Memorie del presbiterio/III

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III.


Curvo sul bacino da cui esalava un acre odor di sapone, prova che quella sera le comari avevano fatto il bucato, egli teneva le braccia, nude fino alle spalle, nell’acqua biancastra, e pareva assorto in qualche occupazione di grave momento, giacchè non si accorgeva o non curavasi del largo zampillo che, cadendo dall’alto, gli spruzzava copiosamente la testa.

Stavo per rivolgergli la parola, quando si sollevò, e, traendo dalla fogna un cencio infilzato a un bastoncino, esclamò, con quel timbro di voce proprio dei lavoratori della montagna:

— Una calza! e poi si lagnano della povertà, e poi pretendono trovar l’acqua pulita alla mattina! Come si fa, se lasciano otturarsi il pertugio... persino dalle calze! O che gente!

— Brav’uomo, gli dissi io, sapreste indicarmi l’osteria?

Si volse e la prima cosa che osservò fu — indovinate che cosa? — il mio bastone.

— Oh! che magnifico corno! ma questo era il papà di tutti i camosci!

E senza complimenti, me lo prese dalle mani, a si diè a contemplare l’alpestre ornamento del mio [p. 7 modifica]muto compagno di viaggio colla compiacenza con cui una forosetta avrebbe vagheggiato un monile.

— Non ve ne sono mica sulle nostre cime di camosci così grossi; è forastiero, vossignoria, non è vero?

— Sì, siamo d’altri paesi tant’io che il corno. Veniamo da lontano, epperò abbiamo bisogno di mangiare e di dormire; se dunque voleste aver la bontà di indicarci....

— D’osteria propriamente non ce n’è: ma c’è di meglio.

— Che?

— C’è il curato!

— Ma che c’entra il curato coll’osteria?

— Se c’entra! La mi dica, sarebbe cosa decente che, per mancanza della locanda, non si potesse alloggiare un cane in paese?

— È giusto. Ed è il vostro curato che ha messo insegna?

— Oh! insegna, no; un prete, le pare? E poi che importa l’insegna; quelli che girano il mondo non le mangiano mica le insegne delle osterie, nè vi dormono sopra.

L’importante è che trovino un desco ed un letto; ciò che si trova dal signor curato per l’appunto. E, soggiunse, ammiccando furbamente gli occhi, non si paga niente.

Quest’ultima informazione mi decise. Già mi aveva ripugnato l’idea di dormire sotto il tetto di un prete; quella di dovergli restare debitore di un servigio mi fece cavar dalle tasche la carta geografica e andarvi in traccia di un’altra possibile meta.

Il lettore non si scandalizzi di questa mia istantanea ripugnanza, apparentemente, solo apparentemente, volterriana. [p. 8 modifica]

A quell’età non era, come non fui mai, un cattolico fervente; bensì mi trovavo ancora un cristianello per il quale l’accettar l’ospitalità da un uomo di chiesa, non sarebbe sembrato certamente un derogare ai propri principii religiosi e alla umana dignità. Tanto più con quell’appetito e con quella stanchezza in corpo!

Ahimè! la ricusavo appunto, stavolta, perchè già in due altre occasioni, dacchè mi aggiravo su per quei monti, l’avevo accettata, e con mio inenarrabile danno.

Non vi conterò quanto mi era capitato la prima volta; fu una tragedia che si svolse nelle tenebre di un granaio, fra due lenzuola di colore oscuro e... ciò resterà un eterno mistero.

La seconda volta il mio ospite era stato un prete giovane, dalla faccia color scarlatto, gran bevitore, gran cacciatore e, per conseguenza, gran parlatore. La sua vita domestica e i suoi sproloquii, non rammento se più degni di Casti o di Aretino, erano riusciti a togliermi dall’animo tutto il bene che le aveva fatto, in quindici giorni, la semplice natura.

La possibilità di ricadere nell’afa ammorbata di un sacerdote di simil genere, mi spaventava quasi peggio delle memorie più materiali che serbavo dell’altro.

Chiesi dunque al mio interlocutore, in quanto tempo avrei potuto raggiungere un vicino villaggio, di cui dovetti ripetere più volte il nome ch’ei non conosceva che in dialetto; dialetto spicciativo che faceva un monosillabo di una parola composta di almeno una dozzina di lettere.

— Eh! non meno di tre ore, a camminare spedito; e c’è a due terzi di strada un torrentello che non le consiglio di guadare di notte. [p. 9 modifica]

— Non importa; questo buon bastone cornuto m’ha, come lo vedete, aiutato a guadarne altri, e di molti. La strada è questa?

— Sì, fino alla chiesa che è là, a due minuti dal paese; poi si volge per la strada più stretta, a mancina: quella che scende, costeggiando l’orto del signor curato.

— Vi ringrazio: state sano, voi e tutta la vostra famiglia.

— Vengo anch’io fino alla chiesa; di là le indicherò meglio.

— Benone.

E ci incamminavamo.

Le case erano già chiuse quasi tutte. Avean l’aspetto più povero di quelle vedute nei dintorni; ma in compenso la strada era di una insolita pulitezza. Alti gruppi di quercie si intercalavano bizzarramente qua e là all’abitato, coprendo le tegole di verzura e di ombria; alcune rocche di camino andavano a nascondersi nel frondame; lì, la casa e l’albero non erano vicini, parevano abbracciati.

La luna illuminava quei casti amplessi quasi affettuosamente, ed io vedeva, nell’umida penombra, di così cari motivi di pittura che me ne piangeva proprio il cuore a staccarmene.

— Dite, il mio brav’uomo, oltre il curato, non conoscete nessuno che possa offrirmi, pagando, una materassa? Una materassa mi basta e, quanto al mangiare, sono ancor meno difficile.

— Per carità! Nessuno, nessunissimo; tutta povera gente che a voltarli colle gambe in aria non cade in terra la croce di un quattrino. I più agiati, in questa stagione, sono all’alpe: si dorme nelle stalle o a ciel sereno... s’immagini. [p. 10 modifica]

— E fra due ore, troverò alloggio all’osteria di...

— Ne può esser certo: la Gertrude, la locandiera, una diavolaccia che ha cinque figlioli sulle spalle, apre ai forestieri di notte: scenderebbe per servirla, anche se si trovasse in punto di morte.

— Ditemi un po’ che facevate intorno alla fontana?

— Le dirò: non posso andar a casa se prima non mi sono assicurato che nulla impedisce il corso dell’acqua. Per esempio, veda, stanotte la voleva esser bella, se non c’era io a liberare da questa calza il pertugio. L’acqua inondava la strada, e domattina per le giovenche, restava nel bacino quella del bucato.

— Siete dunque impiegato municipale?

Spalancò gli occhi, come se gli avessi parlato chinese, poi rispose:

— Io sono il campanaro. È per questo che non posso andar a casa senza aver visitata la fontana.

Lo strano ravvicinamento del lavatoio col campanile era fatto per destare la mia curiosità. Ma l’altro non mi fece sospirare, e continuò:

— Il signor curato non dimentica mai, quando passo nella sua stanza per metter la spranga alla porta, dopo il rosario, di domandarmi se ci sono stato «Baccio e il pertugio?» oppure soltanto «Baccio?»... Sissignore, va tutto bene. È come un’altra terza parte...

— Il curato copre dunque anche le funzioni di sindaco?

— Il sindaco! Si starebbe freschi se si aspettasse una provvidenza dal sindaco...

Eravamo usciti dal villaggio, e già appariva non lontana la parete bianca del presbiterio, e più in su, dietro la cima di un boschetto, la freccia aguzza e scintillante del campanile. [p. 11 modifica]

La notte era splendida e calma; si sarebbe potuto leggere, al raggio lunare, la più microscopica scrittura di donna; e, tranne il gorgheggio sommesso di un usignuolo, che rompeva l’aria a intervalli, per l’ampia vallata non errava che il suono de’ miei passi e di quelli del campanaro che mi seguiva zoppicando.

L’idea del sindaco pareva averlo messo di cattivo umore; giacchè la sua fisionomia sincera e gioviale erasi alquanto rannuvolata, come sotto la preoccupazione di qualche cosa di triste.

A un tratto, un rumore di passi accelerati giunse dalla parte della chiesa, e apparve davanti a noi una strana figura umana che gesticolava, venendoci incontro in mezzo alla strada.

Quando ci fu a due passi, diede in uno scroscio di pianto, e mettendo le mani sulle spalle della mia guida, non accorgendosi forse nemmeno di me:

— La muore, Baccio, la muore proprio! Oh! la mia povera Gina... la mia povera donna... così giovane... così...

Le lagrime lo soffocavano. Il campanaro era lì come impietrito. Poi disse:

— Ma se la stava meglio! Anche il signor curato cominciava a sperare...

— Sono stato adesso a chiamarlo. Ah! Baccio, Baccio, la muore!...

E proseguì verso il villaggio brancolando.

Era un giovane sui trent’anni, alto e tarchiato. Egli aveva detto quelle parole con accento di così profonda desolazione, che me ne sentivo tutto atterrato. Nulla infatti di più straziante che lo spettacolo del dolore negli organismi sani e robusti.

Ci aveva lasciati appena, che il curato apparì. Sembrava assai vecchio, e accelerava il passo con [p. 12 modifica]visibile stento. Aveva la larga fronte coronata di capelli bianchissimi; illuminati dalla luna, li avresti detti un’aureola. Non so quale solennità traspariva da tutta la sua figura. Alla commozione che già mi dominava, si aggiunse, al suo apparire, una specie di vaga dolcezza.

Mi tirai da un canto, levai il cappello e gli fissai gli occhi nel viso.

Ma nel suo pensiero non esisteva certo, in quel momento, che una immagine; quella della morte con cui stava per trovarsi a colloquio. Egli meditava la parola che le pone sulla fronte il sorriso.

Passò in mezzo a noi, colla testa fissa al villaggio, senza vederci.

— Brav’uomo, dissi al campanaro; ho mutato avviso. Mi fermo qui: dormirò dal vostro curato.

Il viso del sagrestano si illuminò.

— Che buona idea, signor mio, che bel pensiero, esclamò con quella sua voce strozzata che parea voler farsi ad ogni costo gentile per ringraziarmi. E soggiunse, mettendomi le mani ai panni:

— Dia a me la valigia, dia tutto a me; la si metta in libertà; che bella improvvisata per don Luigi! questa sera ne aveva proprio bisogno. Se sapesse, signor mio, come ritorna sbigottito il pover’uomo dalle visite ai moribondi! ne perde l’appetito per una settimana.

— Badate, gli diss’io cedendogli il mio piccolo bagaglio; badate che spenderò la vostra parola; che senza le informazioni che mi avete fornite, non avrei osato certo...

— Ma che dice! vedrà che accoglienza le sarà fatta; e ne avrò anch’io la mia parte, per avervi guidato. [p. 13 modifica]

Tutto il contegno del bravo montanaro rivelava un non so che di tanto sinceramente cortese che arrivati che fummo alla porticina del presbiterio, ogni trepidazione, ogni ripugnanza mi avevano lasciato: mi pareva quasi che quell’uomo e quella casa li avessi conosciuti e frequentati già da gran tempo.