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Memorie inutili/Parte seconda/Capitolo XVII

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Capitolo XVII

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CAPITOLO XVII

A che sta esposto l’uomo che prende impegno e amicizia per una compagnia

di comici e comiche, per quanto benefico egli sia con quella.

Giunse l’ottobre, mese in cui le comiche truppe di Venezia arrivano a fare quartiere d’inverno e si fermano ne’ veneti teatri sino alla quaresima; giunse anche la compagnia del Sacchi.

Fatte e restituite le visite di ben trovato e ben arrivati, vidi anche la comare Ricci in buon stato.

Le confidai con dispiacere ciò che il Zannuzzi intorno al di lei andare a Parigi m’aveva detto.

Ella mi rispose, alquanto accesa, che il Zannuzzi era benissimo in accordo con lei, ma ch’era partito per riferire a’ compagni suoi ciò ch’egli aveva scoperto nelle attrici esaminate in Italia, e per dipendere dalla unanimitá nelle sue riferte; ch’ella attendeva lettere e che sperava. Proruppe con delle invettive contro la compagnia del Sacchi in generale, e in particolare colla solita conclusione che per il stipendio che aveva, non voleva servire.

Il ricordarle il suo patto firmato di servire per tre anni; il convincerla che il suo onorario era de’ maggiori che le piú abili prime attrici avessero nelle compagnie dell’Italia in cui la ricolta teatrale era poca; il farle riflettere che non sempre era durevole la fortuna che la compagnia Sacchi aveva allora; il dimostrarle che i comici stipendiati erano a miglior partito degl’interessati nell’impresa, esposti a un facile rovescio d’una sorte dipendente dal pubblico e obbligati a pagare i stipendiati; il far l’abachista provandole che il suo onorario bastava al suo mantenersi, ad accrescere il suo equipaggio e a qualche civanzo; l’assicurarla che con un poco di sofferenza, con meno inquietezze dal canto suo, un po’ piú d’attenzione a’ di lei doveri, l’averei fatta giugnere a stipendio maggiore; erano tutte parole al diserto. Ella suonava instancabilmente la stessa campana. [p. 336 modifica]

Nella dimora ch’ella faceva recitando colla compagnia nelle diverse cittá delle provincie, de’ spiritosi filosofi che se le avvicinavano la circuivano con tanti elogi e suffumigi della adulazione a lei omogenei, che la povera giovane ritornava sempre a Venezia tronfia, col suo cervelletto, per se stesso ambizioso, alterato, inquieto ed irragionevole, e la mia povera morale diveniva per lei uno scarto inconsiderabile.

Le mie osservazioni possono riuscire noiose, ma potrebbero giovare ed essere giovevoli all’umanitá femminina, circuita e rovinata da una infinitá di diaboliche adulazioni.

Dovei avvedermi ben presto che il cambiamento dimostrato dal vecchio Sacchi sugli amori brutali suoi verso la Ricci non era stato che una costrizione sino a tanto ch’ella si fosse da me allontanata.

La visita ch’ebbi, due giorni dopo l’arrivo in Venezia della truppa comica, dal giovine attore Carlo Coralli, amico assistente della Ricci, m’ha di ciò chiarito, e aprí un altro faceto argomento alle mie democratiche osservazioni.

Egli mi disse ch’era venuto ad espurgarsi con me d’un delitto che gli era furiosamente addossato. — Qual delitto? — risposi io sorridendo.

— Il Sacchi — proseguí egli — spasima d’amore per la Ricci. Io voglio bene a quella giovine; lo confesso. Tengo pratica nella di lei casa e le sono accompagnatore e assistente per quanto posso. Egli si è scoperto bestialmente geloso di me, e nel tempo che fummo in pellegrinaggio per le provincie, non dando io alcuna retta alla sua rabbia gelosa, ho ricevuto mille sgarbi e mille mortificazioni da quel vecchio. Finalmente egli s’è indotto a proibirmi con faccia burbera ed aperta di visitare la Ricci, perché se il signor conte Gozzi arriverá a sapere quella domestichezza e quella tresca, si disgusterá e abbandonerá la compagnia con sommo danno del suo interesse.

— Signor conte — seguí il Coralli, — eccomi a palesarle il mio errore e a protestarle di mai piú visitare la Ricci, se le mie visite a lei rincrescono.

La inaspettata esposizione del Coralli colpí per modo il mio [p. 337 modifica]solletico, ch’io scoppiai quasi dalle risa come Margutte. Non poteva raccorre il fiato per rispondere a quel comico.

— In mezzo a quali persone son io? — diceva fra me — e per chi mai logoro penne, carta, inchiostro e cervello con tanta disinteressatezza, per far del bene? Il Sacchi a cui ho proccurato tanti vantaggi cerca di far me covertella al suo bavoso bamboleggiare!

Tacendo quanto sapeva anteriormente delle follie dell’amante ottuagenario, risposi al Coralli quando potei, e interrotto dal riso, che a me poco importava che tutto il genere mascolino facesse all’amore con la Ricci, e ch’egli per conto mio non doveva astenersi dal visitarla e dal prestarle assistenza; ch’io aveva per quella giovine dell’amicizia e uno di quegli affetti che non patiscono gelosie animalesche; ch’io l’aveva sostenuta, difesa, fatta divenir utile alla comica mèsse nella sua professione; ch’io le era compare a di lei richiesta, e ch’ella coltivava le mie visite e le dimostrazioni mie di parzialitá per lei a solo fine d’avere un antemurale co’ suoi molti nimici della compagnia; ch’ella aveva del merito abbastanza per avere degli amatori, e ch’io le sarei stato compare, amico e visitatore sino a tanto ch’ella non si mettesse in una vista di rilasciata galante mercenaria e insidiatrice, e con garbugli sperati secreti o con solennitá di pratiche con personaggi di grado, adulatori splendidi e notissimi passeggeri, voluttuosi corsari di Venere; che in quel caso mi sarei scordato d’esserle amico famigliare e il comparatico, allontanandomi interamente dalla sua pratica, per non fare la figura né del sciocco né del dissoluto né del mezzano, e senza però cadere nella bassezza di divenirle nimico; ch’egli non era uno di que’ personaggi che potessero destare in me gelosia della mia riputazione, e che però non doveva aver ombra di timore d’offendermi nel visitare domesticamente la Ricci.

— Mi rincresce — aggiunsi — che il Sacchi v’abbia preso di mira in questo proposito. Egli è persona vendicativa ed ha delle armi possenti da vendicarsi sopra di voi. Se andate dalla Ricci, salutatela per mio conto. — Il Coralli, edificato, mi fece mille ringraziamenti e partí. [p. 338 modifica]

Il giorno successivo fui a visitare la Ricci: vi trovai il Coralli.

— Aprite quelle finestre — diss’io alla comare. — Perché? — rispos’ella. — Perché voglio affacciarmi — diss’io ridendo — e avvisare tutte le genti che passano ch’io sono qui da voi col Coralli, senza il menomo dispiacere ch’egli ci sia.

La conversazione fu lieta e sopra tutt’altro che sulla infantata gelosia.

Volli pranzare con la Rícci e col Coralli in quella medesima abitazione, e volli che la Ricci e il Coralli venissero a pranzare meco all’abitazione mia.

Mentre io seguiva a donare delle teatrali opere mie alla compagnia (delle quali opere non farò menzione, né de’ titoli né del contenuto con delle analisi e degli estratti, perché sono assai conosciute per la loro fortuna, dalla qual fortuna non pretendo di trarre la conseguenza che fossero buone) e mentre trattava la Ricci e il Coralli con domestichezza, espurgava me dalla gelosia voluta far credere dal Sacchi al Coralli per allontanarlo da quella giovine; ma accresceva nel vecchio l’interno dispetto, la rabbiosa gelosia e la brama di vendicarsi contro al Coralli.

Difatto, giunta fa novena del natale di quell’anno, tempo in cui i comici impresari cambiano e licenziano qualche attore o qualche attrice, fu dal Sacchi sonoramente licenziato il Coralli.

Ecco il Coralli da me a narrarmi la sua disgrazia e a raccomandarsi perch’io parlassi al Sacchi in suo favore.

— Io prevedeva questa vendetta — diss’io. — Quantunque per massima ferma non entri giammai negl’interessi intrinseci della condotta comica, parlerò al Sacchi; ma non ho cuore d’assicurarvi d’un buon effetto, perché m’è noto il perverso suo istinto.

Il caldaione delle comiche nimiche della Ricci e dei comici nimici del Coralli bolliva. Chi diceva che il Coralli era stato licenziato a mia contemplazione per la pratica che teneva con la Ricci; chi diceva ch’era stato licenziato per lo scandalo che dava alla compagnia con quella amicizia, ed altre fanfaluche turpemente sciocche quanto ridicole turpemente. Tutti erano santi fuori che il Coralli e la Ricci.

Trovai la comare afflittissima d’un tale avvenimento. Ella non [p. 339 modifica]si degnava forse di confessare d’essere afflitta di perdere la persona del Coralli; si mostrava appassionata per la sua riputazione annerita dalle lingue maligne della compagnia sull’andata di quell’attore.

— Se non aveste usata — diss’io — qualche lusinga di cochettismo verso quel vecchio per la brama d’un abito di raso bianco, non soffrireste ora ciò che sofferite.

— L’abito fu da me pagato rilasciando tre zecchini il mese del mio stipendio — rispos’ella tutta infuocata. — Devo anzi confessarle — seguí — che ieri fu da me quel vecchio infame. Egli mi fece vedere i zecchini da me rilasciati, crollando una borsetta e dicendomi: — Questi sono i zecchini trattenuti per il pagamento del raso; se li volete saranno vostri, ma sapete ciò che io voglio da voi a questo prezzo. — Ho risposto con un rifiuto; ciò che si meritava quel scellerato. Mi creda, signor compare, che quel vecchio è un iniquo solenne.

— L’azione vostra è buona, ma tarda — diss’io raccapricciando sulla turpitudine del vecchio ipocrita. — Un passo falso conduce in un labirinto intricato.

La mia dabbenaggine s’accinse tuttavia a cercare un rimedio onde non avesse effetto l’escomeato del Coralli.

Parlai col Sacchi mostrando ignoranza sulle sue vigliacche debolezze e con quant’arte potei, facendogli intendere ch’egli perdeva nel Coralli un buon attore.

— Non molto — rispos’egli con ceffo burbero. — Oltre a ciò, egli è un pettegolo rapportatore, alteratore, e mette dissensioni nella mia compagnia. L’ho licenziato, e al termine del carnovale deve andarsene.

— Veramente — diss’io — temo che siate voi quello che ascolta troppo i referendari. A me il Coralli sembra un buon giovine, ben educato, attore abile ed utile al vostro interesse. Oltre a ciò, questo vostro escomeato improvviso desta nella compagnia de’ libelli infami senza proposito che offendono l’onore della povera Ricci.

— Come! — rispose il Sacchi; — dovrò pregiudicare l’interesse della mia truppa per rispettare l’onore di quella femmina? [p. 340 modifica]

— Io non voglio discapiti vostri — diss’io costringendomi sopra quanto sapeva; — so anche prescindere ch’ella sia mia comare, e so sorpassare che nelle ciarle indecenti de’ vostri compagni fatte sul proposito del vostro escomeato si mescoli il mio nome, né intendo giammai di impacciarmi né d’oppormi alle vostre risoluzioni. V’ho parlato con una amichevole sinceritá, ma tutto dal canto mio sia come non detto.

— Signor conte — seguí egli, — la assicuro che la mia truppa è troppo aggravata di stipendiati. Lascio però tutte le altre ragioni da un canto, e per farle conoscere la stima che ho di lei, mi dica qual altro attore potrei escomeare. Ho nove giorni di tempo a far questo passo. Licenzierò la persona che lei mi suggerirá e terrò fermo il Coralli per servirla.

— Per servir me? — diss’io. — Questa è una esibizione che voi mi fate con sicurezza ch’io non la accetti. Sono onesto abbastanza per non suggerire di levare il pane a una persona qualunque sia. Scordate ch’io v’abbia tenuto questo discorso, e vi prometto di scordarmi d’avervelo fatto.

— Potrebbe darsi — soggiunse il Sacchi alquanto confuso — che qualcheduno degli altri comici mi chiedesse la sua licenza in questa novena, e in tal caso terrò il Coralli per aderire alla sua premura.

— Non ho premure — diss’io; — dimenticate affatto ch’io v’abbia detta parola sul vostro escomeato.

Sapeva molto bene che il Sacchi, pensando ne’ modi suoi, non era capace di scordarsi il mio discorso. La sua aviditá interessata e il timore di perdere i miei soccorsi lo facevano incapace d’una tale dimenticanza. Il Coralli non sarebbe partito dalla compagnia se non era un comico raggiratore.

Dovei riferirgli l’inutilitá del mio ragionamento, colla sola lusinga data dal Sacchi al caso che un altro attore chiedesse licenza d’andarsene. Una infelice astuzia comica bolognese fece abortire il mio tentativo in favore del mio protetto.

Tre giorni dopo i sopra accennati parlari, ebbi alla mia abitazione Domenico Barsanti, altro bolognese valente comico della compagnia medesima e utilissimo attore. Per esser bolognese, [p. 341 modifica]era buon uomo e semplice. Egli piangeva e non poteva riavere il fiato per favellarmi. — Altro comico accidente disgustoso — dissi tra me. — Gli feci coraggio.

Egli mi narrò che il Coralli suo compatriotta, con apparente amicizia e sotto sigillo di secretezza, gli aveva detto di sapere da buona parte che il Sacchi aveva risolto di licenziarlo come inutile, e che però da buon amico e patriotta cordiale lo consigliava a chiedere volontario la sua licenza al Sacchi prima che gli capitasse un affronto che lo screditava; che una tale asserzione, avvalorata da’ giuramenti e dall’apparente affetto amichevole del Coralli, l’aveva spinto a chiedere la sua licenza al Sacchi; che il Sacchi sorpreso gli aveva chiesta la cagione per cui voleva abbandonarlo; ch’egli confessò sinceramente di chiedergli la sua licenza, sapendo giá ch’egli era determinato a licenziarlo; che il Sacchi gli aveva giurato d’esser lontanissimo da tale idea, e che anzi lo aveva caro; che l’aveva costretto a dirgli chi gli aveva piantata quella carota, e che dopo alcune sue renitenze era stato costretto a dirgli che gliela aveva piantata il Coralli; che il Sacchi invasato gli aveva detto: — Andate tosto dal signor conte Gozzi, narrategli questa storia a puntino e raccomandatevi alla sua protezione. Egli conoscerá di qual carattere sia il Coralli.

Il povero Barsanti mi fece pietá. L’esortai ad essere tranquillo, e rassicurai che dal canto mio avrebbe tutto il bene che potessi fargli.

Rimasi con qualche stupore sul raggiro illecito tenuto dal Coralli per far uscire dalla truppa un comico e per rimaner egli, sforzando cosí il Sacchi a trattener lui per la promessa fattami.

Proruppi nelle mie solite risa, riflettendo a’ sistemi d’una comica repubblica di cui mi trovava essere colonnello.

Il Coralli non mi si presentò piú dinanzi per vergogna della sua mina sventata. Dové partire al termine del carnovale, e alla di lui partenza mi scrisse una lettera piena di rimorsi, particolarmente d’aver offeso me col suo strattagemma usato per rimanere nella compagnia. [p. 342 modifica]

Continuai ad essere buon compare ed amico domestico della Ricci per consuetudine e per difenderla da’ suoi nimici, ma un poco piú attento sulla di lei direzione e per prendere norma nella mia. Le sue doglianze sul poco stipendio e le sue grida di non voler servire per ciò ch’ella considerava vile onorario al di lei merito, erano eterne e mi seccavano. La sua firma di servire per tre anni e le mie esortazioni erano per lei inezie. Osservava io che alcune sere venivano de’ gondolieri a picchiare alla porticella del palco scenario e a chiedere la signora Ricci per alcune dame che la desideravano nel palchetto. Erano ben altro che dame, come seppi coll’andare del tempo.

Non trovava da lei visite di persone generalmente conosciute viziose e splendide nella lussuria, e perciò seguiva a visitarla familiarmente e ad assisterla.

La casa da lei presa a pigione era sufficiente e vicina al teatro in cui ella recitava e d’un fitto tenuissimo. L’uscio era in una strada di continuo gran passaggio di gente.

Ella mi disse un giorno che quella abitazione era troppo angusta, che doveva accogliere nuovamente il marito che si diceva risanato; ma che voleva stanze a di lei comodo e separate dal marito, per tenere il consorte diviso di camera e di letto, non fidandosi della di lui sanitá.

Prese dunque a pigione una casa molto piú lontana dal suo teatro, con un aggravio di quasi il doppio di quello che pagava, esponendosi ad una spesa di trasporti, di pittori, di legnaiuoli, ecc., assai contraria a quel stipendio ch’ella predicava mendico.

Il mio insinuarle moderazione era favellare a un pilastro. Tuttavia non mancai de’ miei soccorsi possibili in questa sua nuova risoluzione ch’io non condannava in tutto.

Il peggio fu che questa novella abitazione era in un luogo rimoto e in un viottolo solitario per cui non passava nessuno; scelta che snodava le lingue de’ suoi compagni e delle sue compagne invidiose e nimiche a de’ turpi giudizi temerari e a delle ciarle di ragionati sospetti di secretezza, alle visite clandestine ed a’ garbugli mercenari, delle quali cose la giudicava incapace, forse per mia sciocchezza. [p. 343 modifica]

Non tralasciava però di tener sempre le armi alla mano per giustificare la sua condotta, per difendere il credito in cui l’aveva posta la mia amicizia, il mio comparatico e le mie visite ch’ella coltivava con tutta l’attenzione.

Terminato anche quel carnovale, la compagnia doveva partire per sei mesi da Venezia.

Era stata condotta da Bergamo a Venezia la ragazzina, figlia della Ricci e mia figliuoccia, che la madre aveva lasciata a bália colá.

Per non condur seco l’impaccio di quella figlia, la collocò a spese in Venezia, raccomandata alla mia attenzione.

Partita la compagnia e partita la Ricci con le solite comiche dimostrazioni di dispiacere di perdere la mia conversazione per sei mesi, rimasi assistente all’ottima ragazzetta mia figliuoccia, ch’io visitai con frequenza, soccorrendo a parecchi bisogni suoi.

Le sollecite e frequenti lettere della comare fulminavano me di ringraziamenti e fulminavano la sua compagnia co’ soliti lagni del miserabile stipendio alla di lei bravura. Degli adulatori amanti, ch’ella trovava per ogni cittá, riscaldavano il suo cervello, facendole credere che il suo valore meritava un regno per onorario. Bastava ciò perch’ella si scordasse ogni impiegno, ogni convenienza, ogni giustizia, e passasse sopravia al giusto riflesso che la ricolta delle migliori compagnie comiche dell’Italia era un mendicume, e ch’ella aveva uno de’ maggiori stipendi che avessero le piú abili prime attrici delle italiane compagnie.