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Memorie di Carlo Goldoni/Parte terza/XXXV

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Carlo Goldoni - Memorie (1787)
Traduzione dal francese di Francesco Costero (1888)
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CAPITOLO XXXV.

Morte di Madama Sofia di Francia. — Disegno di un nuovo giornale. — Avventura d’un Americano e di una donna napoletana.

Eccomi prossimo al compimento delle mie Memorie: tuttavia sostengo coraggiosamente la fatica di un’occupazione che comincia a stancarmi: ma un avvenimento funesto, di cui ora sono per parlare, mi fa sentire maggiormente il disgusto del peso che volontariamente mi sono imposto.

Cessò di vivere nell’anno 1783 madama Sofia di Francia. Qual perdita per la corte! quale afflizione per le virtuose e gentili sue sorelle! Le sue virtù la rendevano rispettabile, e la sua dolcezza inspirava amore e fiducia in ogni cuore. La sua anima benefica soccorreva spontaneamente l’indigenza, e la sua vivacità faceva sforzi inutili per celarsi sotto il velo della pietà e della modestia. Questa principessa è stata compianta da tutti quelli che avevano avuto l’onore di starle vicino. Io pure ne sono stato non meno degli altri colpito, trovando soltanto qualche consolazione in casa della signora Tacher, e della signora marchesa Chabert sua figlia. Tutti però eravamo afflitti per la cagione medesima; perciò la conversazione di codeste dame mi rammemorava la disgustosa perdita fatta, mentre le loro attenzioni alleggerivano un poco il mio dolore. Non è già per la morte soltanto de’ miei protettori, amici, parenti, che io mi sento naturalmente e vivamente commosso; no, io sono facilissimo a intenerirmi; il menomo male, il menomo inconveniente che loro succeda, mi sconcerta, mi colpisce, mi pone in desolazione, [p. 357 modifica] nel tempo stesso che io freddamente riguardo la morte come il tributo della natura, e nella ragione devesi trovare un conforto. D’onde deriva pertanto, che la perdita della mia augusta scolara mi affligge ancor oggi, come nel primo giorno? Nell’omaggio di giustizia che io rendo al merito di lei, potrebb’egli mai nascere il sospetto d’amor proprio o di vanità? Deh! amici miei, fatemi grazia di credere, che ciò nasca piuttosto da un sincero sentimento di riconoscenza.

Sfogliando i miei ricordi, trovo il disegno di un giornale, da me ideato. Questo disegno deve parere contradditorio all’avversione da me dimostrata nel capitolo XXXIII, a motivo dell’assiduità che richiede un’opera periodica. Ma si sappia, che io non doveva sostenerne la cura.

Un giovine di nascita francese, abitante nell’America, era stato mandato da’ suoi genitori in questa capitale per farvi i suoi studi; ed era già nei medesimi molto inoltrato, ed aveva profittato più dei mezzi d’istruirsi, che delle occasioni di divertirsi. Aveva bensì sofferto molto nel suo lungo viaggio, e temeva tanto il mare, che assolutamente non voleva più esporvisi. Aspettando dunque il consenso della sua famiglia per rimanere in Francia, andava premurosamente in traccia di occupazione. Veniva spesso a casa mia; e siccome aveva imparata assai bene la lingua italiana, aveva perciò l’intenzione di tradurre le mie opere in francese. Io gliene feci conoscere le difficoltà; era ragionevole, e rinunziò a quell’idea. Amava però la letteratura, e voleva trarre qualche partito dell’italiano, che aveva imparato. Per contentarlo formai il disegno di un foglio periodico, ed eccone qui il titolo ed il programma:

«Giornale di Corrispondenza Italiana e Francese.

«Un Italiano, stabilito da qualche tempo in Parigi, è in corrispondenza epistolare con parecchie persone del suo paese. Queste lettere si aggirano su tutte le materie suscettibili di annotazioni, di osservazioni e di critica. L’istoria, le scienze, le arti, le scoperte, le proposte, la tipografia, i teatri, la musica, il buon governo, i costumi, gli usi, i caratteri nazionali, le feste pubbliche, le cerimonie, le novità, gli aneddoti, tutto vi è messo a contribuzione. Ma il contenuto di queste lettere sarà sempre importante, per le scambievoli relazioni fra il paese da cui partono, e quello a cui sono indirizzate. Si pubblica un libro, un dramma, un poema, un’opera qualunque da una delle due nazioni, e se ne dà subito parte all’altra. Se ne spediranno reciprocamente gli estratti, l’esame, i confronti; le materie sottoposte a discussione o a dichiarazioni non resteranno senza risposta, nè si ommetterà d’inserire discorsi, arringhe, dissertazioni, e tutto ciò insomma, che potrà contribuire ad allettare i lettori.

«Sarebbe forse temeraria impresa proporre un nuovo giornale a Parigi?

«Gli autori che sono per intraprenderlo, sperano che no, osservando che ogni giornale ha i suoi partigiani, e che per conseguenza il loro pure può acquistarne siccome gli altri. La lettura francese è da gran tempo il diletto dell’Italia tutta. Pare che gl’Italiani siano riconoscenti verso i Francesi, per aver questi sostenuta ed abbellita la grand’opera del rinascimento delle lettere, per il quale essi avevano lavorato i primi. Ma sembra altresì che i Francesi di quando in quando risalgano alla sorgente, e si compiacciano di [p. 358 modifica] conversare con i grandi maestri del buon secolo della letteratura italiana. Questa lingua è adesso in Francia più in voga che mai. Il gusto della nuova musica vi ha molto contribuito. Tutte le biblioteche di Parigi abbondano di libri italiani, che si leggono, si gustano, si traducono; ed i viaggi dei Francesi in Italia sono diventati più frequenti. Insomma, tutti questi oggetti sembrano giusti, ragionevoli, e allettativi. Se gli autori di questo giornale s’ingannano, non sarà certamente colpa del disegno, ma dell’esecuzione. Le persone che debbono occuparsene, non mancheranno dal canto loro di materiali importanti, di notizie sicure, di corrispondenze ben fondate, di zelo per il pubblico, e di attenzione per il loro proprio profitto. Si ha un bel dire: io mi sacrifico per l’onore ed il bene della umana società. Non vi ha che il ricco che non lavori; ma chi non è tale, non può obliare sè stesso, ecc.».

Invaghito il mio giovine americano del programma della nuova opera, aveva già trovato quattro compagni, che lo avrebbero secondato. Io aveva loro procurato conoscenze a Roma, a Napoli, a Firenze, a Bologna, a Milano, ed a Venezia; e si aspettava di aver preparato materia bastante per il lavoro almeno di sei mesi, prima di pubblicare il prospetto. In questo mentre capitò in Parigi una donna napoletana. Era questa un’attrice dell’Opera comica italiana, proveniente da Londra, ove il direttore che l’aveva fissata, era fallito; essa veniva in Francia a cercare fortuna. Costei non era nè giovine, nè bella, ma scaltra e fine quanto mai, ed aggiungeva agli ordinari artifizi della sua condizione, quello dell’ipocrisia. Io ebbi l’onore della sua prima visita. Il mio Americano la trovò subito molto amabile; egli era alquanto devoto, e la Napoletana era sempre con la corona in mano, e tutti i sabati accendeva un lume avanti all’immagine della Madonna di Loreto; e intanto che il buon uomo imparava a pregare Iddio in italiano, dimenticava un dì più dell’altro l’obbligo contratto ed i suoi associati. Avevo un bel fargli le mie lagnanze, ed anche i miei rimproveri; era già innamorato, nè aveva altro dispiacere, se non di sapere maritata la sua bella, e però fuori del caso di poterla sposare.

Il nuovo giornale prendeva un cattivo andamento. I giovani che vi si erano impegnati, cominciavano a disprezzare chi aveva assunto l’incarico di guidarli; onde feci il possibile per incoraggirli, e aveva sempre la speranza di ricondurre il loro capo alla ragione; ma ecco come si perdette irreparabilmente. Va un giorno all’abitazione della maligna incantatrice, e la trova genuflessa: — Ah! sì, sì, venite pure, mio caro amico, — ella esclamò vedendolo; — prostratevi subito avanti alla Madonna santissima, ringraziate meco Iddio, e gridate al miracolo: mio marito è morto. — Gli mostra la lettera ch’ella aveva in quell’istante ricevuta, in cui era inclusa la fede di morte. Alle corte, si sposano. La moglie era gelosa, nè voleva più stare in Parigi; il marito era vergognoso, nè si lasciava più vedere. Partirono pertanto entrambi pochi giorni dopo, ed ecco finito il giornale prima di aver principio. Ci lamentiamo delle donne, che con le loro grazie c’incantano, e che con le loro lusinghe incatenano gli uomini, e alcune volte li rovinano con i loro capricci; ma le loro attrattive sono conosciute, ed è l’uomo stesso che loro somministra le armi per esser vinto. La sola ipocrisia può ingannare. Ma questo detestabile artifizio trovasi in Francia tanto raro, quanto rara è l’imbecillità di chi si lascia ingannare. In questo paese le donne dabbene hanno più amabilità che in qualunque altro luogo, e le donne scaltre sono meno spregevoli che altrove.