Monete del Piemonte inedite o rare - supplemento/Montafia
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MONTAFIA.
Quantunque creda che monete de’ principi di Montafia siano mai esistite, tuttavia constando essere essi della regalia della zecca stati investiti, stimo di non omettere quelle notizie che circa i medesimi ho potuto raccogliere, affinchè nel caso che qualche loro moneta, anche solamente ad ostentazione di tale privilegio battuta, venga a rinvenirsi, si possa con certezza classificare.
Questa terra, sita nelle colline dell’Astigiana e piuttosto presso la città di Chieri, da tempo immemorabile venne posseduta dalla chiesa di Torino.
Trovasi per la prima volta menzionata in una notizia scritta nel 1120 delle donazioni fatte da Gezone, Landolfo, Vidone, Cuniberto, Viberto e Mainardo vescovi di questa città al monastero di S. Solutore maggiore, fondato dai primo di essi sul principiar del secolo XI, e nella quale fra le altre largizioni ad esso fatte evvi In Montafia ecclesiam sancti Marciani cum suis pertinenciis1, ma se la chiesa di S. Marnano venne data a tale abbazia, probabilmente o nello stesso secolo, o nel susseguente, la terra nella quale essa trovavasi fu da uno di questi vescovi conceduta in feudo ad una famiglia d’Asti, la quale indi da essa si denominò, vedendo un suo membro segnarsi Ruffinus de Montafia tra i feudatari di quella chiesa ad un atto del vescovo Giacomo del 12292. Continuò tal casato, come risulta da investiture e giuramenti di fedeltà, a possedere questo feudo sino ad oltre la metà del XVI secolo, e l’ultimo fu un Ludovico, che essendo mancato nel 1577 senza lasciare che due sole femmine3, fu cagione che Gerolamo Della Rovere arcivescovo di Torino lo dichiarasse devoluto alla sua mensa, per investirne poi Lelio suo nipote per parte di fratello, il che non potè avere il suo effetto stante le instanze sporte a Roma dalle figlie di Ludovico; onde Gregorio XIII ordinò al suo nunzio a Torino di prenderne possesso sinchè fosse deciso se potesse tal feudo passare a femmine. Quattro anni però dopo Gregorio XIV, senza badare ai diritti del vescovo od altro, direttamente ne diede l’investitura al suo nipote Francesco Sfondrati, nella cui famiglia rimase sino al 1667, quando Filippo, Ercole e Francesco, col consenso della santa sede, lo vendettero a Carlo Emanuele Filiberto Simiana, marchese di Pianezza, generale al servizio di Savoia, il quale ottenne da Clemente X con breve delli 37 agosto 1673 che il feudo di Montafia, che già aveva il titolo marchionale, fosse eretto in principato, colla prerogativa di poter conoscere in terza instanza le cause civili e criminali, col diritto di grazia e morte, ac tam aureas quam argenteas et cuiusvis alterius solitae materiae monetas suo nomine principis, alias tamen sub imagine, insigniis et auspiciis dictae sedis apostolicae . . . . . cudi facere (Documento IV).
Quantunque il nuovo principe avesse a Roma chiesto ed ottenuto il privilegio della zecca, tuttavia nessun indizio sinora scoprii per poter solamente sospettare che abbia di tal diritto usato, e causa di ciò è probabile che sin stato il trovarsi alla corte di Savoia molto dal duca amato cd uno dei principali suoi consiglieri, per il che conosceva come una nuova zecca nel Piemonte non poteva che dispiacergli per timore del danno che ne sarebbe potuto ridondare a’ suoi sudditi, il che appunto giornalmente accadeva per quelle di alcuni signorotti, coi quali perciò si erano aperte trattative per ottenerne la chiusura, oppure perchè datosi alla vita ascetica, e ritiratosi nella casa della missione in Torino, più non badasse alle cose mondane; fatto sta che nessuno conobbe monete col suo nome essere mai esistite.
Morto egli presso i detti padri li due giugno 1677, suo figliuolo ed erede Carlo di Simiana, essendo in disgrazia della corte, era passato al servizio di Francia, e non rientrò che sul finire del 1680 in Piemonte dove ottenne alti impieghi; ma due anni dopo, venuto in sospetto alla duchessa madre e reggente che avesse consigliato il giovane Vittorio Amedeo II di non sposare un’infante di Portogallo, pel quale matrimonio questi avrebbe dovuto stabilirsi a Lisbona, venne rinchiuso nella fortezza di Mommegliano e vi stette sino al novembre del 1686, indi rilegato nel suo castello di Pianezza sino all’apertura della guerra contro Francia nel 1690, alla quale prese parte sino alla pace. Dal 1697 adunque rimase tranquillo in seno alla Famiglia sino al 1702, nel qual anno ricominciata la guerra, servì sino alla morte che lo sorprese in Torino li 6 settembre 1706, cioè il giorno prima che la cittì venisse liberata dall’assedio messovi dai Francesi.
La ragione di stato per parte dei nostri Sovrani, e la vita continuamente burrascosa di Carlo, devono avergli impedito di mettere in esecuzione il diritto acquistato della moneta, oltre che trovossi senza discendenti maschi, e con sole due figlie, delle quali la primogenita circa il 1700 maritò con Michele Imperiali principe di Francavilla, patrizio genovese stabilito in Napoli, onde a questo casato passarono tutti i feudi dai Simiana posseduti in Piemonte, compreso Montafia. Essendo nel 1782 mancato senza prole Michele nipote del suddetto, il principato, per convenzione fatta con Roma, venne ceduto al re di Sardegna, e cosi ebbe fine questo feudo ecclesiastico.
Note
- ↑ Historiae patriae monumenta. Chartarum Tom. I. Taurini 1836, col. 746.
- ↑ Ibidem, col. 1306.
- ↑ La primogenita Anna, che si intitolava contessa di Montafia, sposò nel 1601 Carlo di Borbone conte di Scissons, e fu madre di Maria moglie di Tommaso di Savoia, stipite dei principi di Carignano, re d’Italia. (Anselme, Histoire genealogique de la Maison Royale de France. Tom. I. Paris 1726, pag. 350)