Memorie storiche della città e marchesato di Ceva/Capo XXIV - Celebri Guerrieri.
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CAPO XXIV.
Celebri Guerrieri.
Ci tocca ora di far menzione dei cittadini di Ceva che si distinsero nella carriera militare, ma duole che siansi di loro conservate sì poche memorie. Quanto saremo per dirne fu ricavato dal Dizionario del Casalis, e da diversi manoscritti che si trovano in quest’archivio parrocchiale.
Il più antico guerriero che si conosce della famiglia Ceva si è il marchese Guglielmo II figlio di Guglielmo I, il quale nel 1198 ebbe gravi controversie cogli uomini di Mondovì per certe prestazioni al vescovo d’Asti Bonifacio, con cui aveva fatta lega offensiva e difensiva come da atto 5 ottobre stesso anno stipulato iuxta plebem de Carasu in domo in solario iuxta ignem, etc., (vedi Grassi storia di Monteregale doc. id. VII). Sconfisse i suddetti Monregalesi e li costrinse a soddisfare al Vescovo, dal quale ottenne per se medesimo la cessione della villa e del castello del grosso feudo di S. Michele ch’egli era in grado di meglio difendere da nemici, cessione da lui conseguita per 1300 lire genovesi, coll’obbligo di fornirgli in occasione d’investitura un cavallo ed una corazza, e di fargli omaggio del feudo di Lesegno.
Fu forse per questa vittoria ch’egli potè stabilire il suo fratello Anselmo, detto delle Mollere, podestà sul comune di Mondovì con cui pur egli si collegò.
Dopo quest’alleanza facevane un’altra col marchese di Savona nel 1202 e due anni dopo conduceva in isposa una figlia di Manfredo II, marchese di Saluzzo.
Ligio pur sempre alla chiesa d’Asti ottenne dal vescovo Guidotto nel 1214 il feudo di Boves; e poco prima della sua morte la clientela di Roascio cedendo il castello di Mombasiglio.
Suo fratello Tagliaferro si distinse nella guerra del 1219 contro i Ventimigliesi, durante la quale conducendo con Ottone e Corrado Malaspina, e con Ottone ed Arrigo del Carretto l’esercito di Genova, aveva sottomessi i nemici a quella repubblica.
Quegli però tra gli antichi marchesi di Ceva che ebbe a sostener le più lunghe ed accanite guerre fu Giorgio secondo detto il Nano figlio e successore di Giorgio I morto nel 1268.
Questo principe piccolo di corpo, fu grande per le doti del suo spirito e per le sue gesta, con cui superati gli uni dopo gli altri i molti nemici che aveva, e riacquistate le terre del marchesato ne ristorò per quanto lo permisero i tempi, la potenza ed accrebbene lo splendore. La sua gloria però fu alquanto offuscata dall’infausta vendita fatta al comune d’Asti di cui si parlò altrove.
Il più forte dei suoi nemici era il suo zio Guglielmo III, il quale colla sua autorità attirati a sè quasi tutti i membri del casato non che i vicini signori e comuni anelava a togliergli intieramente il paterno retaggio. Ma trovò egli nel Nipote marchese l’accorgimento d’un uomo avvezzo a trattar gli affari, perspicace ed arditissimo nel mandare ad esecuzione i suoi proponimenti.
Unitosi intanto Guglielmo coi marchesi di Cravesana, di Ormea, di Noceto, Monasterolo, Battifollo, Massimino, Pornasio, Scagnello, Della Torre e di Carassone gli mosse guerra tentando d’invadere i suoi dominii.
Ma coll’appoggio degli Astesi riuscì al marchese Nano di vincere, e di conciliarsi i suoi nemici, ed il 25 giugno 1297 dettò la pace a Mondovì che aveva dato ricetto ai suoi avversarii 1.
Riconobbe il territorio di quel comune nelle ville, e nei castelli di Torre, Roburento, Montalto, Frabosa, Roccaforte, Villanova, Vasco, S. Biagio, Rocca de’ Baldi, Carrù, Carassone, e gli rilasciò i prigionieri ed i carcerati, ma gl’impose per patto essenziale di esiliare dalle sue terre i marchesi Oddone e Francesco di Cravesana, il marchese Guglielmo di Ceva, e i figliuoli di lui Benedetto e Lancia, con tutti i suoi vassalli, i signori di Monasterolo e di Ormea, i signori Leone e Oddone di Battifollo, i signori Leone e fratelli di Scagnello, i signori di Massimino e di Pornasio, Monaco di Nuceto e di lui fratelli, Gioanni Scarella ed Antonio di Cusio, ingiunse infine, che gli uomini di Mondovì detti allora talvolta quei del Monte non potessero allearsi coi Bressani.
Per mezzo di vittorie, di alleanze e di compre riuscì al Giorgio Nano di terminare alfine una guerra civile di quasi trent’anni, ma gli ultimi anni di sua vita furono travagliati da gravi sollecitudini e da triste vicende, e dopo la sua morte le condizioni del marchesato di Ceva andarono sempre peggiorando.
Il di lui figlio Giorgio III, capitano generale dei Guelfi nelle armate di Carlo II, re di Napoli e di Sicilia conte di Provenza l’anno 1307, e quindi luogotenente in Alba per Filippo principe d’Acaia si segnalò in diverse fazioni che seguirono a suoi tempi in Piemonte. Oddone suo figlio colle milizie del suo marchesato assistette il conte Verde nelle guerre che fece ai Visconti di Milano.
Carlo Ceva di Garressio pei servigi resi nella milizia allo stesso conte Verde ebbe in dono il borgo di S. Dalmazzo e tutte le terre della valle di Gesso.
Il marchese Giovanni Francesco Ceva Garessio accompagnò e servì nelle guerre di Fiandra il Duca di Savoia Emmanuele Filiberto e prese parte alla famosa battaglia di S. Quintino che ebbe luogo li 10 agosto 1557.
Al marchesato di Ceva appartiene pur anche il celeberrimo Andrea Doria primo capitano del suo secolo le di cui gloriose gesta son note a tutto il mondo. Questo celebre ammiraglio aveva ereditato dal padre il titolo di marchese di Ceva. Sui confini del territorio di questa città e nella contrada campestre delle Mollere si fece costrurre un piccolo, ma forte castello là dove il Recurezzo s’unisce al torrente Cevetta. Di questo castello non rimangono più che alcune rovine.
In prova che Andrea Doria si gloriava d’appartenere a Ceva citeremo l’iscrizione che si legge attorno al suo magnifico palazzo di Genova.
Divino Munere
Andreas Doria Cevae
F. S. R. Ecclesiae
Caroli Imperatoris Catholici maximi
et invictissimi
Francisci I. Francorum Regis
et Patriae classis
Triremium IIII. Praefectus
ut maximo labore
jam fesso corpore
Honesto otio quiescerit ædes
sibi et successoribus instauravit
MDXXVIIII.
Nella famiglia Pallavicini si resero degni di ricordanza Adalberto, capitano delle guardie di Vittorio Amedeo I. Fece acquisto del marchesato delle Frabose. Ebbe questi per figli Carlo Emmanuele, gran ciambellano, gran mastro, ajo di Carlo Emmanuele II, e cavaliere della Nunziata morto nel 1650, e Sforza tenente generale di cavalleria dell’Imperatore e quindi governatore di Cherasco e di Bene.
Tobia marchese di Frabosa, luogotenente generale d’infanteria, venne ucciso all’assedio di Valenza nel 1636, dopo aver date prove di gran valore.
Francesco Adalberto Pallavicini, generale di fanteria morì al combattimento di Marsaglia nel 1673.
In questa famiglia acquistarono fama di prodi guerrieri oltre i suddetti, Carlo Emanuele, cav. gran croce dell’ordine Mauriziano. Servì Vittorio Amedeo II, passò quindi negli eserciti di Francia, e per esser uomo di gran valore e di molto talento ascese al grado di luogotenente generale. Seguendo il maresciallo del Villars nella guerra di Fiandra contro Marlbouroug e contro il Principe Eugenio, fu ucciso nel 1709 alla battaglia di Malplaquet.
Il posto più distinto fra i guerrieri di questa famiglia deve assegnarsi senza dubbio a Filippo Guglielmo. Servì egli con molto affetto Vittorio Amedeo II nelle lunghe guerre dei suoi tempi or con buona, or con avversa fortuna, e difatto nella guerra del 1706, volendo soccorrere Monmelliano assediato dai francesi, fu sconfitto da Lafeuillade. Fu governatore di Susa nel 1710, di Cuneo nel 1712, nel 1713 accompagnò Vittorio Amedeo, che si recò a prender possesso della Sicilia statagli aggiudicata dal trattato di Utrecht; governatore di Alessandria nel 1714, generale d’artiglieria nel 1719, fu nominato Vicerè di Sardegna, che fu assegnata a Casa Savoia invece della Sicilia dal trattato di Londra del 1718.
A lui deve la Sardegna fra gli altri provvedimenti i Magistrati di sanità ed il Lazzaretto di Alghero, ed un bastione di Cagliari porta tuttora il suo nome. Nel 1724 fu eletto a governatore della cittadella di Torino dove si trovò nel duro cimento di niegar l’ingresso all’abdicatario Vittorio Amedeo suo gran benefattore, che voleva risalire al trono coll’impadronirsi della cittadella; vi resistette il Pallavicini con militare bravura e tornarono vani i folli disegni dell’ex Re. Morì il Pallavicini nel 1732, 16 febbraio, cavaliere dell’Annunziata, e Gran Ciambellano.
Filiberto dei Marchesi di Ceva, governatore di Cuneo, non aveva che una figlia, la quale nel 1592 fu maritata in casa S. Vitale oriunda di Parma e stabilita in quella città, la quale assunse il titolo di Ceva. Da questa famiglia nacquero valorosi guerrieri che ottennero i primi posti nella milizia sarda, come furono Carlo e Galeazzo governatore di Cuneo.
Antonio Ceva S. Vitale si distinse nella guerra contro i Genovesi del 1672, massimamente quando assediato dai Genovesi in Castelvecchio fece una sortita in cui diede prove di gran valore.
Il Marchese Guido Ceva S. Vitale fu aiutante di campo di Vittorio Amedeo II e si distinse nella battaglia di Staffarda del 1690.
Fra i capitani dei tempi più a noi vicini si annovera il Marchese Giuseppe Ceva Lesegno, com’è da ricordarsi il Cavaliere Giuseppe Ignazio di Ceva Roascio, il quale fu comandante del forte d’Ormea quindi di Ceva.
Non è qui da omettere Amedeo Cosimo Ceva Nuceto figlio del Marchese Alessandro III, del di cui figlio Augusto si farà qui sotto onorevole ricordanza.
Il Marchese Amedeo Cosimo nato nel 1772 si sposò in Venezia nel 1804 con Gioanna Nepomucena Bonomo di Ritzmanè, donna di gran nobiltà e di alti sentimenti.
Dal servizio di Casa Savoia passò nel 1800 a quello di Toscana, e quindi d’Austria. Nei principali fatti d’armi di quei tempi burrascosi cotanto, giunse pel suo valore al grado di luogotenente Colonnello, e l’Imperatore Austriaco per dimostrargli il suo gradimento, lo ricevette nel numero dei suoi ciambellani li 23 aprile 1803. Fece pure la campagna del 1813 in cui per le nuove prove di suo valore venne fregiato dell’insegna d’uno degli ordini austriaci. Rientrato nel 1817 al servizio del Re di Sardegna, morì col grado di colonnello de’ cacciatori di Savoia.
Lasciò morendo sei figli che furono dalla madre vedova guidati sulla via dell’onore.
Non pochi cittadini di Ceva si distinsero nelle guerre di Napoleone, e conseguirono gradi onorifici, come si mostrarono intrepidi guerrieri sui campi di Lombardia, e nella rimota Crimea.
Nulla detraendo al merito singolare di ciascheduno dei passati o dei presenti militari Cevesi, si deve qui far particolare menzione di due nomi che in modo particolare meritano d’essere registrati nei fasti cebani.
Il primo si è il Marchese Augusto Ceva di Nuceto 2 capitano di Vascello, il quale si coperse di gloria pel fatto seguente, narrato dalla Gazzetta Piemontese delli 16 giugno 1855, n° 147 e che merita d’essere qui fedelmente riportato.
« Rada di Balaclava, 1 giugno 1855.
(Da Bordo del Carlo Alberto).
Il Comandante della Divisione navale sarda in un suo rapporto sotto quella data, rende conto d’un fatto molto onorevole per la regia marineria, e che accrescerà la fama di cui già gode presso le altre nazioni.
La notte del 31 p. p. maggio alle ore 1½ antimeridiane trovandosi questa R. Pirofregata alla fonda, nella rada di Balaclava, ove erano pure ancorati vari trasporti e piroscafi inglesi; l’ufficiale di guardia intese colpi ripetuti di campana di qualcuno dei bastimenti in rada. Egli spedì tosto un’imbarcazione per saper il motivo dell’insolito rintocco, e vennegli riferito partire dal piroscafo inglese Manilla per incendio manifestatosi nel magazzino di prora. Questo vapore aveva a bordo 960 barili di polvere, e molte botti d’olio ed effetti di vestiario.
A tale notizia il Comandante del Carlo Alberto (marchese Augusto Ceva di Nuceto) spedì tutte le imbarcazioni del bordo, e mercè la buona direzione, e la somma attività dei marinari del Carlo Alberto si riuscì in breve tempo a sbarcare quella considerevole quantità di polvere.
È dovuto agli ufficiali e marinai del Carlo Alberto se il danno del Manilla si è limitato alla perdita delle botti d’olio e degli effetti di vestiario, giacchè senza la singolare prontezza con cui venne liberato dai 960 barili di polvere, operazione che si compì in due sole ore, si sarebbe assai probabilmente lamentata una dolorosa catastrofe.
Il capitano del Manilla seppe però giovarsi assai bene della propria gente per vincere l’incendio, prendendo le migliori disposizioni perchè non si dilatasse.
Il contrammiraglio inglese Boxer, informato del soccorso portato dalla R. Marineria Sarda, ha testimoniato la sua riconoscenza con una lettera al Comandante della divisione navale. »
Un servizio così segnalato reso in circostanze così critiche e difficili vale una vittoria sui campi di Marte, e ne abbia il marchese Ceva di Nuceto la meritata lode.
L’altro cittadino di Ceva benemerito insigne dell’umanità, si è il sig. Gio. Batt. Rebaudengo nato in questa città il 21 giugno 1814.
Compìto il corso degli studii in questo collegio, prendeva egli servizio in qualità di soldato di distinzione nel reggimento Cavalleggieri Piemonte.
Con R. Brevetto in data 3 maggio 1836 veniva nominato sottotenente nel corpo dei cavalleggieri di Sardegna.
Percorsi i varii gradi della milizia, fu con R. Brevetto, 14 giugno 1852 promosso maggiore nel corpo dei Carabinieri Reali di Sardegna, e destinato a comandante nella città di Sassari.
Nel mese di luglio 1855 passò in Ceva, sua patria, alcuni giorni di breve accordatogli permesso, ne partiva li 25 stesso mese per non tornarvi mai più.
Per cortesia dell’egregio sig. avvocato Gioanni Rebaudengo suo fratello, posso citare qui i tratti più interessanti della ultima lettera che gli scrisse da Sassari li 4 successivo agosto.
« Fratello Carissimo,
Discorrendo teco della traversata da Genova a Porto-torres parlava di 24 o 30 ore al più nella speranza che vi fosse uno dei soliti vapori, ed invece pella corrispondenza del 25 luglio venne impiegato il piroscafo il Salvatore impotente a camminare che salpato da Genova la mattina del 25 verso le ore 9 ½ approdava stentatamente alle ore 8 ½ della sera del 26 alla Maddalena, e per esservi mare che quel legno non poteva superare, si fermò tre giorni alla Maddalena stessa, e solo la mattina del 30 potè partire alle 6 per giungere alle 5 pomeridiane a Porto-torres. Trovai quella popolazione desolata per la comparsa del colera che aveva già fatto e faceva molte vittime, ed ora è in diminuzione perchè dal 1° agosto a tutto ieri sono solamente quattro i casi ed un solo decesso. Porto-torres ha circa 1200 abitanti.
Nel comune di Toralba che ha pressochè uguale popolazione, il colera infierì maggiormente, ed è pure in decrescenza.
Da alcuni giorni sta lavorando in Sassari, e da ieri si è messo sopra una scala assai elevata, ma havvi a sperare che anche qui non vorrà continuare. I nostri Carabinieri dovettero farla da medico, da infermiere, da cappellano, e persino da becchino, e finora non ebbero manco un mal di testa.
Io sto bene grazie a Dio, e dico anch’io come Napopoleone: che avendo ancora molte cose da fare, la Provvidenza mi conserverà.
Saluta tutti gli amici e fratelli; conservati e credimi al solito
Il tuo affezionatissimo fratello
Gio. Battista. »
Da questo giorno in poi il colera infierì in Sassari in modo così spaventoso che è difficile trovar nei fasti delle pestilenze una strage sì grande come fu quella di Sassari in cui perirono circa ottomila persone in pochi giorni.
Il Rebaudengo dall’epoca della succitata lettera non ebbe più un momento di riposo nè giorno, nè notte, finchè cadde vittima anch’esso del morbo imperversante, li 8 dello stesso mese.
Si pagò alla sua memoria un giusto tributo di lode dal sig. Emmanuele Licheri in una lettera, stampata in Cagliari nel 1856, scritta con eleganza di stile, e con affetti teneri e commoventissimi.
Questa lettera datata da Nuoro addì 2 febbraio 1856, e diretta al sig. avvocato Abozzi, e contiene la cronologia di quattro illustri vittime del colera in Sassari, fra i quali figura il nostro Rebaudengo.
Eccone il tenore:
« Da queste solitarie campagne in cui spesso m’assido, per salutare l’ultimo raggio del sole d’un bel dì che muore, t’invio, mio buon amico, le più sincere congratulazioni. Ai generosi cittadini viventi che al par di te si distinsero per coraggio ed abnegazione nell’invasione del colera in Sassari, il plauso e la riconoscenza pubblica, agli estinti il bacio di Dio, la pace dei sepolcri, il ricordo dei superstiti.
Sì, la reminiscenza del cielo, ed un riflesso della bellezza eterna rischiari i sepolcri dove riposano le vittime del morbo fatale. L’obblioso cuore umano non dimentichi gli estinti, e ciascuno tra i superstiti sparga di qualche fiore le tombe degli amici.
Quando il sole tramonta, e la natura ne inspira la dolce malattia dell’anima immortale, si lasci irrompere la piena di tutti quegli affetti soavi che sono la parte divina dell’uomo.
Il colera, quel vento di morte che in pochissimi giorni ridusse la fiorita città di Sassari in orrido cimitero, commosse d’immenso terrore tutti gli abitanti. Le botteghe chiuse, il clero salmodiante, le preghiere d’un’agonia continua, gli uffici pubblici interrotti, tutti i servizi ed i commerci intercettati e sospesi, ricordavano la peste d’Atene, descritta da Tucidide, e quella di Milano che rendette immortale la carità di S. Carlo Borromeo.....
In Sassari la morte tenea per mano il terribile drappo mortuario, sventolante a foggia di bandiera, sovra il campanile di quell’antica Chiesa Cattedrale, e sceglieva le migliori vittime tra gli uomini di età matura, e che rappresentavano il senno e la venerevole maestà della patria, e l’ardimentosa gioventù che racchiudeva le più belle speranze dell’avvenire. »
Venendo l’autore al caro Rebaudengo così si esprime:
« Giovanni Battista Rebaudengo Maggiore di cavalleria, Comandante dei Carabinieri Reali prestava servizio fin dalla prima gioventù nel corpo militare dei Cavalleggeri di Sardegna, di cui era uno dei migliori tra gli ufficiali più intrepidi ed intelligenti. Cresciuto si può dir nell’Isola, ed avendo comandato in diversi punti alla testa degli squadroni, sparsi nelle varie provincie insulari, aveva acquistata quell’esatta conoscenza d’uomini e di cose, che tanto contribuisce al buon governo ed alla tutela dell’ordine pubblico. Di zelo indefesso ed operosissimo, dedicava egli intieramente sua vita all’accompimento de’ suoi non facili doveri nel comando importantissimo, di cui era investito. Grazioso, cortese, di parola facile e schietta, lo distinguevano i pregi di mente e di cuore per cui era grandemente amato dai buoni, e temuto dai tristi.
« Purgava la provincia dai briganti che a dovizia vi annidavano, e l’intrepida e nervosa azione dell’arma da lui comandata, stava con impegno costante a salvaguardia delle persone e degli averi dei cittadini. Egli si compiaceva altamente dell’ardire valoroso dei suoi subordinati, e valoroso egli il primo, faceva festa raccontando i generosi ardimenti e l’impeto dei suoi giovani conscritti che educava alla gloria militare.
Moriva il prode giovane Rebaudengo sul più bello di sua nobile carriera. Il morbo fatale lo schiacciava, mentre impavido provvedeva alla salvezza degli altri. Due giorni prima di scendere nel sepolcro parlava della spedizione nella Crimea, di cui aveva nutrito vivo desiderio di far parte.
Prode ufficiale! Cittadino commendevolissimo! La morte sul campo di battaglia sarebbe stata per lui sorte più degna. Il suo tramonto in Sassari ebbe il general compianto dai cittadini, il ricordo duraturo degli amici. »
Nulla si saprebbe aggiungere ad un ritratto così genuino e delineato con tanta maestria, come è il presente, del non mai abbastanza compianto Rebaudengo. Ceva sua patria ne deplorò amaramente la perdita, ed io con questo cenno pago un tributo d’amicizia alla memoria sempre cara di quest’ottimo cittadino, prode militare, e martire di carità verso i suoi simili.
Note
- ↑ A quest’epoca fissa il Bonardo citato dall’egregio Tommaso Canavese autore del Memoriale istorico di Mondovì, dato alle stampe nel 1851, un curioso aneddoto che può dirsi più romantico che istorico, ma che non lascia di riuscir interessante. Si tratta di una certa « Romanisia bella, nobile e valorosa giovine erede di grandi beni, e per le sue rare qualità da molti desiderata. Era sua passione di far prodezza in armi, epperciò vestita da guerriero armata e sconosciuta recavasi ai combattimenti.
Si erano invaghiti di lei Leone di Ceva figlio del marchese Nano, Bianco Bressano e Selferro di Montaldo, che guerreggiavano nelle vicinanze di Ceva. (Vedi per quel che segue il citato Memoriale storico pag. 53, 54, 55.) Questa Romanisia fu fatta prigioniera di guerra sul ponte di Broglio. Nel mentre che essa stava per passarlo, giunta sotto la torre trovò la saracinesca calata e dovette arrendersi a discrezione. » - ↑ Figlio del predetto M. Amedeo Cosimo.