Vai al contenuto

Novelle (Sercambi)/Novella CXVII

Da Wikisource.
Novella CXVII

../Novella CXVI ../Novella CXVIII IncludiIntestazione 18 giugno 2024 75% Da definire

Novella CXVI Novella CXVIII
[p. 516 modifica]

CXVII


Le dilettevole novelle ditte condussero la brigata al bel castello di Meldola, là u’ trovarono di vantagio aparecchiato per la cena. E perch’era alquanto l’ora <avanti> che si cenasse, comandò il proposto a’ danzatori che alcune danze con suoni facessero. E così ubidito dandosi piacere fine a l’ora douta del cenare, e dapoi, per poter fare buona levata per lo di seguente, per caminare verso Bologna, licenziò che ognuno a dormire se n’andasse, e a l’altore comandò che per lo dì seguente ordinasse di contentar la brigata di bella novella. E così, dato l’ordine, di buona voglia la notte posarono.

E levati che furon la mattina, l’altore parlò dicendo: «A voi, omini simplici e materiali li quali con nuovi inganni vituperosamente vi lassate ingannare, et a voi, donne che per fare il vostro desiderio consentite ogni vostra vergogna, ad exempro dirò una novella fine che giunti saremo dove il senno si compra, cioè a Bologna, in questo modo (e posto che in altra parte <una> quasi simile si notasse, nondimeno quella fu diversa da questa), dicendo:

DE PESSIMA MALITIA IN PRELATO

In quel di Bologna, in una villa nomata La Valle, <fu> uno chiamato Papino, lo quale per alcuna cosa fu chiamato da’ vicini frate Papino.

Fu nel contado di Bologna, dove stasera pensiamo essere, in una villa chiamata La Valle, uno omicciuolo assai ricco chiamato Papino, che dandosi a credere che una sua donna nomata [p. 517 modifica]Elcopatrassa, bella di suo corpo, usando le chiese non le fallirebbe, essendone molto geloso pensò spessime volte oltra l’usato andare visitando le chiese del paese intanto che niente altro facea; per la qual cosa da’ vicini era chiamato frate Papino. E perché era assai di grossa pasta, non sapendo altro che ’l paternosso, digiunava et erasi fatto delli disciplinatori. E tutte queste cose facea per amore di Elcopatrassa sua moglie, la quale era di xxiiii anni, bella e ritonda che parea pure uno corombalo rosso e per l’astinenza del marito e delli digiuni facea più astinenza di quel fatto che ella non arè’ voluto. E talora che ella arebbe voluto dormire con lui e scerzare, elli li racontava le dolce prediche che udite avea; e con queste cose e simili spessime volte la contentava a suo parere.

Ora avenne che, morendo il prete o vero abate di quel comune, uno monaco della villa, il quale più tempo in Bologna <stato era>, fu per li omini della Valle eletto e chiamato abate. Avea nome questo abate don Muggino et era giovano e robusto della persona e bello; con cui frate Papino prese somma domestichezza, chiarendoli ogni suo dubio. Et avendo con lui presa molta domestichezza, spessissime volte lo menava a cena et a desnare con lui. E cognoscendo don Muggino la condizione di frate Papino e della moglie, e vedendola sì bella e fresca, s’avisò che la donna dovesse patire disagio di quello che le donne sono più desiderose. E pensòsi di volere tollere fatica a frate Papino et inducer la donna a’ suoi piaceri.

E postoli li occhi a dosso più volte ben astutamente, tanto fece che la donna di quel medesmo desiderio s’acese che don Mugino aceso era. Et acortosi il monaco che la donna era infiamata di lui, quanto più presto potéo diè opera di trovarsi con lei. E trovatosi con lei, suo pensiero le narrò; e posto che ben la trovasse disposta a dare effetto all’opera, nientedimeno ella fidar non si volea esser col monaco in neuno luogo fuora di casa; <et in casa> non era modo, perché ’l marito rade volte per gelosia sola <la> lassava. Di che il monaco portava assai dolore.

E stando più tempo in tal maniera, li venne pensato un modo di dover esser in casa sua senza sospetto. E chiamò frate Papino [p. 518 modifica]che con lui andasse al monesterio e quine li disse: «Io ho assai volte compreso che tutto il tuo pensiero è d’acquistare la gloria di paradiso, et a questo veggo che molta fatica vi duri. E però ti dico che se fare vorrai a mio senno con più corta via che non è quella che cominciata hai vi ti farò andare, però che noi tutti, preti e prelati, l’usiamo, ma il papa non vuole che ad altri si mostri, acciò che le limosine si faccino; ma perché mi pare comprendere che mio amico intimo sii e che quello che io ti dirò a persona non apaleserai (ché ne sarei disfatto), ti dirò e insegnerò quel modo che la gloria di paradiso acquisterai». Lo frate, più tosto ismemorato che savio, li giura mai a persona del mondo non dirlo.

Don Mugino li dice: «Tu dèi sapere che la Chiesa tiene che chi vuole acquistare la gloria di paradiso conviene fare la penetenza che tu odirai. Ma intendi sanamente: io ti dico che tutti i peccati che arai fatto <prima del>la penetenza ti saranno perdonati e dapoi li peccati che farai n’andranno per acqua benedetta. Conviensi adunqua l’uomo con gran diligenzia confessare e poi cominciare un digiuno di xl dì, innel quale non che di toccare altra femmina ma di toccare la tua propria ti conviene astenere. Et oltra ciò ti conviene avere innella tua propria casa alcuno luogo d’onde tu possi vedere il cielo, et all’ora di compieta andarne a questo luogo et avervi una taula molto larga ordinata che stando tu in piedi vi possi le reni apoggiare e distendere le braccia a guisa d’uno crocifisso; et in questa maniera guardando il cielo stare senza muoverti punto fine a matutino; e se sapessi lettera ti converrè’ dire alquante orazioni, ma perché non ne sai ti converrà dire cc paternossi et altante avemarie all’onore di Dio e della Santa Trinità, sempre riguardando il cielo. E poi, come mattutino suona, te ne puoi andare e sopr’a’ letto così vestito gittarti; e la mattina apresso andare alla chiesa e quine udire almeno tre messe e dire cinque cavate, e poi far con simplicità alcuni tuoi fatti, e poi desnare e al vespro venire alla chiesa, e poi in sulla compieta ritornare al modo che ditto t’ho. E questo faccendo, come feci io, spero che innanti la penitenza sia finita sentirai meravigliose cose della etterna beatitudine, se con [p. 519 modifica]divozione fatta l’arai». Frate Papino disse: «Questo non è gran cosa, ché si può assai gevilmente fare, per che al nome di Dio voglio domenica cominciare».

E da lui partitosi, se n’andò a casa e con sua licenzia ordinatamente alla moglie disse ogni cosa. La donna inteso che ’l monaco potea aver agio di lei fine al mattino, disse al marito che a lei piacea pur che facesse bene per l’anima sua e che n’era molto contenta; et acciò che Dio li facesse la sua penitenza profittevile, volea con lui digiunare ma non altro fare.

Rimasi adunqua in concordia e venuta la domenica, frate Papino cominciò la sua penetenza, e messer lo monaco, convenutosi colla donna di notte (che veduto non potea essere), il più delle sere se n’andava a cenare con lei, sempre ben da mangiare e da bere seco regando; poi con lei si giacea fine a l’ora del mattino. Il quale levato, se n’andava, e frate Papino tornava a letto.

Era i’ luogo che frate Papino avea eletto a lato alla camera dove la donna col monaco si davano diletto, né d’altro era diviso se non d’una parete; per che ruzando messer lo monaco colla donna alla scapestrata, et ella con lui, parve a frate Papino sentire alcuno dimenamento di solaio. Di che avenne che, già avendo ditto c paternossi e fatto punto quine, chiamò la donna senza punto muoversi, domandandola ciò ch’ella facea. La donna, che mottegevole era, forsi cavalcando allora senza sella la bestia di san Benedetto o vero di san Francesco, disse: «Marito mio, io mi dimeno quanto posso». Disse allora frate Papino: «Che vuole dire questo dimenare?» La donna ridendo (che valente era e forsi avea cagione di ridere) rispuose: «Come, non sapete voi che ciò vuol dire? Chi la sera non cena tutta notte si dimena». Credette frate Papino che <’l> digiunare che mostrava di fare li fusse cagione di non poter dormire. A cui elli di buona fede disse: «Donna, io t’ho ben ditto: — Non digiunare! — , ma pur, poi che l’hai voluto fare, non pensare a ciò ma pensa di riposarti, ché tu dai tali volte per lo letto che tutta la casa fai tremare». Disse allora la donna: «Non ve ne caglia, ch’io so bene ciò ch’io fo: fate pur ben voi, ch’io farò bene io se potrò!»

Ristetesi adunqua frate Papino e rimisse mano a’ paternossi, [p. 520 modifica]e la donna e messer lo monaco da questa notte innanzi fatto in alcuna parte della casa conciare un letto, dove quanto durò il tempo della penetenzia con grandissima festa si stetteno, e quando il monaco se ne andava, la donna al suo letto tornava. Continuando la donna il suo diletto col monaco, più volte mottegiando la donna disse al monaco: «Tu fai fare la penitenza a frate Papino, per che noi abiamo acquistato paradiso».

E parendo alla donna molto bene stare, <sì> s’avezzò a’ cibi del monaco, che essendo dal marito lungamente tenuta a dieta, ancora che la penetenzia di frate Papino si compiesse, modo trovò di pascersi in altra parte con lui, che lungamente ne prese suo piacere.

Ex.º cxvii.