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Novelle (Bandello, 1910)/Parte III/Novella XXX

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Novella XXX - Un prete castrato porta addosso i testicoli; ed una fanciulla glieli mangia, credendo che fossero fichi

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Novella XXX - Un prete castrato porta addosso i testicoli; ed una fanciulla glieli mangia, credendo che fossero fichi
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IL BANDELLO

al signor

girolamo pellizzaro


Essendo voi partito da Milano quando vi faceste medicare de l’archibugiata che avevate nel braccio, fu astretto il nostro prete Santino, per certa infermitá che lo guastava, farsi castrare e restar solo senza testimoni. Onde fu tra molti una gran disputa: che si deveva fare di ciò che gli era stato cavato; ed era quasi l’openione de la maggior parte che, se voleva dir messa, bisognava che li portasse di continovo a dosso; di modo che essendo dissensione tra loro, s’accordarono a questo: che s’andasse ai frati de le Grazie, che sono osservanti di san Domenico, e si stesse al giudicio del venerabile frate Giovanni Pagnano, il quale, come sapete, è gran dottore e famosissimo ne le cose di ragione canonica. Cosi vennero a parlargli, e il fondamento di molti era, che chi è mutilato di corpo e non ha tutti i membri suoi non può celebrare. Ora dopo molte tenzioni mostrò loro il Pagnano che erano in errore e che non era astretto prete Santino a portar seco quei suoi cavati perpendicoli. E ragionandosi di questo in presenza di monsignor Stefano Poncherio, vescovo di Parigi e presidente del senato di Milano, il molto vertuoso messer Stefano Negro, gentil persona e dotta, narrò una bella novelletta; la quale io ora, da me scritta, vi mando e dono, a ciò che appo voi sia testimonio del mio amore. State sano. [p. 318 modifica]PARTE TERZA NOVELLA XXX Un prete castrato porta a dosso i testicoli ed una fanciulla glieli mangia, credendo che fossero fichi. Fu ne le contrade de la Provenza un prete Rocco da Mon- tepelieri, il quale, essendo povero, s’andava procacciando il vivere col dire de le messe e andare agli uffici dei morti. E perché egli per qualche infermità avuta s’era fatto castrare, andava dietro a la volgar openione e portava sempre in una sua borsa i suoi testìcoli avvolti in un poco di carta, né detto mai averebbe la messa se la borsa a lato avuta non avesse. Ora avvenne che egli si acconciò per cappellano con uno di quei signori provenzali, che aveva moglie e teneva onorata famiglia. Prete Rocco altro non aveva che fare se non, a quella ora che piaceva a madama, dire la messa. Egli era molto allegro e diceva mille bei motti da ridere quando si trovava in compagnia, e sapeva far mille bei giuochi da intertenere una compagnia di dame sempre in festa. Per questo egli era molto caro a tutti. Aveva in casa questo signore una figliuola d’una sua sorella, che poteva aver da nove in dieci anni, che si chiamava Ginevra. E perché era bella fanciulla e piacevole, era molto da lo zio e da la zia amata e tenuta cara. Da l’altra parte ella si dilettava tanto dei motti e piacevolezze di prete Rocco, che da lui mai non si partiva. Egli poi le faceva mille vezzi e tutto il di aveva da darle ora pera, ora pomi, ora nocciuole, ora ceragie ed ora fiori, ed ora una cosa ed ora un’altra, secondo che la stagione portava, di modo che mai non compariva senza qualche cosetta, e spesse volte si nascondeva in seno de le frutte, pigliandosi gran trastullo di veder che la fanciulletta s’affaticasse per trovar ciò che egli nascondeva. Era la stagione dei giorni caniculari, che in ogni luogo il caldo è grande, ma in Provenza è molto maggiore, ed assai sovente non si può dormir la notte, e bisogna il di prender un poco di riposo. Onde dormendo in quei di da merigge prete Rocco, fu da la fanciulla veduto, la quale subito andò là e cominciò pianamente a cercargli a dosso per trovar [p. 319 modifica]NOVELLA XXX 319 qualche frutto. E trovandogli in seno la borsa, l’aperse, e sviluppati i testimoni del prete e pensando che fossero dattili o fichi secchi, la buona garzona se gli mangiò. Svegliato che fu il prete, trovando la borsa aperta § vota, si smarrì molto e andò ove erano le damigelle e le disse: — Figliuole mie, chi m' ha levato ciò che era ne la mia borsa me lo restituisca per l’amor di Dio. — E non trovando chi novella gliene sapesse dire, faceva un gran rammarico. La dama del luogo, udendo il pianto, venne e volle intendere che cosa fosse quella; il prete le disse il fatto come stava. Meravigliossi assai la dama e domandava diligentemente Ginevra: ella confessò che aveva manicato i dattili o fichi del messere. Di che tutti ridevano, se non il prete, che si pensava esser privo di dir più messa. Ma chiarito poi da uomini dotti che era in errore, ringraziò Dio che era libero da le opere de la carne e di portar seco quella faccenda sempre al collo appiccata