Novelle (Sercambi)/Novella LXXXXVI

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Novella LXXXXVI

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LXXXXVI


Essendo la brigata giunta a Scariotto dove aparecchiato trovoron di vantagio, e cenato, fatte alcune danzette, fu venuto l’ora del dormire e fine alla mattina ognuno si posò.

E levati, il preposto disse a l’altore che una novella dica fine ch’a Ascoli seranno giunti, volendo prima da lui una canzonetta. L’altore contento disse:

«La tarda grazia tu’, donna, fa luce,
ma stentando; in te ha pietà vie si torte
che chi ti segue, segue in sé la morte.
Io t’ho dal puerile al veril tempo
servito come servo, ben che ’l celo;
e non giunge pietà, che par che in tempo
l’aspetti a li anni tardi e in grosso velo.
Se <tu> ’l capello imbianchi et io il pelo,
la mia virtù al disìo non sta forte,
e l’ora all’aspettar sì dà la morte».

E seguendo disse: «A voi, giovani, che scapestratamente in casa d’altri entrate per usar colle donne altrui, ad exempro dirò una novella acciò che vi sappiate guardare; incominciando in questo modo, cioè: [p. 417 modifica]

DE CECO AMORE

Di uno pisano: abitava in Lucca al tempo de’ pisani, catino di ogni miseria.

Nel tempo che Lucca era sottoposta a Pisa, dimorava in Lucca uno pisano assai di cattiva condizione, nato d’adulterio e non di legittimo matrimonio, nomato Scarsino delli Scarsi di Pisa. Avendo questo Scarsino una moglie bellissima e molto servente di quello che ella potea a ciscuno giovano che lei richiedesse, nomata madonna Ciandina, e con molti giovani avea più volte provato sua forza e con tutti ella ne rimanea volontieri di sotto, tanto il giuoco li piacea. E posto che il ditto Scarsino di molti si fusse acorto che colla moglie si godeano, et anco lui ad alcuno giovanetto bello il quale il ditto Scarsino come di cattiva condizione contra l’uso della natura lo tenea, consentendo che tale giovano per ricompensazione colla moglie si giacesse. Monna Ciandina, che <sapea> di quello che il marito con altri facea, le dispiacea forte che il marito tale arte tenesse, ma avendone poi ella il diletto di tale giovano stava contenta.

E questa vita tenea la ditta monna Ciandina, stando a casa il ditto Scarsino innella contrada di San Mazzeo là u’ tenea, oltra l’altre cattività che facea, la barattaria, con farvi condurre or questo or quello giovano (e molti in tal luogo fumo disfatti); e tutto il guadagno che quine si facea si volea per sé.

E vedendo, uno giovano nomato Franceschetta Manni vicino a iiii case della ditta monna Ciandina, la bellezza di lei et udendo quello che spesse volte avea fatto, e’, che aveduto se n’era, come giovano isfrenato e voluntaroso, un giorno trovandosi a l’uscio di lei le cominciò a ragionare d’amore, dicendoli che lui l’amava sopra l’altre donne e che volontieri serè’, se a le’ piacesse, suo innamorato. Monna Ciandina disse: «Franceschetta, a che fine vorresti tu esser mio innamorato et io tua?» Franceschetta dice: «Per piacere». La donna dice: «E se per piacere vorresti diventare innamorato, or perché tal piacere non domandi, però che la donna più tosto aconsente al magiore suo bene che al minore?» [p. 418 modifica]Franceschetta vergognosamente le disse: «Io non l’userei dire». Monna Ciandina disse: «Poi che se’ venuto a tanta pratica, ti dico che mi dichi l’animo tuo». Franceschetta prese vigore e disse: «Madonna Ciandina, io vi prego che vi piaccia che io con voi carnalmente mi goda e che diate l’ordine al modo che tener debbo».

Monna Ciandina, che volontà avea di trovarsi con lui come trovata s’era con delli altri, disse che a lei piacea che lui di le’ prendesse piacere, ma l’amaestrava che tenesse si cauti et onesti modi che Scarsino non se ne possa acorgere: «E perché sii avvisato d’onde entrar dèi, ti dico che ti conviene montare in su uno muriciuolo che è dirieto apresso alla finestra della camera; e per la finestra in camera enterrai, e quine ci porremo dare piacere prima che Scarsino sia venuto a dormire, però che ogni sera dimorano in bottega sotto quella camera a tenere il giuoco più di vi ore. E come Scarsino serà per venire, avendo io chiuso l’uscio della camera te ne andrai d’onde venuto serai».

Franceschetta, che intende il luogo e quello ha proveduto che era molto agevol cosa a fare, disse: «Et io verrò stasera; et acciò che io non possa esser sentito, io non arò scarpe ma in puntali di calze verrò per andare più leggieri». Era questo Franceschetta della persona gagliardo in tutte le cose, e con una spada in mano arè’ fatto vergogna a più di iii; e con questo, corrente et ardito. La donna lieta steo fine alla sera.

Venuta l’ora data, Franceschetta saglito su per lo muro, innella camera intrato, dove trovò monna Ciandina aparecchiata, con cui Franceschetta si diè sommo piacere più volte prima che Scarsino si partisse dal gioco. E venuta l’ora che Scarsino a dormire se ne volea andare, chiuso e’ l’uscio a quelli che v’erano e montato la scala, monna Ciandina che Franceschetta avea di sopra fornendo il suo fatto, intanto che Scarsino giunse alla camera la donna s’avea levato il carico da dosso. Partitosi Franceschetta e per la finestra escito, la donna a Scarsino aperse.

E tornato Franceschetta a casa del padre avendosi dato piacere e diletto con monna Ciandina, et innell’ultimo pensando che Scarsino vel dovesse aver trovato, dicea fra sé: «Io non vi resterò omai tanto che a si stretta ora mi coglia». E passata la notte, [p. 419 modifica]dienno ordine con certo segno che la donna con una tovagliola che alla finestra metterà, Franceschetta sapea che ella contenta era. E non passava ii dì che monna Ciandina volea che la produra Franceschetta li cavasse.

E dimorando per tale maniera, non restava però che monna Ciandina, oltra l’usare che con Franceschetta facea, che con altri per mutare pasto talora si godea.

E come la fortuna volse, una sera che Franceschetta montava su per lo muro, Scarsino, essendo uscito alquanto fuori per orinare, vidde Franceschetta che per la finestra era intrato. Non dimostrando niente, lassò la donna sua prendere consolazione a bell’agio, dimorando alquanto più che non solea. E quando li parve a Franceschetta tempo di doversi partire, per la finestra uscìo.

Scarsino che stae a vedere dove colui entrava, e cognove chi era quello che colla moglie era la notte stato. E mandati quelli che giocavano, andò Scarsino a letto dicendo alla moglie: «Io mi penso che stasera abbi auta la buona sera senza che io n’abia sentito». La moglie dice: «Forsi potresti dire il vero». Scarsino dice: «Or che modi tieni quando vuoi che l’amico vegna a dormire teco?» La donna dice: «Metto una tovagliola alla finestra et elli è avisato e viene per quella finestra dirieto». Scarsino dice: «Almeno, poi che così ti vuoi contentare, dovresti almeno spettare che altri non fusse in casa». La donna disse: «Io veggo che dici vero; io noi farò più». Scarsino, che mal ventriglio <avea>, la mattina dice alla donna che vada per la sera a stare a casa della sorella, però che lui pensa d’aver qualche cosa di vantagio. La donna disse: «A tuo piacere».

Et andata che altri noi sente a casa della sorella, Scarsino fatto disfare lo solaio rasente a quella finestra dove Franceschetta entrato era, et avuti suoi ladroncelli coll’arme, innella bottega di sotto alla camera li misse. E lui avendo fatto colla tavagliola segno a Franceschetta che venisse, Franceschetta la sera dove più volte andato era, vedendo lo lume in bottega come per l’altre volte veduto ve l’avea, credendo trovare la donna e credendo per lo lume che vede siano persone che giocar debiano, senza alcuno [p. 420 modifica]sospetto montò in sulla finestra; e credendo scendere securo come già fatto avea, al mutar del passo lo solaio, che levato n’era, li venne meno et in bottega fu caduto, là u’ Scarsino con quelli ladroncelli era, e colpandolo di molti colpi l’uccisero. E poi innel luogo comune lo gittò, né mai di lui il padre non ebbe sentimento, posto che per la magior parte della vicinanza e d’altri <fu creduto che> per l’usanza che monna Ciandina facesse fusse stato morto; e per paura neuno osa dire.

E chi s’ebbe il male sì sel pianse, e monna Ciandina pensò d’un altro.

Ex.º lxxxxvi.