Novelle (Sercambi)/Novella XXII

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Novella XXII

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XXII


L>o preposto e la brigata avendo sentito il modo di quello ladro, piacendo molto la giustizia, voltandosi a l’autore, dicendo: «Poi che <’n> questi mali passi hai confortato la brigata della bella novella, ora che abiamo andare verso Mascona, che ’l passo è dubievole, ti comando dichi qualche novella simile al paese»; voltandosi, l’autore disse che volentieri farè’ la brigata di ciò contenta, parlando: «A voi, omini ingannatori con vostre false maniere, et a voi, omini che mattamente credete a tali, dirò ad exemplo di voi e d’altri alcune novelle le quali vi piaceranno, fine che saremo giunti a Mascona»; dicendo:


DE FALSARIO

Di Giuda d’Ascoli, ladro per inganno.


U>no marchiano d’Ascoli nomato Giuda volendo rubare per modo d’inganno, infra gli altri luoghi che questo Giuda rubbò fu innel contado di Lucca e innel contado di Siena. E il modo che il ditto Giuda tenne fu questo: che venendo innel contado di Lucca, in una villa chiamata Orbiciano, in modo di povero acattando, spiò qual era il più ricco uomo di quel comune e quanto potea aver di contanti, e dapoi u’ avea alcuna possesione, prendendo il nome d’uno ch’era chiamato Turello, del comune di Urbiciano in luogo ditto Misigliano. E simile prese le confini di una pezza di vigna del ditto Turello. E auto tali informagioni, nascosamente di notte innella ditta vigna nascose una piastra di pietra di più di libre c — e questa pietra era tutta dorata d’oro fino — faccendo una [p. 110 modifica]fossa sotto uno fico alla scoperta; e sopra misse una piastra, e coperto colla terra la lassò in quel luogo.

E dapoi una domenica, essendo la luna in quintadecima et alta, lo ditto Giuda venne innel ditto comune di Urbiciano mentre che la messa si dicea, essendo innella chiesa il ditto Turello co’ vicini. Et intrato in chiesa in modo di uno prelato con una gonnella lunga e con uno libretto in mano, domandando quelli omini come si chiamava quello comune, fingendosi lui essere straniero, tulli risposto: «Urbiciano». Disse allora Giuda: «Sarè’ questo Urbiciano del contado di Lucca del pievieri di Mostesegradi?» Coloro dissero che così era. Giuda gittatosi ginocchioni in chiesa presente tutti quelli del comune, dicendo: «Laudate Idio che m’ha fatto giungere in questo comune, che più di m miglia ho cercato per trovare questo comune!»; e voltòsi e disse se in quel comune v’era neuno che avesse nome Turello. Fulli ditto di sè, perché ’l domandava. Giuda aprendo uno libretto disse: «Io saprò bene se in questo comune sarà Turello che voi mi dite».

Turello che quine era presente, non dicea niente spettando di vedere quello che volea dire. Giuda aperto il libro narrò: «Turello dé aver una vigna in tale luogo posta». Fulli ditto: «Elli ve l’hae». Giuda disse: «Ditemi le confini, che secondo che i’ ho trovato per mia arte, tale vigna confina: da levante, la via; da mezzodì, lo rio; da ponente, il bosco del comune; da settentrione, vigna della chiesa di san Giorgio di Urbiciano». Tutti dissero: «Ella è essa veramente, voi avete le confini vere. Ma perché dimandate voi di Turello?» Disse Giuda: «Per bene di lui e di me, e però mi sono tanto affannato». Turello, vedendo costui solo, disse: «Io sono quel Turello che andate cercando et ho quella vigna che dite: che volete da me?». Giuda, fingendosi di non credere, disse: «Di vero voi non siete Turello». Turello, e li altri rafermando, disse ch’elli era Turello. Giuda disse: «Non vi dispiaccia se io tanto ne domando e se io non credo, però che a persona del mondo conterei quello che io vo’ contare a Turello; e se volete che io vi creda, faite che il vostro prete me ne faccia certo». Il prete, che quine era presente, disse: «Tenete a certo costui essere Turello». Disse Giuda: «E per quella messa che stamane avete ditta, ditemi [p. 111 modifica]il vero». Lo prete rafermò dicendo: «Sì». Turello desideroso di costui li disse: «Veramente io sono quello Turello che andate cercando». Giuda allora abracciando Turello con lagrime disse: «O quanta pena ho durato per trovare questo paese e te! E pertanto io ti prego che quello ti dirò non apalesi a niuno»; dicendoli di volerli parlare di segreto.

Turello prese quel venerabile uomo per la mano e seco lo menò a desnare. E desnato. Giuda disse: «Turello, io ti vorrei parlare di segreto». Turello lo tirò da parte e Giuda li disse sotto brevità: «In tale vigna ha uno tesoro grande d’oro che vale più che questo comune; ma perché io hoe molto speso e spendo innell’andare et innel venire, vorrei sapere quello mi vuoi dare se questo tesoro si trova. E se non si trova non vo’ niente». Turello, udendo che il tesoro era molto e che non volea nulla se non si trovava, disse quello che volea. Giuda chiese mm fiorini. Turello disse che non avea tanti denari, e discendendo a parte a parte, ultimamente Turello disse che a lui darè’ fiorini cccc e quelli avea presti. Giuda disse: «Io sono contento, poi che non hai più, d’avere questi quando il tesoro sarà trovato». Turello rispuose: «Volentieri».

E dato tra loro ordine d’andare a cercare lo tesoro di notte acciò che neuno se ne possa acorgere, e così la notte venuta, essendo lume di luna andarono con alcuna marrella e vanga. E giunti alla vigna di sopra confinata, dimostrando Giuda fare per arte di strologia aperse il libro. E guardando le stelle, mormorando dicea a Turello: «Scava costì»; e poi guardando le stelle dicea: «Non è costì: cava qua». E per questo modo lo condusse dove avea nascosa la piastra dorata, faccendo quine cavare, dicendo: «Veramente quella stella che tu vedi apresso alla luna dimostra di vero esser costí il tesoro». Turello credendo cavava; e quando ebbe cavato alquanto. Giuda disse: «Omai dèi essere tosto al tesoro, però che la stella si dimostra più lucente; e però farai con senno acciò quel tesoro non si guasti». Turello, che desiderava essere ricco di povertà, avea tanto cavato che la piastra che copria il tesoro trovò. Giuda sentendo la piastra disse: «Omai fà colle mani però che non si guasti». Turello prese quella piastra: Giuda aitandoli, le[p. 112 modifica]voron quella prima piastra avendo fatta una grande tana e larga.

E come tal piastra fu levata, lo splendore della luna percotendo innella piastra dorata dava i razzi loro per lo volto. Giuda disse: «Turello, prima che questo tesoro te ne porti a casa io vo’ li denari che m’hai promessi». Turello, vedendo luccicare, pensò esser ricco, e trattosi li fiorini iiii cento di borsa, a Giuda li diede. E preso quel tesoro e missolo in una tasca, Turello nel portò a casa, tenendosi ricco, andandone a letto con allegrezza (bene che tosto li tornasse in pianto), e a Giuda disse che andasse a dormire in una camera. Giuda fe’ vista d’andarne a dormire.

Turello entrato innella sua camera con la sua donna, parendoli mille anni che il dì fusse venuto per poter far denari del tesoro pensando sia oro massiccio; Giuda, veduto Torello andarne a letto, pianamente di fuori di casa uscio, e camina quanto può la notte verso Pisa diliberando volersi ritrovare a Siena. E tanto camino quanto potéo.

Turello, che desiderava il giorno, dormìo tanto che il giorno fu venuto. E levatosi andò alla camera dove Giuda era albergato; e chiamandolo, neuno rispondea. Turello entrò dentro, e non trovandolo, prese sospetto. E di subito prese una scura per vedere la prova del tesoro: e dato in su un canto di quello tesoro, subito uno canto si ruppe. E vedendo Turello quello esser pietra, si tenne disfatto, gridando: «Accorr’uomo!» Li vicini tragono, la donna si leva dicendo quello avea. Turello tutto racontò dicendo: «Andiamo cercando quello che m’ha ingannato».

E pogo valse il cercare, che quel ladro non si potéo per loro trovare. Di che Turello, per la perdita de’ suoi denari e si per lo ’nganno, di malanconia divenne pazzo e non molto tempo steo così che un giorno di uno portico si gittò; della qual caduta il ditto Turello morìo.

Ritorniamo a Giuda. Come si fu asentato, giunto in quello di Siena si mutò nome faccendosi chiamare Zaccagna, e per quel modo che a Turello fe’, d’investigare del nome e della vigna e de’ luogo, così fe’ innel contado di Siena a uno che avea nome Pitullo, omo ricchissimo. Ma in cambio di piastra dorata sotterrò una terra [p. 113 modifica]nomata ocria con alcune vene di orpimento, dicendo esser vena d’oro, patuendo con Pitullo se tal vena trovassero lui volea la metà del guadagno.

Pitullo contento, e dato l’ordine di trovar lo segno come avea fatto a Turello, il tesoro trovonno; e fu questa vena più di x corbelli e quella ne portonno a casa di Pitullo. Zaccagna menò Pitullo a Siena e compronno cruzuoli da fondere oro e tornoro in villa. E quine edificò uno fornello, e preso uno paio di bilance pesò once vi di quella vena e quella misse in uno cruzuolo faccendo gran fuoco. Zaccagna, avendo in bocca granella d’oro più di oncia una, soffiando con uno cannone innel cruzuolo lo mettea e la polvere n’uscìa fuori. Faccendo fuoco e soffiando, ultimamente quell’uncia d’oro che Zaccagna avea messo innel cruzuolo e’ così fondéo. E gittatolo in verga, disse Zaccagna a Pitullo: «Porta quest’oro a Siena e vendelo e non lo dare per meno di fiorini viii, però ch’è buon oro; e cerca orafi e battilori». E di vero l’oro valea più di viii fiorini bene uno mezzo. Pitullo ch’avea veduto mettere la vena innel cruzuolo e non s’era acorto dell’oro messo per Zaccagna: «Di certo la vena trovata vale molti fiorini; forsi tanti che miglior mercadante di Siena non ne farè’ tanti». E questo era il suo parlare mentre che a Siena andava.

Giunto Pitullo a Siena, subito se n’andò a’ banchi e mostrò la verga de l’oro; volendola vendere ne trovò fiorini viii perché era buon oro. Pitullo andò a un altro, e simile fiorini viii ne potéo avere. Pitullo malizioso disse: «Di vero e’ vai più»; e andò a un altro. Colui ancora disse a certo li darò’ fiorini viii e che lui vi guadagnerò’ alcuna cosa. E domandatolo unde l’avea questo oro, disse Pitullo: «Io n’ho assai; se mi farai buono pagamento, ogni dì te ne regherò». Il banchieri disse: «Volentieri lo compro, et acciò che a me lo reghi, ti vo’ dare tutti fiorini nuovi». E datoli fiorini viii, Pitullo ritorna, a Zaccagna li dà, Zaccagna li parte per mezzo. E dapoi ne fe’ di nuovo per lo modo ditto: Pitullo li porta a Siena e fiorini nuovi rega, intanto che più che cento fiorini avea già tratto di Siena.

Un giorno Pitullo disse fra sé: «Io saprei omai fare questo mestieri». E pensò fare patto con Zaccagna, e disseli che sapea [p. 114 modifica]fare. Zaccagna disse: «Tu non sai fare, bene che a me sia lo stallo rincrescevole, perché io ho per mia arte rinvenuto troppo magior tesoro che questo non è; nondimeno, perché tutta la vena nostra se ne faccia oro, perché non sai fare io dimorrò». Disse Pitullo: «Di vero io so fare, e volentieri da voi la parte vostra <comprerei>, ma ben vorrei che me ne facesse piacere». Zaccagna, essendo venuto al suo desiderio, disse: «O che mi daresti?» Disse Pitullo: «Io ho fiorini mille e quelli ti vo’ dare». Rispuose Zaccagna: «Oh, ella vale la vena più assai!» Pitullo disse: «Or non debo aver apiacere ch’è stata trovata innella mia vigna?» Zaccagna disse: «Sì, e sono contento di fiorini mille, ma ben ti dico che tu non la saprai fare». Pitullo rispuose: «Sì so!» Zaccagna disse: «Poi che io mi debbo partire vo’ vedere se sai fare».

E presa once vi di quella terra e messa a fuoco, Zaccagna tenea uno cannone in mano, Pitullo un altro. E mentre che ’1 fuoco si facea, Zaccagna dicea: «Soffia così». E mentre ch’e’ soffiava, misse innel cruzuolo oncia una a buon peso d’oro. Pitullo disse: «Io così farò». Zaccagna disse: «Or soffia». Pitullo soffia. Zaccagna disse: «Soffia forte». Pitullo soffiava. E questo fe’ molte volte, tanto quell’oro fu strutto. Gittato in verga, disse Pitullo: «Ormai saprò fare». Zaccagna disse: «Se hai presti li fiorini mille <...»...> Zaccagna si parte e vanne a Siena.

Pitullo, che li parea aver fatto buono acquisto, come Zaccagna fu partito da lui, avendo il fuoco presto, prese della terra et innel cruscuolo ne misse. E come cominciò a riscaldare, Pitullo soffiava; e tanto soffiò che niente innel cruscuolo trovò. Pitullo meravigliandosi rife’ la seconda volta, e niente trovava. Subito si partìo et andòne a Siena al podestà dicendoli il tradimento che li era stato fatto.

Zaccagna, non pensando che Pitullo volesse fare dell’oro la prova sì tosto, si stava in Siena per fare alcuno suo fatto. Pitullo avuto la famiglia e per li ostieri cercando, ultimamente Zaccagna fu preso et al podestà condutto. Il podestà lo dimanda come avea nome. Rispuose: «Io sono chiamato Giuda». Lo podestà, ch’avea udito da Pitullo essere il suo nome <Zaccagna> e félo puonere [p. 115 modifica]alla colla. Zaccagna confessò i furti fatti e il modo di tali furti Lo podestà, avendo la esaminazione, fermo, più presto potéo il preditto Giuda o vero Zaccagna come falsario fe’ ardere, ristituendo a Pitullo la sua pecunia. E così finìo».

Ex.º xxii.