Novelle (Vettori)/Novella quinta

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Novella quinta

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NOVELLA QUINTA


Si crede generalmente che Papa Alessandro VI. fosse morto di veleno; ma il caso è per diversi modi narrato. Sonci di quelli che dicono che al Papa fu dato il veleno da un suo cameriere nel modo seguente. Era in Roma uno scrittore apostolico cortigiano antico, uomo da bene, ricco e di buoni costumi. A costui dispiaceva assai la vita di Papa Alessandro, e non aveva altro desiderio se non di sopravvivere a lui; e conoscendolo robusto e di gran complessione, pensò che se non fosse aiutato a morire era per vivere un tempo; e per vedere se poteva venire a questo suo disegno prese pratica stretta con un cameriere del Papa, il quale era spagnuolo, ma molto semplice: ed ogni giorno gli donava qualche cosa, e gli faceva convito, e l’accompagnava per Roma; onde il cameriere pose tanta affezione allo scrittore che non sapeva vivere senza di esso. Essendo costui molto forte innamorato di una vedova milanese, e non trovando corrispondenza in questo amore, lo conferì un giorno allo scrittore richiedendolo d’aiuto e di consiglio. Egli rispose: il consiglio che io ti darei sarebbe che tu ti levassi dalla fantasia [p. 23 modifica]questo amore, ma quando tu non possa o non voglia farlo, credo bene troverò modo di farti conseguire il desiderio tuo; ma bisogna che quello abbiamo a fare sia segreto, perchè sarà forse necessario venire a certi incanti, che quando si sapesse che io gli usassi potrei esser disfatto dal mondo: però voglio mi dica il nome di questa tua innamorata ed il luogo dove sta, e fra quattro giorni ne parleremo altra volta insieme. Il cameriere gli disse quello di che il domandava, e gli promesse tener tutto segreto. Lo scrittore inteso chi era la donna, andò a trovarla, e tanto con parole e doni e promesse la seppe persuadere, che essa si dispose in questo amore del cameriere governarsi appunto secondo la volontà dello scrittore; onde fra dieci giorni trovò il cameriere, e gli disse che se sapeva trovar ordine di far dare alla dama certa polvere incantata nella vivanda, vedrebbe che ella gli porterebbe tanto amore che se ne sarebbe maravigliato; e rispondendo il cameriere che aveva tanta amicizia con una servente della dama che non le mancherebbe modo di darle la polvere, lo scrittore lo condusse seco verso certi luoghi solitarii di Roma, e mostratagli un’erba che aveva la foglia molto grande, gli disse che la mattina due ore avanti giorno, venisse in [p. 24 modifica]quel luogo, e là cogliesse la polvere che su quelle foglie troverebbe, e di quella facesse poi dar mangiare nelle vivande alla dama: e come furon partiti l’uno dall’altro, lo scrittore tornò, e su quelle foglie messe certa polvere odorifera e partissi. Il cameriere la mattina seguente all’ora ordinata tornò in quel luogo, e levò dalle foglie quella polvere, e pensò che la notte dal cielo vi fosse caduta, e per un suo servitore la mandò alla servente della dama acciò gliene mescolasse nella vivanda. Lo scrittore come intese questo andò dalla vedova, e la pregò che la sera quando il cameriere vi passava gli facesse buona cera, e l’altro giorno mandasse ad invitarlo a cena; tanto che seguendo questa cosa, il cameriere giudicò che quella polvere fosse mirabile. La vedova era fina, e non lo compiaceva però d’altro che di parole e d’accoglienze e di piacevolezze; ma ad esso bastava questo, e gli pareva d’essere il più felice innamorato di Roma; e pensando alla virtù di quella polvere, ed ancorchè fosse cameriere del Papa non parendogli esser favorito a modo suo, ringraziò un giorno lo scrittore del servizio gli aveva fatto, e gli conferì quanto fosse in grazia della dama, e lo domandò se quella polvere opererebbe così in un uomo come avea fatto nella sua [p. 25 modifica]innamorata. Lo scrittore a cui parve che la lepre andasse verso la rete, gli rispose che la virtù non era solo nella polvere, ma era nelle parole, e che quando lui gli dicesse a chi la voleva dare, farebbe l’incanto di nuovo, e che era certo ne seguirebbe il medesimo effetto. Il cameriere allora gli aperse l’animo suo che era che il Papa gli ponesse più amore, acciò ne potesse trarre più onde tutti due ne diventerebbero felici. E però lo scrittore gli disse che andasse la notte seguente nel medesimo luogo, e ricogliesse la polvere delle foglie e poi la desse al Papa. E partitosi da lui, ne andò là e messe sulle foglie veleno in polvere bianca; quale raccolta dal cameriere, e data nella vivanda a Papa Alessandro, della quale ne mangiò ancora il duca Valentino, fu causa che l’uno morisse, e l’altro infermasse gravemente: e così lo scrittore conseguì con sottile arte il desiderio suo, e venendo a morte confessò il caso, e ne volle l’assoluzione da Papa Giulio.