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Mitologia del secolo XIX/XX. Le Danaidi

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Elogio di Vittore Carpaccio IncludiIntestazione 31 luglio 2022 100% Da definire

XIX. Perseo Elogio di Vittore Carpaccio
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XX. LE DANAIDI.

Non so se accada a voi il medesimo che a me più volte è accaduto, o se nè manco vi abbiate [p. 123 modifica]mai posto mente; cioè di maravigliarvi come a significare certi ultimi confini di perfezione usiamo frasi che verrebbero a dire l’opposto. Trattasi, a cagione d’esempio, di una festa di ballo; non vi pare stravagante modo di lodarla cotesto: quella festa era tanto bella che non vi si è potuto che poco, e a grande stento, ballare? È discorso di una sala illuminata sfarzosamente? La era illuminata sì riccamente da togliere la vista a’ riguardanti. Si potrebbe domandare: ma il meglio di una festa da ballo non è che vi si possa ballare alla distesa e comodamente? il meglio di una illuminazione non è che aiuti il vedere? Gran che, di dovere, come si voglia essere molto abbondanti nel lodare, ricorrere ad espressioni del tutto lontane, anzi opposte al soggetto!

Queste contraddizioni medesime le troviamo in altro genere di discorsi. Vuolsi lodare una cantante? diciamo per ultimo termine della nostra approvazione: egli è un flauto che si ode, pare che abbia un organetto entro la gola. All’incontro per lodare una vivuola, un clarinetto, o altro strumento, non si ha miglior frase di questa: oh! la voce umana che ha quello strumento! Domando pertanto: è egli nella voce dell’uomo, o in quella che vien dalla corda, il tipo della bontà musicale? Vi saranno vedute bellissime poma, ed ecco tosto che dite: oh le belle poma! le paiono dipinte! Se un pittore ve ne facesse vedere delle ritratte sopra la tela, non [p. 124 modifica]sapreste meglio encomiare la perfezione del suo lavoro che dicendo: oh le sembrano naturali! le diresti testè spiccate dal ramo!

Da questa semplicissima riflessione, che può essere fatta da tutti, se ne traggono molte e non picciole conseguenze. Primieramente egli mi sembra di poterne conchiudere che, mentre cerchiamo un dato divertimento, ci parla ardentissimo il desiderio di un altro. Ci rechiamo al ballo, che domanda spazio e comodità di movimenti; eppure in quell’ora stessa, in quel luogo medesimo vi cerchiamo la calca. Il chiarore ci dà piacere; ma tale è l’incontentabilità nostra, da non rimanere appagata, se prima gli occhi nostri non si trovano sommersi nel buio, o non sono resi inetti a vedere. Ancora: ciò che ne sta sotto gli occhi non ne dà mai sì pieno diletto che non ci punga la brama di ciò ch’è fuori della nostra vista. Le naturali bellezze da noi esaminate fanno in noi germogliare il bisogno dell’imitazione, e, mentre attendiamo ai lavori dell’imitazione, siamo insensibilmente ricondotti colla mente ai tipi offertici dalla natura.

La novella mitologica delle Danaidi mi sembra fatta a posta per significare questo genere d’avidità e d’inquietudine così proprio dell’uomo. Come tutti sanno, a quelle sciagurate sorelle, che la prima notte del giacersi co’ mariti ficcarono loro nella gola un pugnale, fu dato in pena dal giudice del Tartaro di empiere continuamente un doglio, che per essere sforacchia[p. 125 modifica]to nel fondo continuamente si vota. Il tormento sta in ciò che l’empire e il votare sono la stessa cosa; o, meglio, mentre le misere delinquenti con assiduo sudore fanno alcun che, succede loro ad ogni istante l’opposto. Ora vedete se anche noi al cercare di cogliere un fine, non diamo nel contrario. Dopo aver corso la linea della naturale bellezza, rientriamo senz’avvedercene nell’imitata; e l’imitata non ha miglior modo a rendersi efficace e desiderata che di tendere sempre alla naturale.

Io non so, nè vorrei certamente pronunziare così acerba sentenza, levandomi molto ridicolosamente in Radamanto dei vivi, non so, dico, se il gastigo favoloso delle Danaidi sia proprio per certi rispetti di tutta la razza umana; e se quanto si fa e si può fare dagli uomini tutti col travaglio della loro vita, non sia altro ch’empire un vaso sforacchiato, che nulla contiene di ciò che in esso si getta; so bene che le frasi che comunemente si adoperano dagli uomini tutti indistintamente nella più parte de’ loro discorsi me ne porrebbero in qualche sospetto.