Lirica (Ariosto)/Appendice seconda - Liriche apocrife/Canzoni/III. - Nessun pastore fu mai piú felice...

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III. - Nessun pastore fu mai piú felice...

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III. - Nessun pastore fu mai piú felice...
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III

Nessun pastore fu mai piú felice di lui che si culla dolcemente
nell’amore della sua Ginevra.

     Quando ’l dì parte e l’ombra il mondo copre
e gli uomini e le fere,
per l’alte selve e tra le chiuse mura,
le loro asprezze piú crudeli e fere
5scordan, vinti dal sonno, e le lor opre;
quando la notte è piú queta e secura;
allor l’accorta e bella
mia vaga pastorella
alla gelosa sua madre sì fura,
10e dietro alti orti di Mopso soletta
a piè d’un lauro corcasi, e m’aspetta.

     Ed io, che tant’a me stesso son caro
quando a lei son vicino,
la rimiro ed in braccio le soggiorno,
15non prima da l’ovil torce il camino

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l’iniqua mia matrigna e’ l padre avaro,
che annoverati due fiate il gregge al giorno,
questa i capretti e quegli
i mansueti agnelli,
20quand’io di mandra i’ levo, e quando ’i torno,
che giunto son a lei veloce e lieve,
ov’ella in grembo lieta mi riceve.

     Quivi allor, io, d’ogni altra cura sciolto,
l’un braccio al col le cingo,
25sí che la man le scherza in seno ascosa;
con l’altra il suo bel fianco palpo e stringo,
e lei che alzando dolcemente il volto
su la mia destra spalla il capo posa,
e ’n le braccia mi chiude
30sovra ’l cubito ignude,
bacio ne li occhi e ’n la bocca amorosa,
e con parole poi ch’Amor m’inspira,
cosí le dico; ella m’ascolta e mira:

     — Ginevra mia, dolce mio ben, che sola,
35ov’io sia, in poggio o’ n riva,
mi stai nel cor; oggi è la quarta estate,
poi che, ballando al crotalo e alla piva,
vincesti il speglio alle nozze d’Iola,
di che l’Alba ne pianse giá piú fiate:
40tu fanciulletta allora
eri, ed io tal ch’ancora
quasi non sapea gir alla cittate;
possa morir or qui, se a me non sei
cara vie piú che l’alma e gli occhi miei. —

     45Cosí dico io. Ella poi tutta lieta
risponde sospirando:
— Deh non t’incresca amar, Selvaggio mio,
che, poi ch’in cetra e sampogna cantando
vincesti il capro al natal di Dameta,
50onde Montan di duol quasi morio,
tosto n’andrá ’l quart’anno,
s’al contar non m’inganno,

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pensa qual eri tu, qual era anch’io;
tanto caro mi sei, che men gradita
55m’è di te l’alma e la mia propria vita. —

     Amor, poiché si tace la mia donna,
quivi senz’arco e strali
sceso per confermar il dolce affetto,
le corre e salta intorno aprendo l’ali.
60Vago or riluce in la candida gonna,
or tra i bei crini, or sovra ’l bianco petto,
e d’un piacer gentile,
cui presso ogn’altro è vile,
n’empie scherzando ignudo e pargoletto;
65indi tacito meco insieme ascolta
lei, c’ha la lingua in tai note giá sciolta:

     — Tirsi ed Elpin, pastori audaci e forti,
e d’etá giovinetti,
ambi leggiadri e belli senza menda,
70Tirsi d’armenti, Elpin d’agni e capretti,
pastor, co’ capei biondi ambi e ritorti
ed ambi pronti a cantar a vicenda,
sprezzan ogni fatica
per farmi a loro amica;
75ma nulla sia che del tuo amor m’incenda;
ch’io, Selvaggio, per te curarei poco
non Tirsi o Elpino, ma Narciso e Croco. —

     — E me — rispond’io — Nisa ancor ritrova,
ed Alba, e l’una e l’altra
80mi chiede e prega che di sé mi caglia;
giovenette ambe, ognuna bella e scaltra,
e non mai stanche di ballar a prova:
Nisa, sanguigna di color, aguaglia
le rose e i fior vermigli;
85Alba, i ligustri gigli,
ma altra arme non fia mai con che m’assaglia
Amor, né altri legami al cor mi stringa,
se ben tornasse ancor Dafne e Siringa. —

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Di novo Amor scherzando, come pria,
90d’alto diletto immenso
n’empie e conferma il dolce affetto ardente.
Cosi le notti mie, lieto, dispenso,
e pria ch’io faccia da la donna mia
partita, veggio al balcon d’oriente
95da l’antico suo amante
l’Aurora vigilante,
e gli augelletti odo soavemente
lei salutar ch’ai mondo riconduce
nel suo bel grembo la novella luce.

100Canzon, crescendo con questo Ginebro,
mostrarai che non ebbe unqua pastore
di me piú lieto e piú felice, Amore.