Mitologia comparata/Al professore Antelmo Severini

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Al professore Antelmo Severini

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Mitologia comparata Il cielo
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Al Professore


ANTELMO SEVERINI




Mio dotto Collega, mio caro e pregiato Amico,


Offro a Lei uno de’ miei libri più piccoli, e mi troverei davvero molto confuso se dalla sola picciolezza evidentissima del dono, Ella dovesse argomentare della stima che Le professo, e dell’affetto che io sento per Lei. Ma questa confusione non è possibile, perchè so pure ch’Ella mi conosce e, conoscendomi, non ignora ch’io Le voglio più bene, ch’io non possa dimostrargliene in questa paginetta.

Dovrei ora dire alcune parole del libro stesso, anzi del libriccino, e scusarne, prima d’ogni cosa, il titolo alquanto ambizioso, che non fu scelto da me, ma che l’egregio editore, per conformarsi all’uso già introdotto nella sua pregevole piccola Biblioteca, dovette eleggere. Io credeva che bastasse e fosse già quasi troppo intitolare il libretto: Introduzione alla Mitologia comparata. Un vero trattato non lo credo ancora possibile; [p. VI modifica]esso non esiste ancora; per essere compiuto, dovrebbe riuscire molto esteso; e un manuale, che suppone sempre un compendio, è più difficile a farsi che un ampio trattato, fin che questo trattato non esiste. Io non ho dunque la pretesa di avere scritto un manuale così desiderato e desiderabile, e però d’aver superata questa difficoltà. Ma, invitato a tenere alla Società d’Orticoltura di Firenze una conferenza sui miti e le leggende che si riferiscono alle piante, e alla Società Promotrice dell’Istruzione della Donna presso la Scuola Superiore Femminile di Roma quattro conferenze intorno ai miti che si riferiscono al cielo, all’acqua, al fuoco, agli astri, con tale opportunità, esposi alcune delle principali idee che mi paiono governare il mondo de’ miti indo-europei. Essendomi finalmente sembrato che si possa rintracciare anche ne’ miti africani una origine âria e probabilmente indiana, ed avendo espresso un tal dubbio in un articolo che pubblicai nella Nuova Antologia intorno ai miti degli Zulù, non mi parve superfluo il soggiungere alle cinque conferenze di mitologia comparata popolare quel breve scritto intorno alle tradizioni esistenti presso gli Africani del Capo. Con tutto questo libretto poi, parmi che riuscirò forse a indicare in modo abbastanza chiaro e vivace l’oggetto proprio degli studii di mitologia comparata, in Italia, che, pur dopo i dotti saggi sull’Hermes e sull’Alceste del professor Kerbaker, [p. VII modifica]qualche splendido articolo critico del prof. Trezza e del prof. Pezzi, un libro sul Mito di Tito Vignoli, rimangono varie raccolte di tradizioni popolari, non solo negletti, ma quasi universalmente ignorati. Il libretto è particolarmente destinato agli Italiani. Non vorrei che ciò fosse poi inutilmente. Com’Ella sa, mio caro Severini, io pubblicai due opere di mitologia comparata, in lingua straniera, le quali ebbero all’estero molto maggior fortuna che non mi fosse lecito sperare. Esse diedero pure occasione ad altri lavori, a nuove preziose indagini, non pur nel campo della mitologia âria, ma nella semitica; esse confermarono poi specialmente e fecero maggiormente riconoscere la parentela dei miti con le novelline popolari; i critici miei concittadini non s’accorsero di quelle mie pubblicazioni, se non per rimproverarmi la scarsa carità di patria, che mi aveva fatto accettare le larghe offerte d’editori stranieri più tosto che la grazia di editori nostrani. Chi stampa in italiano, per il pubblico europeo può dirsi che stampi quasi clandestino; onde un italiano può benissimo avere idee sue e rivelarle primo, ma fin ch’egli stampa in Italia nessuno se ne dà troppo per inteso; gli stessi più solenni critici italiani che si fanno uno scrupolo di citare ogni autore nuovissimo che porti, per quanto oscuro nel suo proprio paese, un nome straniero crederebbero vergognarsi quando dovessero confessare d’avere imparato qualche [p. VIII modifica]cosa che essi non sapevano e che non si sapeva da altri, da un autore italiano; il che non dissi certamente perchè la cosa rechi soverchio dispiacere a me, ma perchè non mi pare un indizio assai lieto di nostra grande maturità agli studii. Nè ho uopo di dichiararle, perchè Ella se lo immagina, che proprio non ambisco e non attendo da questo libretto in Italia gloria o fortuna alcuna: solamente m’auguro ch’esso sia letto da italiani, poichè io lo stampo con l’illusione che non riesca loro intieramente inutile, e perchè davvero m’importa che anche i nostri intelletti s’aprano alla luce delle indagini comparative nel campo de’ miti. Io apro dunque in queste pagine un nuovo, tenue spiraglio ad una tal luce; e nel celebrare modestamente un simile rito, come usano alcuni autori indiani, per buon augurio, invoco, dopo il nome della divinità, quello d’un savio, e, per questa volta, il nome del mio dotto e caro Severini, affinchè, con la sua sempre desiderata benevolenza, mi assista.

 Di Santo Stefano di Calcinaia
 presso Lastra a Signa, 15 luglio 1880.

Angelo De Gubernatis.