di Roma, e a lei seren l’alma e la fede
E a le gotiche verghe il corpo diede.

Boezio egli è, di cui fu culto il nome
30D’inni e votivo grido in su ’l Ticino
Mentre Italia premea scitico verno.
Ecco di fregio consolar le chiome
Cinto chi volle il bel nome latino
Trarre al teutono impero e al duro scherno,
35Ecco Crescenzio! E al Campidoglio eterno
Su’ vestigi di gloria anche splendenti
Roma drizzai pur io: ma, il rogo asceso
Da religion acceso,
Lasciai di libertade in fra le genti
40L’ alto desir conteso:
Però ch’ io che d’ amor piú in te mi scaldo,
O spirito fraterno, io sono Arnaldo. —

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Folgoraron d’un riso, e in un amplesso
D’ardor congiunte le due luci dive
45Disser parole sol da loro intese:
Di lor gaudio parea godere anch’esso
L’alto concilio, e ’n ruote piú giulive
La benedetta danza si riaccese.
Fiammeggiò nuovo spirito, e riprese:
50— Io ’l bel desire e la tua fede questi
Raccolse, ed, ahi, de’ re chercuti l’ira.
Ma inneggiando a la pira
La fe’ sorvola; e a’ popoli ridesti,
Rotto l’avello, spira
55Da l’ossa nostre l’immortal parola.
Io fui ’l tribuno, ed ei Savonarola.

Maggior de’ tempi e de l’obliquo fato,
Degno a cui il cielo altra piú vasta lode
Che seguir morte e l’alta idea donasse,
60Questo è ’l fulgore del lucchese Arato
Ultimo che a le vostre occidue prode
La fuggitiva libertà raggiasse.
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