Novella (Giovanni Guidiccioni)

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Giovanni Guidiccioni

XVI secolo Novella Intestazione 4 ottobre 2017 50% Da definire

Messer Francesco godendo una donna in Padova, si parte: ella si dona in assenzia a un amico di messer Francesco, il qual tornato e scoperto la cosa, ammazza l’amico: la donna lo perseguita, ed egli si fugge.

Ogn’ora ch’io vado, Signor mio valorosissimo, con gli occhi della mente ben riguardando quanto per nobiltà di animo, per virtù d’ingegno e per eccellenza di costumi da tutti gli altri diviso siate, di tanto più fervente desiderio mi accendo a dover procacciarmi lode per esser caro a voi; il quale, come rosa nata tra le spine delle mie sventure, molto più ch’alla mia bassa condizione non si richiede, m’avete sempre amato, lodato e in somma a tutti quelli onori alzato, che per voi si è potuto più grandi. Per la qual cosa ho giudicato sanissimamente fatto certi casi amorosi, li quali ho novellamente in parole sciolte tessuti, indrizzarvi, e sotto l’ombra vostra mandargli fuori, come, la quale openione firmissima porto, che molto più di gloria me ne debbia venire, e che voi siate per tenermi dalli acuti detti della invidia (se tal sono che la invidia mi degni) del tutto difeso. Lassando adunque per alquanto spazio di tempo alli vostri profondi pensieri riposo, prender non vi sdegnate (quanto Augusto, la cui fama non pur gli estremi della terra, ma ancora le stelle tocca, i versi del greco vile offertigli con serena fronte ricevea, di leggerli in sino al fine non si sdegnava), sì perché tanto di bene opererete, che quel frutto, il quale delle mie fatiche attendo, ricoglierò; sì ancora perché non vi sarà (se io non me inganno) discaro, veduto quello che ad un senese incontrasse, per lassarsi senza aver alcun riguardo a cui lo inganno ordisse, dalla non temperata volontà signoreggiare; che così fosse piacer d’Idio che il simile di tutti quelli avenisse, i quali cercono di macchiar la pura fede e di corromper le sacratissime leggi dell’amicizia, la quale è di tanta maggior riverenza degna, quanto meno (mercé del guasto mondo) alli animi schivi d’ogni buon costume si apprende!

Dico adunque che in Padova, antichissima Città è non meno per li suoi passati e per li studi che vi fioriscono famosa, che grande, fu, non ha molti anni, una giovane di legnaggio assai gentile e de' beni della fortuna e di bellezze convenevolmente dotata, della quale uno scolar bresciano, il cui nome era messer Francesco, il quale quivi ad apprender Filosofia era venuto, oltra misura s’innamorò, e ella, percioché da l’uno de’ lati la fama, la quale chiarissima suonava delle suoi virtudi, l’avea l’orecchie tocche, e da l’altro lo vedea bello e di leggiadre maniere, similmente di lui si accese; e per che rare volte avviene, che non abbia effetto quello che l’una parte e l’altra desidera, molto tempo non s’interpuose che la donna, essendo il marito per certi maneggi di mercanzie andato a Vinegia, dove il più del tempo si dimorava, a sé lo intradusse, e insieme presero quel piacer, oltra al quale ninno maggior se ne può (ch’io creda) sentire. E continuando questo loro diletto, avvenne, che il padre dello scolar, il quale era di anni pieno, gravemente infermò; e sentendosi a quel fine venire, al quale chiunque ci nasce conviene che corra, di voler vedere il figliuolo, in cui avea la maggior parte delle sue speranze riposto, domandò molte volte, affermando ch’a quell’ora poi non morrebbe, che consolato non morisse. La onde fu mandato a Padova, e scritto al giovane, che senza indugio dovesse venire a porgere l’ultima allegrezza al padre, che porgerli dovea già mai. Il valentuomo intendendo la novella, la quale nel vero esser doverebbe dolorosa a ciascuno che non sia dal vero conoscimento tolto, fieramente si turbò, non perché la morte del padre li arrecasse noia, della quale non altrimenti si curava che se egli fosse per dover andare per via di diporto in villa, ma perché li conveniva partire dalla sua cara donna; la quale avanti ad ogni altra cosa, e sopra la sua vita amava: e varie cose tra sé medesimo rivolgendo, fu moltissime volte tutto che tentato di trovar sue scuse e rimanersi in Padova. Pur da debita vergogna punto, e giudicando il suo ritorno dover esser corto, deliberò finalmente di andare, ma non prima però, che alla donna noi facesse sentire, con la quale per ordine tra lor dato si dovea la seguente notte ritrovare.

Or quante fossero le pietose parole, gli accesi sospiri, le amare lagrime dello scolaro, quante quelle della donna in su questa partita, coloro ne rendono piena fede, li quali hanno provato o provono le fiamme delli strali d’amore. Rimasa adunque la donna assai sconsolata, avvenne, che un sanese chiamato messer Giorno, il quale quivi similmente ad imparar senno era venuto, percioché di bisogno n’aveva, essendo messer Francesco ed il marito di lei lontani, e sappendo la donna, ch’egli era consapevole di questo suo amore, pensò che agevolmente venire li potrebbe fatto. Lassati adunque passar due giorni, sì come destro li venne, fece alla donna sembiante di doverle di cosa molto importante parlar; e ella, che troppo bene giocava alla mutola. la sera, come prima vide ciascuno della sua brigata adormentata, voluntarosa di udir novelle del suo amante (che tali se dava a creder che fossero), ad una graticola della loggia, la quale sopra la strada rispondeva, se ne venne: né si presto ve giunse, che vide e conobbe il sanese che l’attendeva; il quale accostatosi subbitamente alla fenestra, con quel modo che seppe il meglio salutò la donna, e fecele a sappere, comm’egli era quivi venuto per ragionar seco un caso strano ed appartenente a lei; il quale perché sì presto non averebbe appieno potuto racontar, e lo starsi fuori potrebbe esser con poco onor di lei, pensava ottimamente fatto, che gli aprisse l’uscio. La donna, a cui non pareva troppo del gioco il mescolarsi così domesticamente con costui, li rispuose, che non voleva, a patto che fosse, aprire; e che se egli voleva di alcuna cosa, o buona, o cattiva, favellare, che agiatamente poteva farlo quando ella più che volentieri le orecchie era a prestargli acconcia.

Il giovane poi ch’ebbe più e più volte fatto intender, che se non lo lasciava entrar, per verun modo non direbbe quello, che se ella non sappea, le potrebbe esser di troppo più danno cagione che non se avvisava; e che tarda a pentirsi se ne dorrebbe. E poi che apertamente ogni fadiga, ch’egli vi spendesse conobbe vana, quasi proverbiandola si dipartì. La donna a cui amore avea già assottigliato lo ingegno, assai leggiermente s’accorse, che il buon sanese avrebbe voluto la giumenta del suo compagno cavalcare, a cagione ch’ella non s’impoltronisse; e restata tutta sola, seco medesima cominciò a dire: «Che debbo far? perché non prendo questa ventura che mi si para dinanzi? che so io se di qui a buon pezzo mi tornerà? Io amo messer Francesco, e non mi rimarrò fin ch’io viva d’amarlo, ma per pigliarmi il tempo quand’io posso, scemo io però punto del nostro amore? togliomi io in guisa a lui ch’io non possa sempre rendermegli? Certo no; che ogn’ora che occasione mi sarà prestata, sarò sufficiente poternegli cavar la voglia, se ben fosse tutto di acciaio, né mi doverebbe ritrare da questa impresa il pensar che siano compagni, conciosia cosa che avendo costui lo intendimento di messer Francesco, potrà ancora, poi che tornato sarà, più sicuramente di questa dolcezza goder, senza ch’egli lo risappia mai; posto pure ch’egli lo intenda dire, a sé medesimo si dorrà, come quello il quale dovea con più maturo consiglio guardar di cui si fidava e di non mi abbandonar come egli ha fatto; né sono ancora sì stolta ch’io creda che se egli trovasse cosa la quale a grado gli fosse, che avesse riguardo a tanto amor che li porto, a doverlasi prendere, ed oltre a ciò, chi mi rende sicura ch’egli sia per dover ritornar? Se il padre muore, si darà a governar gli fatti suoi, e dimenticatosi di me, o prenderà moglie, o diverà vago di altra donna, onde io mi rimarò a numerar i travicelli del solaio e quante dita ho nelle mani, che quel bestione del mio marito si sta a Vinegia, e mi lassa soletta, credo, perché mi pasca di vento, benché alla grazia di Idio, quando egli è qui mi fa soffrir sì lunghi digiuni, ch’io avrei ragione di piantargli le corna, non pure in capo, ma dinnanzi a gli occhi. Io son donna, e le donne non possono senza grandissimo affanno d’animo e pericolo de infermità resister a’ caldi stimoli della carne, che pure ora mi ricorda quelle che quel santo frate mi disse ultimamente quando mi confessò, ch’essi, che uomini sono e di santissima vita, sono molte volte forzati a far delle cosette; e non solamente non mi dié penitenza di quello che io m’avesse fatto con messer Francesco, ma toccandomi sotto il mento, mi disse che tal’ora mi verrebbe a visitare a casa, perch’io era la miglior figliuola spirituale del mondo; e questo è fermo argomento, che le altre non si tengono le mane a cintola, anzi si adoperano molto meglio che non faccio io, e parmi esser certa, che non potrei con altra persona meglio adagiarmi, il quale oltra che sia di bella presenza, e per quello ch’io ne intenda, di sangue assai chiaro, egli sempre guardiano è stato de’ nostri amorosi furti: ch’io me fermassi in su questo così duro pensiero, egli per avventura potrebbe, manifestando i nostri amori, acquistarmi vergogna tale, ch’io non sarei già mai il rimanente della mia vita lieta. Laond’io mi dispongo (che avvenire se ne debba) di sattisfare interamente, s’egli me ne richiede (che così a Dio piaccia) alle sue voglie: e se non procederà tanto innanzi, né si curerà di quello ch’io vado immaginando, io saprò pure quello ch’egli mi vorrà dire». Con tali ed altri pensieri trapassò quella notte e grandissima parte del giorno che venia appresso, verso la fine del quale sappendo ella che messer Giomo aveva in costume a tal’ora per quelle contrade passare, si misse ad attenderlo alla finestra: il quale non fece molto induggio, che vi comparì, e veduta lei, la qual tutta lieta lo ricevette, si mostrò fortemente addirato, e senza troppo ficcarle gli occhi addosso, andò via. La donna cominciò tanto più ad accendersi nel pensiero di dover parlare ed esser con costui, quanto li pareva di veder che egli meno se ne curasse; e deliberossi fermamente, s’il giovene altra volta faceva quel camino, di voler lui con suoi cenni a dover venire la sera a ritrovarla invitarlo: e così poco di poi li fu aperta via di poter farlo. Per la qual cosa veduto il sanese che le sue germinelle gli avevano fatto agio a dover venire a quello che di lei fer ventemente desiderava, si tenne il più contento e il più appagato uomo che mai nascesse, e a gran fatica per l’allegrezza capeva in sé medesimo; per che, come prima tempo gli parve, forbitosi tutto e rivoltosi ne’ profumi, alla casa della donna ne andò lietissimo, non sappendo il malvagio e disleale, che a Idio, il quale con giustissimi occhi l’umane operazione riguarda, di così fatto inganno ne verrebbe il lezzo, che per ch’esso e gli altri sanesi reputino essere astuzia e piacevolezza non riguardar né parente, né fratello, né amico nelle imprese de amor, egli è però cosa non solo di reprensione degna, ma di aspro castigamento: avvenga ch’io stimi (e così credo che ciascheduno che dello sciemo non senta) faccia, sopra tutte le altre, perdita grandissima, rimaner privo di quella cosa ove la stanca vita de’ miseri si appoggia; ove ogni riposo, ogni pace, ogni gioia si ritruova, e dalla quale ora mercé della luce de’ begli occhi, ora della scavitate delle parole, ne sentiamo alzar, anzi riporre nelle più beate parti del Cielo. Ora tornando ond’io mi diparti’, dico, che messer Giorno fu dalla donna finalmente messo in casa, né sì tosto vi fu, che in luoco di raccontar le meraviglie che promesso gli aveva di far, se gli avventò sconciamente adosso, e abbracciatala la cominciò saporitamente a baciare. La donna ritrosetta anzi che no, tentò più volte dispiccarse da costui, spesso domandandoli della cagione che quivi condutto l’aveva, quasi non conoscesse ch’il buon uomo avrebbe voluto arrotare i ferri, li quai la ruggine che vi si era racolta, maravigliosamente rodea. Il quale dopo che gli parve che la donna meno cercasse di fuggirli di braccio, sé per soverchio amore, che gran tempo l’avea portato, esser vicino a morte le discoperse, mostrandole con quelle ragioni che Bartolo gli aveva insegnato più sottili, ch’ella dovea a lui senza alcun dubio compiacere; aggiungendo, che dove questa grazia gli fosse da lei negata, che disposto s’era di più non voler esser al mondo, ma che in presenza di lei con quella spada, la quale egli portato avea si passerebbe il petto, di che ella non potrebbe se non grandissimo biasmo e danno riportarne. Sentendo la donna le ragioni, delle quali gran parte aveva prima ella considerato, e temendo non forse costui mandasse ad effetto quello che detto aveva, vedendosi destro e al buio, e spingendola la voluntà, senza molte altre difese s’arrecò a dover far gli suoi piaceri; e così valorosamente si seppe il sanese rimestar, e per sì fatta maniera racconsolò la donna, ch’ella si chiamò per contenta; e discretamente e con più aggio molte delle altre volte ritrovandosi insieme, avanti ch’egli restasse, ebbe nel capo alla donna messo, che fosse ben fatto il lasciar andar messer Francesco con la sua buona ventura. La donna, la quale aveva costui ritrovato più franco Cavagliene nelle amorose battaglie, e desiderava di lassarli per credenza che non quello appetito sfrenato e ardentissimo che suole (il pur dirò con vostra pace, bellissime donne) la maggior parte di voi tirar, ma vero amor l’avesse constretta, a concedergli di sé medesima intera copia, di leggiero vi s’accordò. In questo mezzo tempo messer Francesco, morto il padre, e assestati in pochi giorni li fatti suoi, parendoli d’esser mille anni stato, a Padova se ne tornò, e dove pensava di trovar riposo del longo affanno e di trapassar altre tante notti in riso, quante egli aveva fatto in pianto, ritrovò la donna, la qual del tutto s’era tolta dal più compiacerli; e non solamente non voleva alcuna sua parola ascoltar, ma lui, come il diavolo fosse, non voleva in alcuna maniera vedere, e in cosa che potesse fargli dispetto, non ne lassava a far tratto. Di che egli ne venia pessimamente contento: né meno di maraviglia ne prendeva, che di dolore, pensando che senza alcuna sua colpa, gli conveniva perder quello che egli sopra ad ogni altro acquisto riputava grande. E poi che tutte le forze dello ingegno operando, conobbe che a nulla del suo desiderio poteva pervenire, gli cadde nell’animo un pensiero; e senza ragionarlo col suo compagno (il quale per dimostrarsi tenero della vita, e dell’onor di lui l’aveva assai fiate ripreso e ordito longhe favole per rimuoverlo da quello a ch’egli di rimaner solo desiderava), s’ingegnò di mandarlo ad effetto, e gli fu in ciò la fortuna in qualche parte favorevole. Era a quella della donna una casa congiunta, la quale abitava un certo Bartolomeo venditor di berrette, uomo di picciole facultadi, ma d’animo grande e antichissimo e mortale inimico del marito di lei. Con costui si diede messer Francesco a prender domestichezza, avendo quasi per fermo, ch’esser gli dovesse favorevole; né passarono dieci giorni, che vedendosi Bartolomeo e carezzar ed onorare, infinito amore e oltra al convenevole mostrava di portar a messer Francesco, il quale sempre guardandosi dalla donna e da messer Giomo, temendo che l’una, caduta in sospezione di questa amicizia non si sviluppasse da’ lacciuoli, che egli le tendeva, e l’altro agramente, come far soleva lo riprendesse, ultimamente si risolvette di spiegare a costui la intenzion sua. Invitatolo adunque una sera, dopo che la cena fu terminata, gli disse: Bartolomeo, le tue gentilezze e la passione ch’io porto nell’animo mi dona ardire a porgerti al presente caldissimi prieghi che tu voglia esser contento, dove, né disonor, né danno te ne segua, di far tuo un mio volere — . E quivi fattosi dal principio del suo amore, e narratogli il tutto distesamente in sino al fine, lo venne pregando, che in luoco di somma grazia volesse una sera per un muro della sua corte lasciarlo montar in su un portico della donna, onde egli avrebbe poi comodità di entrar in camera senza che alcuno veder lo potesse. Bartolomeo sì per l’odio che portava al vicino e nelle sue cose, sì perché era amorevole (come esser sogliono i padovani de’ forestieri), e di messer Francesco teneva conto, rispuose, sé esser presto, sì veramente se caso veniva che fosse scoperto, che dovesse non per quella via ma per l’uno de’ due usci della casa di lei uscirsene. Cotale ordine avendo tra loro dato, la sera dopo messer Francesco, guarnito di sue arme, a casa di Bartolomeo ne andò; e per opera di lui nell’ora che la donna cenava fu fatto salire in su il portico, e quindi chetamente entrò nella camera di lei, e missesi a star sotto il letto con fermo proposito di aspettar ch’ella si colcasse, e poscia scoprirse, e tentar ogni via di rientrar in possessione de’ perduti beni. Ma egli si ritrovò del suo disegno oltra modo ingannato, percioché la donna, aspettando quella notte il suo messer Giomo, non solamente non s’andò a colcar, ma ella non si spogliò, né si mosse altrimenti di quello ch’ella era; anzi sentendo le sei ore, pianamente andò ad aprir al suo amante. Messer Francesco, veduto prima che la donna non si veniva a dormire, e di poi sentendola di camera uscire, troppo bene s’avisò ch’ella aveva paglia in becco, e tutto doloroso attentamente stava, per vedere ed udir quello che voluto non avrebbe; quando ecco venir la donna col suo messer Giomo, li quai non si presto furono entrati in camera, ch’ella gli si gettò al collo e tenerissimamente stringendolo e baciandolo, pareva che struger se ne sentisse. Il misero, il quale sotto il letto s’era nascoso, ogni cosa ottimamente vedendo, da amarissimi pensieri accompagnato, presso fu che di doglia non morì. Or pensate, Signor mio, se per alcun tempo questo rabbioso spirto di gelosia ha potuto trovar albergo nel vostro petto (come ch’io porte altra credenza, sappendo che voi governate il regno d’amor come più vi aggrada), con che acute saette lo innamorato giovane trafigger si sentisse. Questo è veramente quel dolore, il qual tanto più avanza ogni altro, quanto il vostro ingegno tiene il primo grado tra i più lodati: questa è quella temenza la qual conduce per mille vie fredissimo veleno al cuore: questo è quello assenzio, questo è quel fele che stempera ogni amorosa dolcezza: questa è al fine quella passione, la quale lo intelletto ne adombra, da ogni ragione ne diparte e il più delle volte contra noi medesimi ne fa incrudelire. Ma perché assai vagato sono, tornando al mio lavoro, dico che dopo che la donna ebbe il sanese con quella allegrezza ricevuto, colla quale qualunque cosa cara si suole ricever, si accordarono a dispogliarsi ed entrar nel letto, sì come molte volte usati erano di fare. E quivi poi che la prima danza ebber fornita incominciarono a favellar di messer Francesco di maniera, ch’egli poteva quasi ogni cosa udire, raccontando la donna da una parte tutte le ingiurie, le quali, quando più destro le veniva, s’ingegnava di fargli; e dall’altra messer Giorno le parole ripetendo, le quali gli faceva di bocca uscir, e i buoni consigli i quai d’ora in ora li dava. In tanto messer Francesco, raccolto in uno pensiero gli oltraggi dalla donna ricevuti, la perduta speranza e il vedersi da colui, nel cui petto ogni suo secreto riponeva, sì fieramente ingannato, gli venne assai volte in desiderio di uccidere ambe due, ma pensando che venir non li poteva fatto senza grandissimo suo pericolo, deliberò d’indugiar fino a tanto che con più acconcio modo potesse mandar ad effetto il suo fiero proponimento. Finiti adunque i due amanti gli loro dilettevoli congiungimenti, e partitosi messer Giomo, la donna, la quale al suono de’ bacci aveva ballato ben quattro volte, stanca si addormentò. Per la qual cosa messer Francesco di sotto il letto uscito, non parandoli la cortina tanto il lume, che scorger non potesse la donna; si fermò alquanto a rimirarla, e di poco rimase che non la baciasse e non se le colcasse a canto; nientedimeno nella memoria tornandoli le offese tante, le quali contra ogni debito di ragione sofferte aveva, nello sdegno raccesosi, l’uscio della strada della donna chetamente aprendo e riserrandolo, senza altro dire a Bartolomeo, il quale stava svegliato ad aspettar, dolente a morte a casa sé stesso trasportò, dove maladisse più volte la sua sventura, e seco medesimo propuose quello che fare doveva: perché, venuto il giorno, e incontratosi in Bartolomeo, lo ringraziò molto, affermando d’aver avuto interi i suoi diletti. Di che Bartolomeo rimase contento, parendogli che la cosa fosse a miglior fine riuscita, che non si stimava, e con quel viso che seppe più lieto finger raccolse messer Giomo, il quale per riportare qualche bel detto alla donna, a casa visitatolo era entrato con lui in parlamenti, e sforzavasi di farlo dire, ed egli troppo bene li compiaceva. Ma venendo il giorno a fine, e dicendo messer Giomo di voler andar a risolversi di uno articolo di leggi, il quale cominciato aveva, si divisorio, l’uno pensando di vendicarsi, e l’altro non di studiar, che la voglia fuggita ne gli era, ma di dar le mosse alli tremuoti: e mentre che in questi pensieri dimoravano, messer Giomo avvicinandosi l’ora di dover esser con la donna, che così restati erano d’accordo, si uscì di casa; né fu appena fuori, che messer Francesco, il quale aveva quest’ordine inteso, lui assalì, e senza che potesse apprestarsi alla difesa, incontinente uccise, ed a casa se ne tornò, ove parendogli di aversi vendicato e tolto ogni impedimento che nuocer li potesse, cominciò a cangiar quella rigidezza, della quale poco inanzi s’era armato a destruzione della donna, altresì in piacevoli e dolci pensieri, e ad ingegnarsi di riavere per astuzia quello che per fervente amore non poteva avere. Per la qual cosa uscito fuori, e di panni in guisa vestitosi che facilmente allo scuro messer Giomo poteva parere, alla donna se ne andò, la quale avendo buon pezzo aspettato, giudicando costui il suo amante, li aperse e con dolcissimi baci lo ricevette. Onde prestamente egli abbracciatala con grandissimo suo disconcio (se disconcio si può sentire in così fatte dolcezze), e con non poco piacer della giovane fece quello che focosamente bramato aveva. La quale, percioché alcuna volta messer Giorno fatto l’aveva di cotali assalti, non si maravigliò punto, ma dato all’opera compimento, aviatasi su per le scale, lui ne guidò alla camera. Dove (mercé del lume, il quale acceso era) scoperto lo inganno, rimase la più dolente femina che mai fosse, e senza altro dir da gran vergogna vinta, gli occhi in terra abassò. Messer Francesco, dove riprender la doveva, la cominciò a pregare, che li piacesse di rendergli la sua grazia, avvenga che egli era sempre a lei stato vero e fedelissimo amante, e che messer Giomo, il quale ella ardentemente amava e in cui aveva ogni fidanza, come poco di lei curante, l’aveva e ingannata e tradita, conciosia cosa che quella sera, dovendo egli ad altra donna andare, era venuto a trovar lui, e promessogli di più non impacciarsene, e che per fargli di ciò fede l’aveva in suo cambio mandato a lei, accioché ella maggiormente se ne turbasse, e si togliesse da ogni speranza di dovergli esser cara. E per dar di ciò più intera credenza alla donna, le raccontò quasi tutte le parole che la notte avanti detto avevano di lui. La quale, dolorosamente piangendo, cominciò a pregarlo per solo Idio, che gli fosse in piacer di andarsene, conciossia cosa ch’ella s’aveva in quel punto messo nel cuore di più non voler né a lui né ad altra persona, mentre che vita le durava, sottoporsi, e che dello inganno, il quale da messer Giomo ricevuto avea, altramente non farebbe vendetta. Messer Francesco, tenendo lei continuamente stretta, la confortava e pregava, mescolando egli ancora con le parole alcuna lagrima; ma quanto più si affaticava intorno a ciò, meno ritrovava la donna alli suoi prieghi arrendevole. Poi che lungamente pregata e scongiurata l’ebbe, si dispuose di farle forza, avisandosi, che come ella cominciasse a gustar quella soavità, ogni sdegno si dileguerebbe. Ma tutto fu nulla, perciò che la donna adirata e inritrosita, non pure lo faceva stare di fuora, ma sudar e affannarsi molto di più ch’egli voluto non avrebbe. Stando adunque in questo contrasto che divisato v’ho, o fusse per la molta fatica, o perché si sentisse rimorder la coscienza per lo comisso omicidio, e temesse non costei crucciata lo scoprisse, la qual di leggiero poteva ciò imaginare, o pure l’uno e l’altro insieme, venne messer Francesco in così fatta angoscia, che tramortito in terra cadde di maniera, che in lui pareva ogni segno di vita spento. La donna da tante e sì diverse passioni soprapressa, rimase non altrimenti che un morto sasso; e poi che per buono spazio stette a rimirar questo spettacolo, e lui più volte ebbe tocco e smosso, né potè farlo in sé medesimo ritornar, li parve esser certa che il giovane fosse morto. E vedendo che se troppo se ’l teneva quivi, il nuovo giorno vel troverebbe, le corse per la mente uno strano modo di liberarsi; e raccolte con l’altezza dell’animo le smarite forze, si diede a cercar in un suo forcier (perciò che fune senza destar la brigata aver non poteva) di certe fascie, le quali aveva l’anno innanzi fatto far per un suo figliuolino; e ritrovatele, e quelle insieme congiunte con nodi strettissimi, il giovane quasi morto legò; e aperta una sua finestra, la qual riusciva in una vietta non molto usata, soavemente vi el pose su, ed a un colonello di marmo, il quale l’una finestra dall’altra partiva, accomodatolo, data prima una volta in torno con le fascie per poter più agevolmente sostenerlo, lo calò a terra, e di tanto l’amò Idio, ch’egli non ebbe altro male, salvo alcuna volta or con la testa, or con le gambe toccar il muro: onde ella andata la giù e lui sciolto, si misse a prenderlo a traverso per alquanto portarlo dalla sua casa lontano; né potendo reggerlo così bene, lo lasciava con le gambe quel poco di fango che vi era ricoglier. Per la qual cosa il povero giovane, risentitosi, gettò un gran sospiro e disse: — Oimè! dove son io?— La donna più spaventata di trovar ch’egli fosse vivo, ch’ella non fu poco innanzi di vederlo morto, lassatolo e delle reni e del capo percuoter a terra, si fuggì in casa. Il giovane quasi fuori di sé medesimo, dopo che fu alquanto stato, a casa con gran fatica si condusse. Varii e grandi furono la mattina i romori tra gli scolari della morte di messer Giomo, e molte cose dette, ma niuno toccò del vero, né vi si appressò, il quale quello stesso giorno, secondo il suo grado, fu onorevolmente seppellito. La donna, la quale il caso sentito aveva, come che la notte fosse di sdegno infiammata verso di lui, ne le prese maravigliosa pietà, e tanto più ch’ella subitamente s’imaginò che fosse da messer Francesco stato ucciso: e per la memoria riducendosi l’aver trovato l’uscio della sua camera aperto quella mattina, la cui precedente notte era stata con messer Giomo, pensò poter esser ch’egli fosse stato ad ascoltar: ed all’ora nella quale messer Giomo fu morto, e ad ogni cosa sottilmente riguardando, ebbe per fermo che così fosse. Per la qual cosa, temendo non forse il mal fattor si ritrovasse; o da lui fosse a lei qualche vituperoso scherzo fatto, o veramente che di questo amor facesse parole con altri, mandò l’altro giorno per una vecchia, la quale per adietro in casa della madre di lei era gran tempo stata, e al presente col filar e con lavorar panni la sua vita reggendo, con un suo fratello si riparava, e pregolla che volesse far sì ch’il fratello, il quale era sergente del Podestà, venisse incontinente a lei; e così fu fatto. La donna, ungendoli prima la mano, porse al sergente quei prieghi che poté maggiori, che volesse ad uno, il quale gli mostrerebbe, far comandamento da parte della Magnificenza del Podestà, che subbito dovesse comparirli dinanzi. Il sergente ben che mal volentieri vi si arrecasse, per lo pericolo che gli soprastava, pure dicendoli la donna che mal veruno non era, e promettendoli di cavarlo d’ogni danno, fu contento. Postasi adunque la giovane non meno animosa che avveduta alla finestra, e acconcio il ser gente in parte che poteva senza esser veduto scorger chi passava, non stette molto che l’amico, piè avanti piè mettendo, vi giunse; al quale la donna fece una bruschissima cera, e poco poi gli attaccò alle spalle il valent’uomo, il quale facendo diligentissimamente l’uffizio, misse in tanto spavento il cattivello di messer Francesco, che presi quei pochi denari ch’egli aveva, le robbe al patrone della casa racomandate, così come si trovava, a piede si misse la via tra gambe, e di Padova s’uscì ; parendogli non meno in dubbio della vita, che invano, per racquistare l’amor della donna, dimorarvi; né mai si ritenne fino a tanto che a Brescia fu giunto. Dove tra la paura ed i disagi, dopo corta vita si crede, ch’egli morisse, come che molti affermano che della beffa accortosi, per mezzo di un suo parente scolar li ne rese ottimo merito.