Novelle (Bandello, 1853, I)/Parte I/Novella XIX

Da Wikisource.
Novella XIX - Faustina e Cornelia romane diventano meritrici, e con astuzia hanno la grazia dei mariti
Parte I - Novella XVIII Parte I - Novella XX

[p. 197 modifica]di questo certissima fede. – E alora chiamato a sè il fido suo cameriero, che Guido aveva nome, così gli disse: – Guido, vogliamo darti moglie, tale qual noi per il nostro figliuolo eleggeremmo. Tu sposarai la figliuola di messer Bellincione che qui vedi, e noi per dote sua ti daremo il Casentino e molte altre nostre castella che sono in Val d’Arno. – Mandò poi a chiamar tutti i suoi baroni e gentiluomini di corte, e messer Bellincione andò e condusse la bella ed onesta Gualdrada, e l’imperadore, a la presenza di tutti manifestato il suo amore e la prudente e savia risposta de la vergine, si cavò un anello di dito di grandissimo prezzo e a Guido il diede, con il quale egli alora sposò la bella Gualdrada. Fu fatto quel giorno medesimo il privilegio de la dote che Ottone aveva promessa, e sempre egli si chiamò cavaliero di Gualdrada, e come fu da Guido sposata, l’imperadore la basciò in fronte e la raccomandò a Dio, e più non la volle vedere. Da Guido e da Gualdrada vennero due illustrissime famiglie, una dei conti Guidi e l’altra dei conti da Puppio, che tennero gran tempo la signoria che l’imperadore in Val d’Arno e in Casentino aveva data loro. Furono poi al tempo di Filippo Vesconte duca di Milano da questa nostra Republica discacciati, ed alcuni di loro si ridussero in Romagna, e da costoro sono discesi i conti da Bagno, ch’oggidì possedono in quello di Cesena molte castella.


IL BANDELLO AL MOLTO ILLUSTRE SIGNOR IL SIGNOR GERONIMO ADORNO SALUTE


Quanto s’ingannino, magnanimo signor mio, quei mariti che, sprezzato l’amore de le sposate lor mogli, a l’altrui maritate attendono, ancor che tutto il dì si veggia per i molti accidenti che accadeno, nondimeno da una novella, che già molti dì sono che scrissi stando a Roma ed ora al nome vostro consacro, potrete facilmente comprendere. Nè minor errore stimar si deve che commettino quelle donne, le quali, accorgendosi che i mariti per risparmiar quel di casa attendono a logorare quel di fuori, con ogni ingegno a porgli il cimiero di cervo in [p. 198 modifica]capo si sforzano, perciò che e i mariti mertano biasimo grandissimo rompendo la fede maritale, e le donne sono di grave castigo degne macchiando i consorti di macchia tanto al mondo abominevole e vituperosa. Mi ritrovai sotto Giulio secondo, pontefice massimo, a Roma in castel Sant’Angelo, essendo ito per alcune faccende a parlar al molto letterato e vertuosissimo messer Sigismondo da Foligno, segretario di esso Giulio, il quale era con messer Gian Battista Almadiano, uomo dotto e segretario di monsignor Olivero Caraffa, cardinale di Napoli, ed altri gentiluomini, tra i quali era il mio gentilissimo signor Angelo dal Bufalo, e ragionavano d’un marito che quel giorno aveva ammazzata la moglie per averla ritrovata con un cortegiano. E dicendo il signor Angelo che cotestui era stato più avveduto d’un altro romano, fu da quei signori pregato a narrar come era stato il caso. Egli si scusava con dire che il caso era un poco disonesto. Ma l’Almadiano disse che non era male a narrare, a leggere od udire le cose secondo che erano seguite, ma che il male era a farle. Onde egli la novella narrò. E perchè accade a nomare la felice memoria del signor vostro padre, mi son mosso essa novella a donarvi, ed anco perchè ella abbia padrone come l’altre. Ella altresì, in questi vostri publici maneggi che di tutta Europa ne le mani avete, talora vi ricorderà il vostro Bandello, che tanto già amavate. Ma che dico amavate? Io son certissimo che l’amor vostro verso me è quello istesso che era in Milano, sì per il parentado che è tra l’illustrissima casa vostra e la mia, per madonna Adornina figliuola del signor Prospero Adorno e moglie del magnifico dottore e cavaliere messer Giovanni Antonio Bandello mio zio, come anco perchè sapete quanto io v’amo, riverisco ed onoro. State sano.


NOVELLA XIX
Faustina e Cornelia, romane, diventano meretrici, e con astuzia hanno la grazia dei mariti.


Poscia che il signor Gian Battista Almadiano m’assicura, signori miei, e mi leva la tema ch’io aveva d’esser biasimato, io vi narrerò quanto più brevemente mi sarà lecito come due donne romane trattassero assai vituperosamente i mariti loro, e come essendo state in chiazzo publiche meretrici fossero poi per buone e pudiche dai mariti accettate. E di questa istoria [p. 199 modifica]che ora vi dirò, ne fui, già sono molti dì, pienamente informato da persona degna di fede, che tutta la comedia sapeva. Dicevi adunque che sotto il pontificato di Alessandro VI fu in Roma un cittadin romano chiamato Marco Antonio, il qual essendo assai ricco di possessioni e bestiami, prese per moglie una Faustina romana, di sangue e di ricchezze a lui convenevole, ma molto più audace e scaltrita che a donna non conveniva. Avvenne che, non dopo molti dì, Marco Antonio vide una giovane maritata ad un altro cittadin romano, tenuta in quei tempi de le più belle di Roma, ma assai poco dal marito amata. Egli non prima la vide, che de la vaga bellezza di lei oltra misura s’accese, e tanto da l’ingordo appetito trasportar si lasciò, che tutto il suo amore pose in costei, e senza la vista di quella non gli pareva di poter vivere. Il perchè, gettata dopo le spalle ogni altra cura, solamente a questa attendeva, passandole bene spesso dinanzi a la casa, e di continuo la chiesa ove ella andava frequentando. Dopoi, parendogli aver da lei assai buon viso, con messi ed ambasciate la teneva assai sollecitata. Nè di questo contento, essendo assai ricco, con doni a più alta donna che ella non era convenevoli, ai suoi piaceri farla pieghevole si sforzava. Ora, a lungo andare, la giovane, che Cornelia era detta, ed ancora non si era lasciata intendere, al suo amante mandò, dicendo che quando egli non avesse avuta moglie, che ella sarebbe presta ad ogni sua voglia, e che abbandonarebbe il marito, fuggendo ove a lui più fosse a grado. Il marito di Cornelia era un giovine sgherro e di mala vita, che di lei nulla si curava, ma tutto il dì per quanti chiazzi erano in Roma spendeva vituperosamente il suo. Intesa questa risposta Marco Antonio, essendo de l’amor di lei accecato, cascò in umore di voler la moglie uccidere e con Cornelia fuggirsene, ma prima vender tutto quello che poteva e farsi una buona manica di denari per aver modo di vivere. Fatta questa malinconica deliberazione e in quella fermatosi, per un suo messo fece il tutto intendere a Cornelia, promettendole che mai non la abbandonarebbe e che tanti danari e gemme portarebbe seco, che potriano allegramente ove più loro piacesse starsi. Piacquero tutte queste cose a Cornelia, come a colei che voglia aveva, come fanno i falconi, di sorare, e l’animo suo a Marco Antonio fece intendere. Egli udendo questo, a ciò meglio in arnese si trovasse e potesse con più colore vender il suo, diede voce che voleva diventar mercadante e andar con certi genovesi in Soria. Cominciò adunque oggi una cosa e dimane un’altra a vendere, e del tutto, per più tosto spedirsi, far [p. 200 modifica]buon mercato. Voleva che Faustina sua moglie vendesse certe vigne ed altri beni che aveva, ma non lo volle far già mai. Era alora nel Tevere a Ripa un legnetto assai grande di catalani, che d’ora in ora aspettava tempo per partirsi. Il che da Marco Antonio saputo si prepose non dar più indugio a la cosa. E del tutto diede avviso a Cornelia a ciò che fosse presta per essequir quanto s’era ordinato. Il messo, che tra i dui amanti ordiva la tela, non permettendo il nostro signor Iddio che così scelerati pensieri avessero del tutto luogo, mosso da interna pietà, diede del tutto celatamente avviso a Faustina. Quando Faustina intese come il marito la voleva ammazzare e fuggirsene con Cornelia, ella restò piena di gran paura e di ammirazione. E stette per buono spazio di tempo che pareva più statua di freddo marmo che donna viva. Ma poi che, alquanto ricuperate le forze, ebbe da sè il timore discacciato, e conobbe il marito, non per mancamento che ella mai facesse, ma solo per l’ardente e libidinoso amore che a Cornelia portava, volerla uccidere, quanto più seppe ringraziò il messo e gli riempì le mani di danari, assicurandolo che mai non lo paleserebbe, pregandolo infine molto affettuosamente che non mancasse farle sapere il tempo del partire. Egli le promise d’avvisarla minutamente del tutto. Partito il messo, cominciò Faustina ad essaminar la vita del marito, e veggendo che oggi un campo, dimane una vigna vendeva, e che aveva voluto che ella vendesse i beni suoi immobili, tenne per vero quanto le era stato detto. E volendo a la mina del marito fabricare una contramina, ebbe segreta pratica con uno eccellente legnaiuolo e fece fare una statua de la grandezza che ella era, ma di modo fabbricata che se le accomodava benissimo la pelle d’una bestia a torno, a la quale ella, avendo inteso il determinato punto che il marito voleva ucciderla, acconciò certe vesciche piene d’acque rosse assai spesse a ciò facessero fede di sangue. Ella soleva la state ne l’ora del merigge corcarsi nel letto e dormire una e due ore. Onde il marito in quel tempo voleva ammazzarla. Ella venuta l’ora andò in camera, e la imagine fatta acconciò nel letto, che pareva proprio che Faustina fosse quella che dormisse. Avevale anche concio certe funi, per far a suo piacere, stando sotto il letto, scuoter l’imagine. Avendo poi di già messo tutto ciò ad ordine che seco voleva portare, che era roba, come dicono i soldati, da manica, dicendo a le fantesche che voleva dormire, si mise sotto il letto, serrate le finestre de la camera. Venne il marito a casa, ed intendendo che la moglie dormiva, mandò via due donne che in casa erano in certi servigi, che bisognava che [p. 201 modifica]stessero due ore a tornar a casa. Erasi già prima disfatto di quanti uomini soleva tenere. Fatto questo, se n’andò di lungo dentro la camera ove credeva che la moglie dormisse. Quivi arrivato, quanto più chetamente puotè se n’andò al letto, e per esser l’uscio aperto eravi pure un cotal birlume, dal cui splendore aiutato, vide, come egli pensava, la donna che sovra il letto boccone giaceva. E stesa la mano sinistra e quella posta sovra il capo de l’imagine, tirò fuor un pugnale e con quanta forza puotè quello ficcò ne le schiene a la statua. Faustina, che sotto il letto era e sentì la percossa, tirò le funi di modo che l’imagine tutta si scosse. Marco Antonio, pensando che la moglie volesse levarsi, le diede un’altra ferita e passolla di banda in banda. Era da la prima ferita uscito di quell’umor rosso pur assai, e medesimamente da la seconda. Il perchè egli, sentendo che la moglie più non si moveva, pensando quella portar via, prese la statua e quella in un necessario che in camera era gettò. Aveva di già fatto andar Cornelia vestita da paggio a la nave, su la quale, essendosi col padrone del legno convenuto, aveva anco mandato una cassa ne la quale tutti i suoi danari e gioie erano. E così, serrata la camera, se n’andò a la nave. Faustina, come sentì partirsi il marito e che già era fuor di casa, non ritrovando nessuno in casa, si spogliò i panni romaneschi e si vestì di vestimenti da cortegiana che apparecchiati aveva. E presi quei pochi danari che aveva, con alcune camiscie ed altre sue cosette, se n’andò di lungo a Ripa e col padrone del legno ove Cornelia era si convenne, fingendo esser da Barcellona. Il che poteva di leggiero fare, perchè sapeva benissimo la lingua spagnuola. Ella era molto bella e giovane. Il perchè, essendo in abito di cortegiana ed usando atti di putta, cominciò a servire quelli che erano in nave, non dico di spiegar vele o simili servigi marinareschi, ma di quelli servigi che communemente gli uomini da le donne ricercano, e per un baiocco si dava in vettura a chi voleva. Non era ancora uscita la barca de la foce del Tevere, che ella già più di quindici staffette aveva corso. Come furono de la foce usciti, s’inviarono verso Cittavecchia, per andar di lungo a Genova. E così andarono con assai buon tempo dui giorni, nei quali Marco Antonio faceva star Cornelia con la cassa sotto coperta de la nave, e veggendo la troppa domestichezza che Faustina usava con i marinari ed altri passaggeri e più fisamente guardandola, gli pareva pure che fosse sua moglie. Ma sentendola sempre parlar spagnuolo e veggendo che per ogni minimo prezzo dava la sua carretta a nolo, e altresì sapendo come di sua mano l’aveva [p. 202 modifica]concia, credette che ella fosse una de le cortegiane di Roma, e gli venne voglia di provare come ella sapeva ben trottare. Onde se le accostò, e volendola basciare, ella con un rigidissimo viso gli diede con le mani nel petto ed iratamente da sè lo rimosse dicendo: – Va a le forche, manigoldo che tu sei; come hai tu ardire di accostarti a femina che sia, avendo tua moglie uccisa? Che Dio mandi fuoco da cielo che t’arda. Chè se in me fossero cento mila buchi atti a dar piacere agli uomini e tu mi volessi dar il tesoro del mondo e farmi imperadrice, io d’un solo non ti servirei. Tu avevi in Roma giovane nobile e assai bella per moglie, e per compiacer ad una che ha marito, tu sei di quella stato il beccaio. Io in quell’ora che in nave venni, passai per quella contrada e vidi in casa tua gente assai e sentii un grandissimo romore. Onde di brigata con molti entrai in casa e vidi il letto tuo tutto pieno di sangue. Vero è che il corpo di tua moglie ancor non si trovava. Ma sta di buona voglia, sozzo cane che sei, che Iddio ti punirà. Via col diavolo che ti rompa il collo; levamiti dinanzi, uomo da poco. – E queste parole ella disse mezze spagnuole e mezze italiane, parlando come costumano gli oltramontani quando vogliono parlar italiano. Egli, sentendo questa riprensione, restò tutto confuso e fuor di sè. Erano vicini a Portovenere per pigliar porto, quando si levò un fierissimo temporale che gli spigneva a terra. Onde non potendo pigliar la via del porto e temendo rompere in qualche scoglio, deliberarono per scampo de la vita di alleggerire il legno. E così cominciarono a trar in mare de le mercanzie e robe, che a mano ai marinari venivano. E portando tuttavia sopra coperta colli, balle, casse ed altre cose, pigliarono anco la cassa di Marco Antonio per gettarla in mare. Ma Cornelia, che vestita era da uomo, venne sopra coperta gridando e volendo vietar che la cassa non si gettasse in mare, e correndovi anco Marco Antonio, i marinari, non avendo risguardo a nessuno e facendo il tutto per salvezza de la vita, gettarono in mare la cassa, ed essendovisi Cornelia appiccata con le mani, in quel furore cascò anco ella in mare. La nave dal vento portata volava su l’acqua di maniera che nessuno puotè darle aita, e il misero Marc’Antonio disperato fu per gettarsi in mare. Tuttavia, veggendo che rimedio non v’era, se ne diede a la meglio che puotè pace. Non perciò tanto gli premeva la morte de la sua Cornelia quanto la perdita dei danari e gioie che erano ne la cassa. Erano sovra il promontorio che i genovesi dicono Capo di Monte quando questo avvenne. E rinforzandosi il vento che a terra gli spingeva, dopo l’essersi [p. 203 modifica]i marinari affaticati per voltar il legno a la volta del mare e non v’essendo rimedio, la nave percosse tra gli scogli vicini a Rapallo, e fu di sorte che tutte le persone si salvarono. In questo essendo tutti in terra, chi prese una via e chi un’altra, come in simili naufragi suol avvenire. Faustina, che Giulia in nave s’era fatta chiamare, per veder ciò che Marco Antonio farebbe, gli tenne dietro portando seco quelle poche cosette che in nave recate aveva. Marco Antonio in terra veggendosi e non si trovando un baiocco a dosso, non sapeva che farsi. Onde entrò in un fiero proponimento di voler morire. E così, per uscir di miseria, se n’andò verso un boschetto che era ivi sovra un colle vicino. Ove giunto che fu, non pensando esser da persona visto, pigliata la sua cinta e le cinte de le calze, fece un laccio e al collo se lo annodò, e salito sovra un arbore, attaccò il capo del laccio a un tronco e si lasciò cader giù. Ma il laccio, non potendo il peso reggere, si spezzò ed egli cadde in terra senza farsi male. Faustina, che sempre l’aveva seguitato e non lungi da lui s’era in una fratta appiattata, uscì del macchione e cominciò a dirgli una grandissima villania. Egli, veggendosi sovragiunto, a la donna si rivolse e disse: – Bella giovane, poi che qui sei arrivata, io ti priego che tu voglia farmi grazia d’accomodarmi d’uno dei tuoi veli a ciò ch’io possa impiccarmi, perciò ch’io non voglio più vivere. – Non era assai, pietosi signori, che Faustina vedesse il marito a tale stato ridotto, che più la morte, ancor che vituperosa, bramasse che la vita, e che sovra gli occhi con cento poltroni e furfanti gli aveva piantate le corna e di lui fatto quello strazio che le era parso? Ma ella, ancor non sazia di vendicarsi, deliberò vederlo dare de’ calci al vento. Onde, fra sè di gioia godendo: – Per la mia fè, romano, – disse, – io son contenta in questo punto, ancor che tu non lo meriti, aiutarti e prestarti un laccio da romperti il collo, a ciò che con così vituperosa morte come a le tue sceleratezze conviene, tu vada a casa di cento paia di diavoli. – E così detto, sciolse le sue cosette, e la fune con cui erano legate al marito diede. Egli, da Faustina aiutato, salì sovra una querce e la fune ad un tronco de la querce attaccò e fatto il laccio e quello al collo annodatosi, a terra si lasciò cadere dando un grave crollo. Il tronco, che pareva atto a sostener ogni gran peso, subito si ruppe ed insieme con Marco Antonio venne in terra. Alora la moglie, per più straziarlo, sorridendo gli disse: – Or pensa, sciagurato romano, se tu sei in odio a tutto il mondo, chè volendo te stesso impiccare, insino agli arbori disdegnano così vile ed abominevole [p. 204 modifica]carogna come tu sei sostenere. Tu puoi pensare come il fatto tuo va. Quanto era meglio, povero disgraziato, che quando eravamo in mare tu con la tua bagascia ti fossi affogato. – A questo il veramente sfortunato Marco Antonio con le lagrime su gli occhi rispose: – Che debb’io fare, bella giovane, se di vita non posso uscire? Io son fuor di me stesso. Ho uccisa la moglie, perduta l’amante, perduti i danari e quanto rimaso m’era; fuggito da la patria e non potendo per morte uscir di travaglio, che vuoi che io faccia? Almeno avessi io un coltello, chè pur vederei se egli mi sapesse questo scelerato petto aprire. – Fatta alquanto pietosa la moglie a queste parole, gli disse: – Romano, sia con Dio; quello che è andato sia per ito, perciò che rimedio non se gli può porre. Ma se io credessi che tu cangiassi vezzo e volessi esser meco altro uomo che tu non fosti con tua moglie, io averei di te pietà e ti metterei tal partito a le mani, che tu ed io insieme trionfaremo. Ma io dubito che per ogni feminuccia che vederai e che punto ti piaccia, che tu mi lascierai su le secche di Barbaria, e forse di me farai ciò che de la moglie facesti. Tu mi sembri esser di così poco cervello, che io non so ciò che di te mi dica. – Che vuoi che io faccia? – disse Marc’Antonio. – Forse che sì fatta cosa mi dirai, che io la vita a me perdonando, a te senza fine restarò ubligatissimo. – Vedi, – rispose alora la donna, – io sono Giulia da Barcellona, che fanciulla fui a Roma condutta, e sì bene m’è avvenuto che io mi truovo qualche centinaia di ducati. Se tu vuoi giurarmi che mi farai bona compagnia, io starò a posta tua e anderemo in qualche città qui vicina, dove tu mi metterai a guadagnare e ci daremo il meglior tempo del mondo. – A Marco Antonio parve il partito molto buono, e giurò quanto ella seppe chiedere, promettendole la fede di esserle sempre ubidiente. E così di compagnia andarono a una villa assai vicina, ove, spiando il paese, conobbero che erano assai appresso a Genova. Deliberarono adunque andar là e quivi piantar bottega, e così fecero. Io non so che dirmi di questo diavolo di femina: non vi pare egli che ella assai domesticamente il marito tratti? Deveva pur bastarle che era stata in nave publica meretrice, senza voler ancor che il marito in Genova le fosse ruffiano. Preghi ciascuno Iddio che da simili donne lo guardi. Vennero adunque a Genova, ed avuta una stanza nel chiazzo attesero a guadagnare. Vi so dire che Faustina fece prove bellissime del corpo suo, essendo ogni sera più stracca che sazia. Molti dì stettero in così vituperoso essercizio, non parendo ancora a lei d’essersi ben vendicata del marito. Ora avvenne che ai parenti di Faustina [p. 205 modifica]fu per certo affermato come Marco Antonio in Genova teneva a posta sua una Giulia barcellonese nel chiazzo d’essa città. Il perchè, avendo il letto trovato pieno di sangue e non v’essendo indizio del corpo di Faustina, ed altresì tenendosi quasi per fermo che Marco Antonio avesse menata via Cornelia, avuta questa nuova di Genova, se n’andarono al papa a querelarsi, dal quale ottennero un breve drizzato al governator di Genova. Era alora ne la detta città a nome di Lodovico Sforza duca di Milano il signor Agostino Adorno governatore, uomo di grandissimo governo e di somma giustizia, il quale, avuto il breve apostolico, deliberò mandarlo ad essecuzione. Era suo segretario un suo suddito da Castelletto, il quale molte fiate aveva menatosi seco a giacer Faustina, che per Giulia da Barcellona conosceva. Egli veduto il breve, disse il tutto a Giulia. Ella, essendo mezza pentita del male del marito, gli disse il tutto. Il povero Marco Antonio si tenne morto, nè sapeva che farsi. Ella, non volendo che il marito morisse, in questo modo gli disse: – Marco Antonio, sta di buon animo, chè se farai ciò che io ti dirò, i casi tuoi anderanno bene. Io ti ho più volte udito dire che io sommamente rassimiglio a quella che era tua moglie; se questo è vero, sposami e dimmi i nomi dei tuoi parenti, chè io gli terrò bene a mente, Onde potrai, quando il signor governatore manderà per te, dire che io sia Faustina e che a noi lece far ciò che più ci aggrada dei corpi nostri. – Piacque meravigliosamente a ser castronaccio il conseglio de la donna, onde a quello s’apprese e la donna sposò. Il governatore quel giorno stesso lo mandò a chiamare, e facendolo dal suo segretario a la sua presenza essaminare, egli rispose che da Roma s’era con la moglie partito e che per fortuna i suoi danari e robe gli erano stati gettati in mare, e che non avendo altro modo di vivere si era ridotto come da tutti si sapeva, e in fede di questo fece domandar la moglie. Ella tutta baldanzosa se ne venne, e da parte essaminata rese del tutto buonissimo conto. Era da Roma venuto un giovine a portar il breve, che era fattore dei parenti di Faustina e molto bene la conosceva. Egli essendo chiamato a l’essamine, ancor che l’abito de la donna e la mala vita che fatta aveva alquanto la trasfigurassero, pur le fattezze gli parvero quelle. Ella poi di se stessa e del marito, dal primo giorno che egli in Roma la sposò, rese sì buon conto, che il fattore non seppe che cosa opporle. Il medesimo fece Marco Antonio, conformandosi in tutto con Faustina. E così perseveravano pure a guadagnarsi col sudore del corpo il vivere. L’aver atteso a Marco Antonio e [p. 206 modifica]a Faustina m’ha quasi fatto uscir di mente Cornelia, che essendo caduta in mare, come la sorte sua permesse, s’attaccò a la cassa, e su quella col petto fermatasi, fu dal mare turbato e ondoso a terra sospinta, ma vie più morta che viva. Ella si trovò vicina ad una villetta de la riviera di Levanto. Era al mar discesa una buona donna con due sue figliuole assai grandi, per certi suoi bisogni, la quale, veduta la cassa, conobbe che un uomo v’era appresso, perciò che Cornelia era vestita da uomo. E trovato che la persona non era morta e da lei inteso che era donna, fece a le figliuole levar il coffano e portarlo a casa, aiutando ella a sostener Cornelia. Giunti a casa e fatto buon fuoco, Cornelia restò libera, e per non restar ingrata a la buona femina che liberata l’aveva, a quella donò tanti danari, che ella si chiamò per contenta. Erasi già de le vestimenta che ne la cassa aveva da donna vestita, di modo che, essendo bellissima, un barcaruolo de la contrada cominciò a domesticarsi seco e possessor ne divenne, nè di lei sola, ma de la roba anco si fece signore. E come avviene spesso che un villano non conosce il bene quando l’ha, il barcaruolo trattava molto domesticamente Cornelia. Ella, gettati gli occhi a dosso ad un compagno pur di riviera, non essendo il barcaruolo a casa, con quello, seco portando le sue robe, se n’andò. Colui, che non aveva nè casa nè tetto, tenne alcuni dì Cornelia per quelle terre de la riviera di Levanto, facendo dei danari di lei buona cera e spendendo senza ritegno. Vennero poi a Genova di compagnia, ove dimorati quattro o sei dì, il buon compagno, rubati tutti i danari e le gioie a Cornelia, se ne fuggì non so dove. La povera donna, trovandosi sola nè sapendo dove dar del capo, fece tanto che condusse una povera stanza vicino al luoco publico, e quivi servendo chi la richiedeva se ne stava. Era Cornelia bellissima, onde in breve cominciò aver tanto concorso che talora non aveva tempo di cibarsi. Marco Antonio, udendo lodar Cornelia da tutti e veggendola così indi passando, altrimenti non la conobbe, ma bene la giudicò bellissima. Avvenne che egli aveva prestata la moglie ad un gentiluomo, che a la sua villa condotta l’aveva, che era a Terra Alba, ove stette quasi tutta una settimana. Onde volontaroso di giacersi con Cornelia, trovandola tutta sola in camera, che alor alora uno che aveva scaricato l’orza si partiva, se le pose a lato e la salutò. Quivi, a pena guardatisi in viso l’un l’altro, eglino si conobbero e fu la meraviglia d’ambidui non picciola. Sovrapresa in quel punto Cornelia da sdegno feminile, con viso di madrigna a lui rivolta disse: – Ben venga, ben venga il beccaio de la [p. 207 modifica]sua moglie e l’ingannatore di quella che tanto mostrava amare. Tu presumi da me voler piacer nessuno, cui già lasciasti come vil sterco gettar in mare? Tu hai ardire venirmi innanzi? Va via col diavolo, che in anima ed in corpo ti possa egli strascinare. – Sforzandosi a la meglio che puoteva il povero Marco Antonio di placarla, ma tanto mai far non seppe che ella volesse prestargli il mortaio per far salza, e così da lei scornato se ne partì. Egli nel vero era pur sciagurato, trovandosi in un medesimo tempo aver la moglie e l’amica in chiazzo e vedersi da tutte due negato quello che a mille mascalzoni e furfanti davano per un baiocco. Veramente ogni vituperio gli stava bene, chè essendo egli marito di bella ed onesta donna, non contento degli abbracciamenti di quella, ricercò gli altri, e, come si suol dire, voleva meglior pan che di grano. Nè pertanto si vuol dir che Faustina meriti altro che biasimo, chè per cosa che le volesse far il marito, non deveva d’onesta divenir disonestissima. Ora, partito Marco Antonio da Cornelia e pensando al tempo passato, ritornò sui primi amori e più che mai di lei s’accese. E parendogli che senza quella ei fosse senza vita, tentò con mille modi di sviarla da colui che la teneva. Il buon compagno, che da le vetture di Cornelia traeva non picciolo profitto, tenne modo, sapendo che Marco Antonio teneva una femina in chiazzo, di far intendere a quella come il suo uomo si diportava. Faustina, informatasi chi fosse colei e trovato che era Cornelia, dubitando che egli con quella un’altra volta non se ne fuggisse e parendole oggimai del marito a sufficienza essersi vendicata, deliberò a così lunga e vituperosa comedia por fine. Ella trovò modo, per via di certi mercadanti, di scrivere a Roma ad una sua zia, che era d’un monistero di sante donne badessa. La quale ricevute le lettere de la nipote, che morta credeva, fece quanto ella ricercava e scrisse a Marco Antonio, che per suo utile e beneficio grandissimo se n’andasse vestito da peregrino a Roma e facesse capo al monastero. Erano le lettere molto calde ed efficaci, e sapeva Marco Antonio che chi gli scrisse era donna d’ottimo nome. Il perchè in lei avendo grandissima fede, la cui prudenza ed autorità in molte cose di momento aveva esperimentata, deliberò uscir del vergognoso ufficio che faceva e piantar la catalana e ridurre Cornelia a Roma. Avuto adunque modo due e tre fiate di parlar seco, tanto le seppe dire, che ancor ella, bramosa d’uscir di tanti stenti, si dispose di andar con lui a Roma. Faustina, che tutto il dì gli aveva gli occhi a dosso e sapeva la trama che ordiva, fingeva di non avvedersi di cosa che egli facesse. [p. 208 modifica]E così Marco Antonio, fatti far panni per sè e per Cornelia da monici, un dì con lei si partì e, smarrito de le fortune di mare, andò per terra per la riviera di Levanto e poi per Toscana fin a Roma. Faustina quel dì medesimo, suso un bergantino che a Roma andava montata, pervenne di più di dieci giorni a Roma prima che Marco Antonio, e andò in abito sconosciuto a trovar la zia badessa, da la quale fu amorevolmente ricevuta ed in camera de la badessa menata. Ivi, communicata la cosa a due de le più antiche madri del monastero, fecero sì che in dui o tre dì le monache s’accorsero che la madre aveva gente in cella. E per questo essendo gran mormorazione nel monastero, la badessa fece sonar a capitolo, e tutte le suore quivi ragunate, così disse loro: – Figliuole mie care, a l’orecchie mi è venuto che molte di voi pensano che io abbia in cella qualche uomo. Sono pur omai tanti anni che mi conoscete, e la mia vita a tutte è sempre stata sì aperta, che bisogno non era che nessuna mal di me sospettasse; tuttavia piacemi che voi siate zelatrici de l’onor di questo santo collegio; che nostro Signor Iddio vi benedica e vi dia la sua santa grazia. Ora che io non posso nè debbo più celarvi la persona che ne la mia cella ho tanti giorni nascosta, voglio che ella sia a tutte manifesta, ma sotto pena d’ubidienza non voglio che a secolari si riveli. – Poi rivolta a le due monache vecchie le diede la chiave de la camera e sì le disse: – Madri mie, andate a la mia cella e accompagnate qui la persona che è là dentro. – Andarono le donne e condussero Faustina in capitolo, a cui già avevano tagliati i capelli, e vestita da suora, ella venne con un viso e con certe riverenze, che pareva proprio che sempre fosse stata a dir paternostri ed avemarie. Ella per comandamento de la badessa disse: – Madri reverende, devete sapere che sono già circa sette mesi passati che Marco Antonio mio marito, un giorno che io da merigge dormiva, mi diede due pugnalate e passommi di banda in banda, e credendo che io fossi morta mi gettò nel chiazzetto de la mia camera. Io, che fin da fanciulla fui sempre divota de la nostra Donna di Loreto, nel cader giù m’attaccai a un travicello, che nel necessario spigne in fuori, e feci voto andar discalza a Loreto ed offerire una imagine trafitta due volte di banda in banda con un pugnale. E fatto il voto mi sentii in tutto sana, in modo che cicatrice in me non appare. E uscita del chiazzetto, qui me ne venni, ove mia zia mi ha, la sua mercè, tenuta, e queste due venerabili madri per lor cortesia m’hanno così longo tempo nodrita. – Le sante monache si bagnarono di molte lagrime il petto e credettero il tutto, [p. 209 modifica]di tal maniera che tutte arebbero sagramentato che tutto quel tempo Faustina era stata nel monastero. Ora ebbe modo Faustina di fare che quel servidore, che l’aveva avvisata come il marito voleva ammazzarla, levò fuor del necessario l’imagine che quivi invece di lei il marito aveva gettata. Con le monache poi sì fattamente si governò che elle tutte la tenevano per la più onesta donna che in tutta Roma fosse. Venne Marco Antonio a Roma con Cornelia, e subito andò a ritrovar la badessa, da la quale fu amorevolmente raccolto. E dopo l’accoglienze, la badessa così gli disse: – Tu dei sapere, Marco Antonio nipote mio carissimo, che se io quanto figliuolo non ti amassi, qui non t’averei fatto venire. E se più tosto avessi io inteso ove tu eri, non averei già tanto tardato. Figliuol mio, e’ si suol dire che le cose passate più tosto si ponno riprendere che emendare. Ciò che una volta è fatto, chi farà che fatto non sia? Tu sai che vita in Genova fatta hai, il che subito ch’io intesi, ho mandato per te. E quando ti deliberi vivere onoratamente, non ti mancherà il modo perciò che se bene gran parte del tuo hai venduto, tanto ancor ti è rimaso, che tu puoi viver da par tuo. Ma io vorrei esser certa che tu fossi disposto a viver come deveno far gli uomini da bene. Prima ti farei cavar di bando, e la moglie tua, mia nipote, ti restituirei. Ma dubito che tu al mal avvezzo, come la rana non saperai del fango uscire. Che dici? – Sentendo questo, Marco Antonio così le rispose: – Madre mia molto reverenda, io son certissimo che voi, la vostra mercè, sommamente mi amate, e già del vostro amore ne ho io avuta ottima caparra. Ma devete pur sapere che io da giovinil errore trasportato uccisi Faustina, e voi dite che mi farete riaver la mia moglie. Io non so come il fatto stia. – A questo soggiunse la badessa: – Io so bene che tu nol sai, ma Dio, più pietoso che noi non meritiamo, t’ha conservata Faustina mia nipote miracolosamente, e odi come. – Quivi la buona badessa narrò con le lagrime sugli occhi tutta la favola che Faustina a le monache narrata in capitolo aveva. Udendo questo, Marco Antonio, da interna vertù commosso e tutto intenerito, cominciò anco egli a lagrimare e a pena possendo le parole esprimere così rispose: – Madre mia onoratissima, quando io sia certo che Faustina viva e che ella per vostra intercessione il fallo contra lei commesso mi perdoni, io non saperei che più desiderare. – Alora la badessa mandò a chiamar suor Faustina, la quale venne con suoi veli in capo e con certe bende sotto la gola. Come ella fu dinanzi a la badessa, tenendo sempre gli occhi bassi, s’inginocchiò e disse: – Madre, che mi comandate voi? – Alora le disse la [p. 210 modifica]badessa: – Nipote mia cara, leva gli occhi e mira se conosci costui che qui meco ragiona. – Ella vergognosamente levati gli occhi e tutta in viso cambiata: – Oimè, – disse, – madre mia, questo è quello scelerato, che Dio gli perdoni, di mio marito; – e questo dicendo, con abondanti lagrime, di grandissima tenerezza diede segno. Marco Antonio, di romano diventato da Goito, dirottissimamente piangendo se le gettò a’ piedi, ad alta voce mercè chiedendole. E se non fosse stata la grata di ferro, come pazzo se le sarebbe avventato al collo. Madonna Faustina, che si vedeva in porto, pareva che quasi sdegnata nol volesse udire. Ma la badessa e tutte le monache, che già avevano de la santa vita di Faustina reso testimonio, tanto fecero, che ella, ben che alquanto ritrosetta, lui chiedente perdono accettò e gli rimise ogni ingiuria, con questo perciò, che egli mai più d’altrui donna non s’impacciasse. Fatto questo si diede ordine che il bando fu casso, e ser uomo, intendendo il voto che Faustina fatto aveva, impetrò la dispensa che egli per lei andando a Loreto scalzo al voto sodisfacesse. Avvenne in questo, che il marito di Cornelia, a Ponte Sisto, in casa d’una meretrice fu ucciso. Il perchè, avendo ella da Marco Antonio inteso lo stupendo miracolo di Faustina, ella, non meno di lei scaltrita, seppe sì ben adattar le cose sue, che trovò modo di far credere che era fuggita dal marito per la mala compagnia che egli le faceva, e che sempre era stata in compagnia d’una vedova vecchia sua parente, e che ora, intendendo il marito esser morto, era uscita di pregione. Fu facil cosa a far credere il tutto, non ci essendo chi troppo sottilmente le cose investigasse. Marco Antonio menò Faustina a casa per buona e santa, la quale in mare e in terra e nel publico chiazzo aveva veduta sottomettersi a mille mascalzoni, ed egli per publica meretrice governata aveva e molto spesso a vettura data. Cornelia stette un anno in abito vedovile e dapoi si rimaritò assai onoratamente. E tutte due dai mariti loro erano per sante tenute, sì bene seppero queste due favole loro adornare. E per me io non so che me ne dire, se non pregare Iddio che tutti ci guardi di cascar ne le mani a simil donne, che fanno del nero bianco e del bianco nero. Non so poi che mi dire de la santa madre badessa e de le dui madri vecchie che sì affettuosamente finsero le menzogne e santamente le confermarono. Non nego già che non fosse opera lodevole e santa di reconciliare marito e moglie insieme, che tuttavia mi par opera pia e da esser commendata; ma non vorrei che con falsi miracoli queste paci si facessero, chè par a punto che l’uomo voglia scherzare con Domenedio [p. 211 modifica]come farebbe con un suo domestico. A me pare che Cornelia truovasse un mezzo a’ casi suoi più apparente e credibile. Ma sia come si voglia: io v’ho narrato questa istoria nè più nè meno come narrar l’ho sentita.


IL BANDELLO AL MAGNIFICO E VERTUOSO MESSER ANTONIO DI PIRRO SALUTE


Se mille e mill’anni si ragionasse degli errori che la gelosia appiccata a uomo o a donna produce, e di quanti mali ella sia cagione, io credo che mai a capo non se ne verrebbe, veggendosi tutto il dì la varietà di nuovi falli che quella genera. Essendo poi stato da molti questo biasimevol vizio tassato, io per ora più di quello che è non intendo di vituperarlo, conoscendo che si perderebbe l’opera. Ben voglio scrivere un caso che, non è molto, in una città di Lombardia occorse, dal quale, quando altro mai detto non fosse, di leggero l’enormità de la dannosa gelosia si comprende. E perciò che avvenne in persona che, se nominata fosse, potrebbe di qualche scandalo esser cagione, io mi asterrò di porre i nomi proprii, ancor che il nostro gentilissimo messer Benedetto da Corte, quando in casa de la signora Lionora, sua sorella e moglie del signor Scaramuzza Vesconte, in Pavia narrò questo accidente, dicesse i proprii nomi. Avendolo dunque scritto, con lo scudo del vostro dotto nome il mando fuori, sapendo che a questa mia novelletta egli sarà tale quale fu a Perseo contra Medusa lo scudo di Pallade. E chi dubiterà che voi per me non pigliate la protezione, se in Pavia sempre sète quello che degli stranieri pigliate la diffensione? So che io appo voi non sono straniero, conoscendo quanto mi amate. State sano.